Passata la festa, gabbato lo santo, dice l'antico proverbio. Qui la
"festa" non è la Pasqua appena trascorsa, ma
sono le elezioni del 28 e 29 marzo scorsi. E il santo gabbato
è l'informazione, scomparsa dall'agenda delle questioni
più urgenti. Sostituita dalla ripresa delle solite
diatribe politiche inconcludenti.
Il fatto è che nel mese passato i problemi
dell'informazione sono venuti alla luce con drammatica
evidenza.
Prima non avevamo mai toccato con mano la forza di
una "legittima" censura e constatato la
capacità di reazione di giornalisti con la schiena
dritta e dei media nel loro insieme. Così come abbiamo
osservato l'efficacia di un'informazione televisiva al
servizio di una parte politica e incurante delle regole
e delle inutili sanzioni di un'autorità di garanzia, la
cui indipendenza è oggetto di fondati dubbi. Dovremmo
ricavarne una serie di lezioni per il futuro.
Prima lezione: il Italia c'è la censura. Non è morta la libertà di
stampa: l'articolo 21 della Costituzione è sempre lì e
appare improbabile che il Corriere della sera o la
Repubblica siano sequestrati o chiusi d'autorità.
Ma la censura colpisce il mezzo più seguito e più
influente: la televisione. Perché è difficile non
chiamare "censura" il bavaglio messo alle
trasmissioni di approfondimento di tutte le emittenti
(anche se poi il TAR ha salvato le emittenti private).
Anche l'ardita impresa di Corradino Mineo, di
trasmettere in diretta l'evento organizzato da Michele
Santoro a Bologna, è riuscita solo in parte.
Il fatto è noto: Annozero è imbavagliato,
insieme agli altri approfondimenti della Rai. Ma Michele
Santoro organizza una puntata speciale, che va in onda
da Bologna senza i mezzi della Rai e sarà diffusa da
molte emittenti private e siti internet. RaiNews24
annuncia la diretta dell'evento. C'è da immaginare quale trambusto si sia verificato ai piani alti di
viale Mazzini alla notizia che era stato escogitato il
modo per aggirare la censura. Non potendo vietare anche
l'informazione, si è fatto ricorso a un mezzo bavaglio: Raiperunanotte
è stato trasmesso "in differita", e con il taglio
dell'intervento di Daniele Luttazzi.
Non è la prima volta che la Rai ricorre all'espediente
della diretta-differita per avere il tempo di oscurare
interventi "pericolosi": è successo per la
prima volta nel 2004 con la festa del 1. maggio (vedi Prove tecniche di
non- trasmissione). E c'è da temere che succederà ancora.
Ma qui arriva la seconda lezione: in uno stato democratico ci sono gli
anticorpi che combattono la censura. E questa può
rivelarsi un boomerang che si abbatte su chi lo ha
lanciato. Così Annozero, cacciato dagli studi
della Rai, è andato "in piazza", su diverse
emittenti private e sul Web. "Un botto, un terremoto",
è stato il commento di Santoro ai numeri (anche a
quelli ufficiali della Rai) sugli ascolti di Raiperunanotte.
Tre, quattro, forse addirittura sei milioni di
spettatori. Molti di più di una normale puntata di Annozero.
Perché, è ovvio, al pubblico già folto che segue la
trasmissione si sono aggiunti molti altri spettatori,
spinti dalla curiosità. E, probabilmente, molti giovani che non
guardano spesso la tv , ma che sono abituali,
attenti frequentatori del Web.
Da qui arriva la terza lezione: si sta verificando la
tante volte preannunciata "convergenza" dei media. Lo stesso evento è andato in onda su diverse
emittenti private, dal satellite o dal digitale
terrestre. E sul Web. Questo significa che il baricentro
dell'informazione si sta spostando dalla televisione
generalista a un insieme di mezzi diversi, con esiti
ancora imprevedibili. I primi effetti si vedono nella
ormai drammatica crisi dei giornali di carta, sempre
più in affanno per la concorrenza dell'informazione on
line. E, guarda il caso, proprio in questi giorni il
signore delle televisioni incomincia a comparire anche
sulla Rete, che fino a ora aveva sostanzialmente
snobbato.
Dell'evoluzione prende atto l'Unione europea, con la direttiva
2007/65/CE, che vede la centralità dei "media
audiovisivi" al posto di quella della televisione. Ma l'Italia, obbligata a recepirla, la
stravolge. Invece di far rientrare la televisione
nell'universo dei media audiovisivi, riconduce tutto
alla prima. Risulta chiaro dal testo del decreto legislativo
44/10 (il cosiddetto "decreto Romani),
pubblicato pochi giorni fa sulla Gazzetta ufficiale.
Testo che, dopo le proteste suscitate dal primo
schema, mette in chiaro le esclusioni più ovvie, ma
conferma l'impostazione "pan-televisiva" che
si vuole dare all'universo dei media digitali.
Prevedendo per i siti di informazione audiovisiva un
regime simile a quello delle tv.
L'ultima, e forse più importante lezione che viene dalla campagna
elettorale del mese scorso, è l'urgenza di ricostruire
un vero "servizio pubblico" radiotelevisivo.
Un sistema "dei cittadini" e non del governo e
della maggioranza parlamentare. Lo ha detto con
chiarezza Gad Lerner a Raiperunanotte: la Rai non
è più pubblica, è una televisione privata di
proprietà dei partiti.
E anche Berlusconi, in un'intervista a Sky, alla domanda
"Privatizzare la Rai?", ha risposto: "Tutte le democrazie hanno un
servizio pubblico. La Rai è diventata una tv
commerciale. Quindi non so se è giusto
privatizzarla. Non può continuare così se vuole che
gli italiani paghino il canone".
Strano. Non era proprio lui, che
voleva privatizzare la Rai, con la legge firmata dal fido
Gasparri? Forse il fatto è che una
televisione "commerciale" fa concorrenza alle
sue. Mentre la parte pagata con i soldi del pubblico può essere facilmente presidiata dai vari Minzolini.
Il quale, intanto, provvede alle epurazioni dal video dei
giornalisti che non approvano la sua linea editoriale. Fino
a quando la televisione resterà il medium più
influente sulla società italiana, l'anomalia del
servizio pubblico radiotelevisivo sarà il
problema dei problemi. |