Il conto alla rovescia è partito : giovedì 3 novembre
Michele Santoro sarà su tutti gli schermi. Non proprio
tutti, in verità. Il nuovo programma sarà sulle
frequenze di Sky (per chi paga, s'intende), sugli
schermi dei PC connessi al web, su altri delle TV
territoriali. Non su quelli della Rai, che lo ha buttato
fuori.
Il sito web della trasmissione si chiama serviziopubblico.it.
SERVIZIOPUBBLICO è il marchio che appare sui primi
video messi in rete. Con un cane da guardia come simbolo
dell'associazione che produce il programma.
Servizio pubblico? Michele Santoro continua a
descriversi come un uomo Rai, uno che del servizio
pubblico sente la missione. Ma non basta scriverlo sullo
schermo per trasformare una trasmissione in un servizio
reso alla collettività. Ci dobbiamo chiedere se un
singolo programma, realizzato da privati cittadini,
possa soddisfare i requisiti che dovrebbero distinguere
un servizio pubblico da un'iniziativa privata. La quale,
prima di tutto, deve avere anche un risvolto
commerciale. Perché senza soldi non si può andare
avanti.
E allora ecco l'idea di chiedere agli italiani un
contributo volontario di 10 euro. Per molti, coi tempi
che corrono, può essere un sacrificio. Ma l'idea è:
"Se la finanzi, questa trasmissione è tua".
Funzionerà?
Per dirlo dobbiamo aspettare una prima serie di puntate.
Ma già dalla prima potremo capire il senso
dell'iniziativa. Poi, se avrà successo, se riuscirà a
vivere grazie (anche) al sostegno della gente, ci sarà
un nuovo argomento nella discussione sul futuro dei
servizi pubblici. Che non sono già più
"radiotelevisivi", ma multimediali. O, come
dice qualcuno, "crossmediali".
Non è una questione di poco conto. Se ne discute da
sempre, da quando l'idea del servizio pubblico
radiofonico è nata nel Regno Unito, soprattutto per
opera di John Reith, primo direttore della British
Broadcasting Corporation. La "mitica" BBC.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti e i
compiti del servizio pubblico non sono più quelli
codificati da Reith nella formula "Informare,
educare, divertire". A livello europeo il servizio
dei media pubblici è visto come "direttamente collegato
alle esigenze democratiche, sociali e culturali di
ogni società, nonché all'esigenza di preservare il
pluralismo dei mezzi di comunicazione" (Protocollo
annesso al Trattato di Amsterdam, 1997).
La successiva elaborazione comunitaria ha ampliato e
precisato questa prima formulazione. Ed è in corso una
discussione approfondita sulla necessità di mantenere e
potenziare i servizi di media pubblici, fra l'altro per
realizzare tutti i programmi di valore informativo e
culturale che i privati non hanno interesse a
trasmettere (per un approfondimento, sul sito
dell'associazione Infocivica si possono leggere i
documenti del seminario del "Gruppo di Torino"
del 19 settembre scorso I
media di servizio pubblico nella società
dell'informazione e della conoscenza).
In tutto questo lo slogan "Serviziopubblico"
di Santoro sembra poca cosa. Ma può essere il punto di
partenza per una discussione sul ruolo del servizio
pubblico nell'Italia di domani. Perché nel 2012 si
dovrà rinnovare il contratto di servizio tra viale
Mazzini e il Ministero delle attività produttive, sulla
base della legge Gasparri. Che, per chi non lo
ricordasse, prevede la privatizzazione della Rai. Cioè
i media pubblici in mano privata. Con vaghi compiti di
servizio pubblico, che dovrebbero essere soddisfatti da
soggetti che operano in un'ottica commerciale.
Ne riparleremo dopo il 3 novembre.
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