Dettagliato, minuzioso, pedante, a tratti maniacale. Il regolamento
emanato dalla "Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi" è un capolavoro di ipocrisia
normativa. Si presenta come pilastro della cosiddetta par
condicio nei programmi televisivi durante la
campagna elettorale. Invece è il contrario. E'
l'ennesimo strumento per intontire sempre più i
telecittadini italiani, cancellando proprio le
trasmissioni che lasciano qualche spazio alla
comprensione della politica: i programmi "di
approfondimento", che forse non a caso riscuotono
un interesse crescente nel pubblico.
Il presidente della Rai, il buon Paolo Garimberti, si è
precipitato dal suo datore di lavoro per protestare. Non
ci lasciate fare il nostro mestiere, ha detto, e ci
togliete anche un mucchio di soldi, perché le
trasmissioni che volete cancellare portano molta
pubblicità, la comunicazione politica no.
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Tanto per incominciare, con il regolamento in
questione la Commissione ha travalicato il suo compito.
Che è, come dice la sua denominazione, di
"indirizzo generale", non di impartire
dettagliate istruzioni per gli addetti ai lavori.
Istruzioni che, fra l'altro, non servono a nulla. Come
ben sa qualsiasi meccanico della comunicazione, è
facile dare lo stesso identico spazio a due avversari,
favorendone uno a discapito dell'altro. Basta inquadrare
un po' dal basso un signore di bassa statura e dall'alto
uno spilungone, scegliendo i momenti giusti, per
stravolgere il risultato: il primo diventa un eroe, il
secondo una mezza calzetta.
Ancora di più si può fare con la scelta dei
discorsi, delle dichiarazioni, o affidando i messaggi
alla viva voce del personaggio o al commento fuori campo
del cronista. La par condicio non è solo un
problema di cronometro (qualsiasi cosa voglia dire
questa espressione latina, rubata, guarda il caso, al
diritto fallimentare). Questi "trucchi",
ripetuti con insistenza, si insinuano nella memoria
degli spettatori inconsapevoli.
Ma vediamo più da vicino l'oggetto delle polemiche
di questi giorni. Che, fra l'altro, è di dimensioni
inusitate, come si vede scorrendo l'elenco dei provvedimenti emanati
dalla stessa Commissione per questioni simili. Si
incomincia con disposizioni che riguardano l'intera
programmazione del servizio pubblico (i neretti sono
miei):
Art. 2 (Tipologia della programmazione RAI in
periodo elettorale)
1. Nel periodo di vigenza del presente regolamento, la
programmazione radiotelevisiva nazionale della RAI ha
luogo esclusivamente nelle forme e con le modalità
indicate di seguito:
a) la comunicazione politica, di cui all'articolo
4, comma 1, della legge 22 febbraio 2000, n. 28, può
effettuarsi mediante forme di contraddittorio,
interviste ed ogni altra forma che consenta il raffronto
in condizioni di parità tra i soggetti politici aventi
diritto ai sensi dell'articolo 3. Essa si realizza
mediante le Tribune elettorali e politiche disposte
dalla Commissione, di cui all'articolo 9 e 10 del
presente regolamento, e con le eventuali ulteriori
trasmissioni televisive e radiofoniche autonomamente
disposte dalla RAI, di cui agli articoli 3 e 4;
b) ai sensi dell'articolo 4, comma 3, della legge 22
febbraio 2000, n. 28, sono previsti messaggi politici
autogestiti, realizzati con le modalità di cui
all'articolo 5.
c) sono programmi di informazione i telegiornali, i
giornali radio, i notiziari, i relativi approfondimenti
e ogni altro programma di contenuto informativo a
rilevante presentazione giornalistica, caratterizzati
dalla correlazione ai temi dell’attualità e della
cronaca, purché la loro responsabilità sia ricondotta
a quella di specifiche testate giornalistiche registrate
ai sensi dell'articolo 10, comma 1, della legge 6 agosto
1990, n. 223. Essi sono più specificamente
disciplinati dal successivo articolo 6;
d) in tutte le altre trasmissioni della programmazione
nazionale della RAI, nonché della programmazione
regionale nelle regioni interessate dalla consultazione
elettorale, è vietata, a qualsiasi titolo, la presenza
di candidati o di esponenti politici e non possono
essere trattati temi di evidente rilevanza politica ed
elettorale, ovvero che riguardino vicende o fatti
personali di personaggi politici.
2. Le disposizioni di cui alle lettere a), b) e c) del
comma precedente si applicano altresì alla
programmazione regionale della RAI nelle Regioni in cui
si voti per l'elezione del Presidente della Giunta
regionale e del Consiglio regionale, ovvero per
l'elezione del Presidente della Provincia e del
Consiglio provinciale ovvero per l'elezione del Sindaco
e del Consiglio comunale in comuni che siano capoluogo
di provincia.
Il concetto chiave è nella differenza tra
"informazione" e "comunicazione
politica". Non è un'invenzione della Commissione,
è nella legge 28/2000.
