"Ora che tutte le principali trasmissioni
giornalistiche sono chiuse, c’è ancora qualcuno che
nega l’evidenza della censura?" chiedeva ieri Gad
Lerner nel suo blog. Domanda non peregrina, perché
la
cancellazione per un mese dei programmi di
approfondimento giornalistico della Rai è un bavaglio senza
precedenti in un paese che si dice democratico.
Chi ha avuto la pazienza di seguire queste pagine negli
ultimi mesi, sa che sono stato molto prudente nell'usare
la parola "censura". Perché la censura è una
cosa molto seria. In Italia, fino a due giorni fa, si
poteva lamentare una forte compressione del
"diritto di essere informati", ed era giusto
protestare contro questo o quel bavaglio. Ma nessuno
aveva ancora soppresso formalmente la quasi totalità
degli spazi dell'informazione televisiva non omologata,
non ossequiosa del potere.
Per far tacere Santoro e Floris hanno dovuto spegnere
anche Vespa e Paragone. Ma non c'è da gioire per questa
"par condicio" in negativo. In fondo, anche Porta
a porta e L'ultima parola sono trasmissioni
che inducono a pensare, pur essendo in modo più o meno
esplicito allineate alla linea della maggioranza e del governo.
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Dunque è censura. Tanto più desolante se si
riprende la nota del CDA della Rai, emessa il 16
febbraio dopo il regolamento
della Commissione di vigilanza. Il Consiglio, si
leggeva, «ha discusso oggi dell'applicazione del
regolamento approvato dalla Commissione di Vigilanza in
ottemperanza della legge sulla "par condicio"
ed ha sottolineato come l'Azienda non possa in alcun modo
interpretare le norme ma possa esclusivamente
applicarle, come sta facendo e continuerà a fare. Il
Consiglio di Amministrazione ha ribadito quindi che il
regolamento incide negativamente sui palinsesti della
concessionaria di Servizio Pubblico e rischia di creare
una disparità tra l'informazione Rai e quella delle
emittenti televisive private».
Poi lo stesso consiglio che fa? Dice che il
regolamento non si può applicare. E allora va oltre il
"diktat di San Macuto". Invece di dettare
regole di equilibrio e di prudenza, con il voto
contrario del suo presidente, senza tener conto delle
critiche espresse persino dal presidente dell'Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni, imbavaglia,
cancella. Censura, appunto. Tutti zitti per non
disturbare il grande manovratore. La cui strategia è
evidente: non ci deve essere una sola voce stonata nel
coro dell'informazione unificata.
Non ci deve essere neanche nel piccolo spazio di
informazione che appare estraneo all'anomalo
monoduopolio. Perché non sembra casuale che l'altro
ieri sia stata soppresso anche L'infedele, il
programma di Gad Lerner su La7. Doveva occuparsi
dell'ennesimo scandalo, quello miliardario del
"riciclaggio telefonico". Ma non era il caso
di "turbare in alcun modo le delicate indagini
giudiziarie in corso e le eventuali misure cautelari al
vaglio delle competenti Autorità Giudiziarie in
relazione alla vicenda della società Telecom Italia
Sparkle S.p.A", come ha precisato la stessa Telecom
Italia, proprietaria dell'emittente. Non era mai
accaduto prima. Lerner era sempre stato libero di
parlare anche del suo datore di lavoro, quando la
cronaca lo imponeva. E' chiaro che qualcosa è cambiato.
Da tre giorni, davanti all'ottanta per cento degli
italiani che si informano solo attraverso la
televisione, possono parlare solo i politici e
l'informazione "istituzionale". Quella che,
riferendo della sentenza della Cassazione nel processo
Mills-Berlusconi, ha mentito trasformando la
prescrizione in assoluzione. In modo che allo spettatore
- privato della possibilità di confrontare diverse
opinioni - appaia ovvio che, se è stato assolto il
presunto corrotto, sia assolto anche il presunto
corruttore. Così ha fatto capire il TG1, il notiziario
più seguito della televisione pubblica.
Ora la parola passa ai giudici amministrativi, che
devono decidere sul ricorso contro il regolamento dell'AGCOM
per le emittenti private, inevitabile fotocopia di
quello della Commissione di vigilanza per il servizio
pubblico. E' possibile che il testo dell'Autorità sia
bocciato, costringendo a un ripensamento il CDA della
Rai. Vincerà l'articolo 21 o vincerà la censura?
Ieri sera, durante la manifestazione in via Teulada,
fuori dello studio in cui sarebbe dovuto andare in onda Ballarò,
Giovanni Floris ha detto: "Io sono convinto che sia
il passaggio finale, più in basso di così non si può
andare".
Speriamo che abbia ragione. Ma in questo momento essere
ottimisti è molto difficile.
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