Tempi duri per i conduttori. A un mese dalle elezioni
amministrative siamo in regime di par condicio.
Dettate, per la Rai, dal complicato regolamento
della Commissione di vigilanza. Quindi nessuna presenza
"ingiustificata" dei politici sugli schermi,
pesati con la bilancia del farmacista gli ospiti nei
programmi di approfondimento. E massima attenzione a
quello che dicono i non politici negli altri programmi,
casomai fossero così imprudenti da parlare di politica.
Il provvedimento della Commissione non contiene
novità di rilievo, né le disposizioni che l'anno
scorso aveva portato alla chiusa delle trasmissioni di
approfondimento nel periodo della campagna elettorale. Il
presidente Sergio Zavoli è riuscito a neutralizzare le
proposte del senatore Alessio Butti, che avrebbero
avuto effetti ancora peggiori di quelle del 2010. Bene.
Anzi, meno male.
Ma un regolamento pre-elettorale non basta a rendere
politicamente neutrale il servizio pubblico. Il
presidente del Consiglio, anche per la sua condizione di
imputato in diversi processi penali, dilaga sugli
schermi. Tutte le rilevazioni indicano che
nell'informazione televisiva la presenza del partito di
maggioranza prevale di larga misura su quella dei
partiti di opposizione.
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
registra la situazione (si veda il rapporto
relativo al periodo 1. gennaio - 31 marzo 2011). E
impone a TG1, TG4 e Studio aperto di riequilibrare
immediatamente il tempo dedicato alla maggioranza e all’opposizione,
"evitando altresì la sproporzione della presenza del Governo, specie in relazione alla campagna elettorale d’imminente
inizio". Vedremo con quali risultati.
Ma nel mondo di oggi la politica è spettacolo, è
televisione. E la televisione è politica. I comizi si
tengono più negli studi televisivi che nelle piazze. E
quando si tengono nelle piazze, sono fatti per la
televisione (come si vede dalle recenti gazzarre
organizzate davanti al Tribunale di Milano).
Proprio da questi fatti si può capire come funziona una
perfetta strategia di comunicazione politica.
In un paese democratico un capo di governo è
processato per gravi reati. E' in carica, non si è
dimesso, come accadrebbe altrove. L'interesse mediatico
è grande, anche all'estero. Il Tribunale decide di
escludere le telecamere dall'aula. I cronisti
protestano. Però la decisione è opportuna, anche
perché serve a evitare che l'aula giudiziaria si
trasformi in un set e che l'attore principale se ne
serva per la sua strategia di comunicazione.
Detto fatto, il set si sposta sulla strada. E qui il
primo attore riprende il suo ruolo, fa il suo comizio,
il pubblico organizzato applaude. Le televisioni
trasmettono il tutto: è notizia. Ma quando questa
notizia straripa nei telegiornali della Rai, diventa
politica. E contribuisce allo squilibrio
dell'informazione. Si aggiunge alla diffusione dei
videomessaggi prefabbricati che lo stesso primo attore
si fa confezionare su misura.
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
sembra accorgersene solo ora. E l'altro ieri, 12 aprile
2011, diffonde i suoi Chiarimenti
interpretativi sulla diffusione di “videomessaggi”
nei programmi di informazione, che consentono la
diffusione di videomessaggi nei telegiornali "solo in casi eccezionali di rilevante interesse pubblico e nel rispetto di modalità tali da non incidere sul pluralismo dell'informazione".
Osserva l'AGCOM: "Di norma, la diffusione di 'videomessaggi"
di soggetti politici e istituzionali nel corso di
telegiornali e programmi di informazione non dovrebbe
essere ammessa come forma abituale di comunicazione,
stante il rischio di incidere sui canoni di parità di
trattamento tra tutti i soggetti politici ed
istituzionali su cui si fonda il principio del
pluralismo politico in televisione". Ciò premesso,
ecco sei regole da rispettare:
a) I videomessaggi possono essere trasmessi nel
corso dei telegiornali solo in via eccezionale e laddove
strettamente connessi con l’attualità della cronaca,
rispondendo a primarie esigenze informative di rilevante
interesse pubblico.
b) I videomessaggi – qualora rivestano una durata
particolarmente lunga, comunque superiore a tre minuti -
non possono essere trasmessi nella loro integralità nel
corso del telegiornale e non possono essere trasmessi in
tutte le edizioni giornaliere del medesimo telegiornale.
c) I videomessaggi non possono essere riproposti nei
telegiornali dopo 48 ore dal verificarsi dell’evento.
d) Di norma, la diffusione del videomessaggio nel
telegiornale deve essere accompagnata da commenti di
altri soggetti onde assicurare un confronto dialettico
al fine della libera e consapevole formazione delle
opinioni degli ascoltatori.
e) Allo stesso fine di cui alla lettera d), la
diffusione di videomessaggi nei programmi di
approfondimento informativo deve sempre avvenire nell’ambito
di un confronto dialettico.
f) Nel corso della campagne elettorali non possono
essere trasmessi videomessaggi all’interno dei
telegiornali e dei programmi di informazione, al fine di
evitare confusione ontologica con i messaggi politici
autogestiti così come disciplinati dalla legge n. 28
del 2000 e dai relativi regolamenti attuativi.
"Confusione ontologica": l'Autorità vola
alto. A noi che viviamo terra-terra sembra che i
"chiarimenti" riguardino in sostanza l'uso
privato della televisione pubblica da parte del
Presidente del consiglio (ma non solo: ricordate,
qualche tempo fa, il videomessaggio di Gianfranco
Fini?). Ma non tutto è chiaro e sorge qualche dubbio:
le trasmissioni delle telefonate fatte da un uomo
politico ai suoi sostenitori, corredate da video di
repertorio, sono videomessaggi? E come la mettiamo con
le telefonate alle trasmissioni in diretta? Sono o non
sono paragonabili ai videomessaggi?
Sì, la confusione è grande. E' ontologica prima
ancora che ermeneutica. Forse epistemologica o
addirittura gnoseologica. Con il rischio di incorrere in
aporie. Una supercazzola prematurata con scappellamento
a sinistra. O a destra?
Come se fosse antani.
|