Nella crisi generale c'è una sola categoria che non
lamenta un calo degli introiti: gli antennisti delle
aree televisive "all digital". In particolare
del Lazio, dove lo switch-off dell'analogico ha spento
di fatto i canali del servizio pubblico per molti utenti
che pagano il canone (e anche per quelli che non lo
pagano).
E' ormai chiaro che in qualche zona in cui si riceveva -
bene o male - il segnale analogico, quello digitale non
arriva. O arriva con una potenza e/o una qualità insufficienti
per il funzionamento del ricevitore. Il mistero, il
primo di una serie, è in
una sorta di "selezione naturale", grazie
alla quale scompaiono solo i canali del servizio
pubblico, mentre si ricevono senza problemi quelli di
Mediaset e di una miriade di piccole emittenti.
Per Rai
Uno, Due e Tre c'è una parziale spiegazione: il piano
delle frequenze messo a punto dall'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni prevede che questi canali,
insieme a Rai Storia, vengano trasmessi da un multiplex
su quello che prima era il canale di Rai Uno, nella
banda III VHF. Si dà il caso che in questa banda la
propagazione del segnale sia meno efficace di quella in
banda UHF, sulla quale trasmettono tutti gli altri
canali. Tanto che in alcuni paesi la banda VHF è stata
destinata a servizi diversi dal broadcast televisivo.
Evidentemente già al momento dello switch-off del
Lazio i tecnici si sono resi conto del problema, tanto
che hanno annunciato la trasmissione ("sperimentale" e per un periodo massimo di
sessanta giorni) dei quattro canali Rai anche sulla
frequenza 25 della banda UHF. Ma anche questa presenta notevoli
"buchi" di ricezione in aree lontane dalle
antenne trasmittenti, forse per problemi di interferenze
che costringono i tecnici a usare una potenza più
bassa.
C'è però il fatto che in certe aree non si
ricevono, o si ricevono a intermittenza, altri canali
Rai: Rai4, RaiNews 24, RaiSat Extra e via elencando.
Nelle stesse aree i programmi Mediaset si ricevono
sempre regolarmente. La ragione tecnica di questa
"discriminazione" è un altro mistero ben
protetto. Come è un mistero l'inerzia dell'Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni su questa palese
violazione degli obblighi di servizio pubblico da parte
della Rai.
Ma Rai, Mediaset e La7 hanno annunciato la soluzione
per chi non risiede nelle zone d'ombra del digitale
terrestre: la trasmissione in simultanea via satellite
degli stessi canali, attraverso la piattaforma Tivù Sat.
Però la diffusione satellitare impone di codificare
alcuni programmi, per i quali le emittenti hanno i
diritti di trasissione solo per il territorio nazionale
(il satellite copre un'area molto più vasta). Dunque
occorre una smart card. E qui c'è un quarto mistero:
perché è stata scelta una codifica almeno parzialmente
incompatibile con i decoder in commercio, obbligando gli
utenti ad acquistare un apposito decoder? E perché gli
apparecchi in questione sono stati per lungo tempo
introvabili? Altro mistero.
Sul punto è intervenuta una decisione
dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: la
smart card deve essere compatibile "con diversi
apparati di ricezione". Inoltre "l’ Autorità
ha valutato che le proposte formulate dalla Rai nel
corso del procedimento, di offrire ai propri utenti in
regola con il pagamento del canone che ne faranno
richiesta la smart card Tivù Sat, a fronte del
rimborso dei soli costi, nonché di assicurare un
congruo numero di carte Tivù Sat alle comunità
italiane in Europa, fossero idonee a rimuovere le
criticità riscontrate".
La decisione risale al 16 dicembre. Due mesi dopo, delle
carte "compatibili con diversi apparati di
ricezione" non c'è traccia nei negozi. La ragione?
E' il quinto mistero.
A tutto questo si aggiunge una curiosa iniziativa
dell'associazione di consumatori Altroconsumo, che fa ricorso alla Commissione europea
sostenendo che l'iniziativa Tivù Sat è contraria alle
regole comunitarie. Secondo Altroconsumo "Con la
creazione della joint venture Tivù, Telecom Italia
media, RTI e RAI hanno realizzato una concentrazione di
dimensione comunitaria, che tuttavia non è stata
notificata alla Commissione europea".
Inoltre, sempre secondo l'associazione "Criptando
i programmi con un protocollo di codifica incompatibile
con quello del decoder Sky, Rai e RTI hanno in pratica
reso inaccessibile la propria programmazione generalista
sulla piattaforma Sky in lesione delle regole della
concorrenza (Articolo 101 del Trattato). Risultato:
circa 5 millioni (sic, ndr) di utenti Sky non
potranno ricevere programmi free-to-air e di servizio
pubblico".
Non ne azzeccano una. Tivù Sat è un consorzio tra
aziende, non una concentrazione ai sensi della normativa
europea, e non è di neanche di dimensione comunitaria,
perché si rivolge solo al mercato nazionale. Si
aggiunga che il protocollo dei decoder Sky non è
accessibile al consorzio, quindi se mai un ricorso
andrebbe presentato contro Sky per la nota
"blindatura" del suo sistema di accesso
condizionato.
Infine i programmi "free to air" possono
essere ricevuti con i decoder Sky sia con qualsiasi
altro decoder in commercio.
Che cosa c'è dietro l'iniziativa di Altroconsumo?
Questo è il sesto, interessante mistero.
E c'è un settimo mistero. Gli utenti delle
"zone d'ombra" che ricevono i canali Rai
attraverso il satellite, non hanno comunque accesso alla
programmazione regionale del servizio pubblico.
Potrebbero vederla almeno sul web, sia pure con una
qualità scadente, dal sito rai.tv. Che però non offre neanche
i TG regionali emessi, a rotazione settimanale, dal
satellite. Qualcuno ha una spiegazione?
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