Che rivela, sottinteso desolante, che la comunicazione
politica non è informazione. Si aggiunge un dettaglio
essenziale, introdotto dal regolamento: è informazione
solo quella "ricondotta a quella di specifiche
testate giornalistiche". Dunque Annozero, Ballarò,
Porta a porta e altre non sono
"informazione", perché non sono testate
giornalistiche registrate. Sono "pollai", come
ha detto il Presidente del consiglio. E i reportage che
vediamo nelle trasmissioni di Santoro, Gabanelli, Iacona,
non sono giornalismo, non sono informazione: si tratta
forse di fiction?
Andiamo avanti:
Art. 3 (Trasmissioni di comunicazione politica a
diffusione nazionale autonomamente disposte dalla RAI)
1. Nel periodo di vigenza del presente regolamento la
RAI programma trasmissioni di comunicazione politica a
diffusione nazionale. Per comunicazione politica
radiotelevisiva, ai fini del presente regolamento
attuativo, si intende la diffusione sui mezzi
radiotelevisivi di programmi contenenti opinioni e
valutazioni politiche.
Così sappiamo anche esattamente che cos'è la
"comunicazione politica radiotelevisiva",
secondo la Commissione. Ma l'informazione, che fine ha
fatto l'informazione, compresa quella che viene
spacciata come tale? Lo capiamo più avanti:
Art. 6 (Informazione)
1. Nel periodo di vigenza del presente regolamento, i
notiziari diffusi dalla RAI ed i relativi programmi di
approfondimento di cui all’articolo 2, comma 1,
lettera c), si conformano con particolare rigore ai
principi di tutela del pluralismo, dell'imparzialità,
dell'indipendenza, della obiettività e della apertura
alle diverse forze politiche, nonché, al fine di
garantire l’osservanza dei predetti principi, allo
specifico criterio della parità di trattamento tra i
soggetti e le diverse forze politiche individuate, nel
periodo compreso tra lo spirare del termine per la
presentazione delle candidature e la mezzanotte del
secondo giorno precedente la data delle elezioni, ai
sensi dell’articolo 3, comma 5, del presente
regolamento
2. I direttori responsabili dei programmi di cui al
presente articolo, nonché i loro conduttori e registi,
devono assicurare in maniera particolarmente rigorosa
condizioni oggettive di parità di trattamento tra tutti
i soggetti di cui all’articolo 3, comma 5, del
presente regolamento, fondate sui dati del monitoraggio
del pluralismo, al fine di consentire l’esposizione di
opinioni e posizioni politiche, e devono assicurare ogni
cautela atta ad evitare che si determinino situazioni di
vantaggio per determinate forze politiche o determinati
competitori elettorali. Eccetera eccetera.
La solita aria fritta. Per capire la sostanza del
provvedimento dobbiamo tornare indietro, all'ultima
parte dell'art. 3:
9. Successivamente al decorrere dell’ultimo
termine per la presentazione delle candidature, le
Tribune politiche sono collocate negli spazi
radiotelevisivi che ospitano le trasmissioni di
approfondimento informativo più seguite, anche in
sostituzione delle stesse, o in spazi di analogo ascolto.
11. La responsabilità delle trasmissioni di cui al
presente articolo deve essere ricondotta a quella di specifiche
testate giornalistiche registrate ai sensi
dell'articolo 10, comma 1, della legge 6 agosto 1990, n.
223.
Per chi non avesse capito: le tribune politiche
devono andare in onda al posto di Annozero e delle altre
"trasmissioni di approfondimento più
seguite". Oppure queste si devono trasformare in
tribune politiche, sotto la responsabilità di un
direttore di testata. Minzolini, per esempio, che con il
suo TG1 e i suoi editoriali ha raggiunto un livello di
faziosità mai visto prima.
Possiamo chiamarla "censura"? Eh, no, c'è
l'articolo 21 della Costituzione. Anche
"bavaglio" non sta bene: in Italia c'è la
libertà di espressione. Forse la definizione corretta
è "commissariamento" del servizio pubblico da
parte della maggioranza parlamentare.
Il servizio pubblico costituisce quasi la metà
dell'informazione televisiva in Italia. Per il resto si
devono aspettare le indicazioni dell'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni, che deve decidere entro il
28 di questo mese. Ma l'Autorità è in grande
imbarazzo. Il presidente Calabrò ha scritto una lettera
al presidente della Commissione Zavoli, nella quale si
prospetta un dilemma: o si adottano, come vuole la
prassi, disposizioni conformi a quelle approvate dalla
Commissione "esponendoci così a ricorsi presso il
giudice amministrativo che desterebbero non poca
preoccupazione", oppure si disciplinano
diversamente i programmi di informazione delle emittenti
televisive private "producendo così una
distonia". L'obiettivo di chi ha redatto questo
regolamento è abbastanza chiaro: oltre a commissariare
la Rai per questa tornata di elezioni, si vuole mettere
in discussione la legge sulla "par condicio"
del 2000. Una legge tutt'altro che efficace, varata come
unico rimedio possibile contro lo strapotere mediatico
del signore delle televisioni. Che ha ha sempre tuonato,
anche da capo del Governo, che deve essere abolita.
E forse non sarebbe un male. Ma quello che occorre
veramente è la fine dell'anomalia italiana. Fino a quel
momento la legge sulla par condicio è il male
minore. * Vedi anche Il regolamento che ho proposto e
fatto approvare di Marco Beltrandi
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