Il sistema dei media è al centro di una tempesta
perfetta. La rivoluzione digitale sta sconvolgendo tutti
i mercati storici singolarmente presi – carta
stampata, televisione, radio, cinema. Il web conquista
spazi vecchi e nuovi e liquida le certezze di un tempo
che fu. Il grande cambiamento è sia di tipo strutturale
(per semplificate internet, la convergenza digitale) sia
legato alla difficile situazione congiunturale (la crisi
ha provocato la caduta dei fatturati pubblicitari).
Chiunque prenderà in mano il governo del Paese,
insomma, dovrà assumersi anche la responsabilità di
immaginare nuovi scenari, nuove soluzioni che diano una
risposta a questa doppia crisi, che – ripeto – è
strutturale e congiunturale al tempo stesso.
Da dove cominciare? Partiamo dalla televisione e in
particolare dall’idea di servizio pubblico, la cui
responsabilità sta proprio nelle decisioni delle forze
politiche.
Prima domanda: può la Rai restare l’azienda che è
oggi? Per viale Mazzini è cominciato il conto alla
rovescia: meno tre. Mancano tre anni alla scadenza della
Convenzione Stato-Rai e non è scritto sulla pietra che
la Convenzione debba essere rinnovata così come lo fu
anni fa. Se si leggono le regole dell’Unione europea
si scopre, anzi, che anche i privati, a determinate
condizioni, possono aspirare a fare servizio pubblico.
Seconda domanda: può l’arcipelago delle
televisioni locali sopravvivere così come ha funzionato
fino a oggi, grazie soprattutto a finanziamenti a
pioggia sempre meno generosi, e che cominciano a
risentire pesantemente dei tagli alla spesa necessari
per combattere il mostro del debito pubblico? Ha senso
provare a trovare un filo conduttore che unisca il
destino della Rai a quello di alcune tv locali in nome
dell’idea di servizio pubblico?
Per la Rai la politica ha il dovere di chiarire che
cosa è giusto aspettarsi da un servizio pubblico
audiovisivo, non più solo televisivo. Mentre i partiti
devono fare un passo indietro rispetto alla gestione
quotidiana. E chi guiderà la Rai di domani non dovrà
più farsi condizionare da logiche partitocratiche d’antan,
dalla spartizione, dalla lottizzazione. Davanti a sé
avrà alcune difficili e importantissime scelte
strategiche: dal fare i conti con la frammentazione
degli ascolti alla necessità di riorganizzare l’offerta,
con in testa sia il tema della qualità sia soprattutto
la domanda che nasce dalla rete, da internet. Dovrà
arrivare alla separazione – anche proprietaria - fra
una Rai “operatore di rete” e una Rai “fornitrice
di contenuti”. E infine dovrà reinventarsi l’idea
stessa di servizio pubblico sui territori, regioni,
grandi e piccoli comuni.
Ed è proprio ripensando alla presenza sui territori
che si può intravvedere un nuovo ruolo per la Rai. Si
possono immaginare intrecci e legami che il futuro del
servizio pubblico potrebbe avere con il variegato mondo
delle televisioni locali.
Non si tratta di mettere insieme due debolezze ma di
costruire una nuova forza dall’unione di più
soggetti, una forza in grado di rispondere alle diverse
crisi di cui tutto il sistema soffre.
Da una parte la Rai che oggi fa i conti con una crisi
di credibilità, di identità, di ritardi tecnologici,
di bilancio. E che con l’aiuto che potrebbe dare alle
tv locali sia in termini economici, contrattuali, sia in
termini culturali e tecnologici, potrebbe recuperare un
ruolo centrale per il rilancio dell’idea stessa di un
servizio pubblico moderno e allargato.
Dall’altra le tv locali che stanno vivendo il
periodo più nero da quando, 38 anni fa, è nata l’emittenza
televisiva locale privata. Un numero crescente di tv
locali sta scoprendo che televendite e maghi non
seducono più nessuno. Non è meglio provare a fare
informazione per il territorio che coprono con il loro
segnale? Non è meglio offrire servizi ai cittadini
diventando televisioni di prossimità? Alcune tv locali
hanno già cominciato ad avventurarsi lungo queste
scelte di maggior servizio e qualità e per molte di
loro sta maturando la convinzione di meritare il
riconoscimento di piccoli e importanti servizi pubblici
locali. Le tv di prossimità, d’altra parte, arrivano
dove la Rai non può certo arrivare.
E poi: ha senso che ogni tv locale aspiri a diventare
operatore di rete? Non sarebbe più saggio consorziare
il patrimonio delle frequenze ed evitare lo spreco di
una risorsa che oggi non è più così carente come un
tempo e che tuttavia serve soprattutto ai servizi di
mobilità, al wi-fi, alle tlc?
Da qui la sfida che un nuovo governo dovrebbe
affrontare: è pensabile un processo graduale, un
percorso prudente quanto si vuole, il meno velleitario
possibile, che leghi nell’idea di servizio pubblico la
Rai e quelle tv locali pronte a garantire un’informazione
pluralista sulla base di contratti di servizio stipulati
con gli enti locali, Regioni, Comuni e la stessa Rai?
E gli enti locali non potrebbero impegnarsi nel
recupero dell’evasione, oggi del canone, domani della
tassa di scopo che dovrebbe sostituire il canone? E se
una quota di quanto recuperato venisse “girato”, in
base a regole chiare e predeterminate, a quelle tv
locali che più si impegnano a fare servizio pubblico di
prossimità? Sia la Rai sia le tv locali avrebbero solo
da guadagnarci a percorrere questa strada. E soprattutto
avrebbero da guadagnarci i cittadini che potrebbero
contare su più informazione e su più servizi.
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