Da una settimana Roma è "la prima capitale europea
interamente digitale". Per la televisione, si
intende. Lo affermano le nostre autorità cosiddette competenti.
Però dimenticano di spiegare che non si tratta di un
record, ma di un passaggio obbligato: lo switch-off
simultaneo di tutte le emissioni analogiche è dovuto
alla caotica occupazione delle frequenze che blocca
l'etere italiano da più di trent'anni. Se ci fossero
frequenze libere, il passaggio dall'analogico al
digitale sarebbe progressivo e indolore.
La transizione doveva essere l'occasione per mettere
ordine. Invece a Roma e dintorni è il caos. La sola cosa certa, verificata da tutti, è lo
swich-off dell'analogico: i vecchi televisori non
ricevono più nulla. I nuovi, e i set-top-box digitali,
ricevono "di tutto e di più". Anche troppo:
gli oltre 200 canali che si trovano a ogni nuova "risintonizzazione"
sono una forzatura tecnica. Emittenti sconosciute compaiono
all'improvviso, altre scompaiono. Molte non trasmettono, molte
altre sono
presenti contemporaneamente su frequenze diverse. Ma la
questione più seria riguarda i primi tre canali della Rai.
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Rai Uno, Due e Tre sono trasmesse da un MUX sulla
banda VHF, quella "storica" del primo canale.
Una scelta incomprensibile, poiché la propagazione del
segnale in questa banda è molto meno efficiente che
nella banda UHF, utilizzata dalla maggior parte delle
emittenti. Fino a una settimana fa, appena fuori Roma
Rai Uno si riceveva male, o non si riceveva affatto, a
causa dei rilievi che circondano la capitale. Ora negli
stessi luoghi i tre canali "generalisti" del
servizio pubblico non ci sono. E non è una
questione di canalizzazione: anche impostando i decoder
per la Germania, i canali in VHF del servizio pubblico
non si ricevono.
Ma, se ci si ricorda di "risintonizzare i
decoder", come dice la pubblicità, i tre canali
compaiono misteriosamente come "TEST Rai Uno",
"TEST Rai Due" e "TEST Rai Tre", sia
pure con interruzioni e disturbi. Che significa? La
spiegazione è in una lettera della Rai agli antennisti del
Lazio, secondo la quale "al fine di facilitare
la ricezione dei canali generalisti Rai... per un
periodo limitato (massimo due mesi) dall'impianto di
Monte Mario non sarà acceso il Mux 4 (Ch 40), ma un Mux
provvisorio, sul canale 25... Si fa presente che il Rai
Tre, trasmesso sul Mux provvisorio, sarà privo di
contenuti regionali".
Un colossale pasticcio. A parte il fatto che ora sul
MUX provvisorio i notiziari regionali ci sono, sembra di
capire che nel giro di due mesi le tre emittenti
pubbliche potranno essere ricevute regolarmente sul
canale 40, che appartiene alla banda UHF. Naturalmente
dopo l'ennesima risintonizzazione dei ricevitori.
Resta il fatto che a quel punto, come ora, i primi tre
canali del servizio pubblico saranno confusi tra
centinaia di altri. Ancora una volta la Rai è
penalizzata. Prima con
la scomparsa di alcuni canali su Sky e i troppi "criptaggi"
dei programmi superstiti, ora con i "canali fantasma"
sul digitale terrestre, proprio nell'area più popolosa
interessata alla transizione.
Se ne è accora persino la sonnolenta Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni. Un comunicato
stampa del 19 novembre informa che è stata aperta
un'istruttoria "sull'ordinamento automatico dei
canali della TV digitale terrestre". Chissà se
l'istruttoria prenderà in considerazione anche i
problemi creati dalle emittenti fantasma: quelle
interessate dallo switch-off, secondo i siti ufficiali,
erano una ventina; ora sono più di duecento, solo nei
canali trasmessi da Monte Mario. Non si capisce da dove
spuntino tante nuove emittenti, che trasmettono anche otto
canali
su una sola frequenza, contro i quattro o cinque
compatibili con una buona
qualità. Viene il sospetto che sia in atto
un'occupazione selvaggia delle frequenze come quella che
iniziò alla metà degli anni '70.
In tutto questo resta il problema Tivù Sat, la
piattaforma satellitare gratuita, varata con anni di
ritardo, ufficialmente per coprire le zone non coperte dal digitale terrestre. Ma che, anche se si trovassero i
decoder, comunque non renderebbe accessibili né
l'informazione regionale dell'emittenza pubblica né le
TV locali.
Ma anche Tivù Sat si rivela una piattaforma fantasma. Si è scelto di renderla ricevibile
solo con appositi decoder, invece di distribuire una
smart card compatibile con i ricevitori satellitari già
in commercio e presenti in moltissime case. Perché? Problemi di
"pirateria", con i canali gratuiti, non ce ne
sono e quindi non servono pesanti misure di sicurezza.
Intanto si mette mano al contratto di servizio della
Rai per il triennio 2010-2012. L'AGCOM ha
approvato le "linee guida", contenute in un
documento che tutti discutono, ma che nessuno ha finora
pubblicato. A proposito di Tivù Sat, il presidente
Calabrò, nella sua recentissima audizione alla
Commissione di vigilanza, ha detto: "Le linee guida prevedono che l’intera
programmazione della Rai, nella fase di passaggio
dalle trasmissioni in tecnologia analogica a quella
digitale, sia visibile su tutte le piattaforme
tecnologiche, limitando al massimo il criptaggio delle
trasmissioni di servizio pubblico diffuse in simulcast. E’ un aspetto che l’Autorità giudica di
fondamentale importanza per l’utente ed in merito al
quale non ha mancato di aprire apposita istruttoria,
in occasione del lancio della piattaforma Tivùsat".
Aspettiamo dunque di vedere le conclusioni di questa
istruttoria, sperando che i tempi non siano quelli
biblici ai quali l'Autorità ci ha abituato. Per
ora non possiamo sapere neanche su che cosa esattamente
stia indagando, perché il provvedimento di
avvio dell'istruttoria, che dovrebbe essere pubblico,
non è disponibile sul sito istituzionale. C'è solo il
solito comunicato
stampa. Un segreto che si aggiunge ai tanti
interrogativi sulle scelte e sul destino del servizio pubblico, pagato
dai cittadini, ma controllato dal proprietario della
televisione privata.
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