Nei giorni scorsi, dopo la lettura del dispositivo, è stata finalmente
depositata la motivazione della prima (a quanto risulta) sentenza
di condanna per diffamazione a mezzo blog.
Il punto - va premesso - non è il carattere diffamatorio o meno dei post o dei
commenti. Tanto meno quello, contiguo, della censura (vera o presunta). D’altro
canto, non riesco a negare la possibilità, astratta, di una diffamazione per
mezzo di un blog anche se il regime giuridico del “resto del mondo” dovrebbe
essere allineato in toto alla più blasonata stampa. L’art. 21 Cost. riguarda
tutte le espressioni del pensiero, non soltanto quelle inchiostrate. Ma è un
discorso lungo e complicato che riprenderò, brevemente, soltanto alla fine di
questo contributo.
Al cuore, dunque, del problema, con le parole del giudice: “va subito detto
che, essendosi provato ut supra che il M. era il soggetto che aveva la
disponibilità della gestione del blog (noto con il nick di Generale Zhukov,
ndr.), egli risponde ex art. 596 bis c.p., essendo la sua posizione identica ad
un direttore responsabile”.
I fatti, così come ricostruiti e contestati. Su un blog intitolato ad una certa
persona (il citato “Generale Zhukov”) sono pubblicati alcuni post (per la
verità, si capisce che un brano è stato inserito come “anonimo”, dunque
dovrebbe trattarsi di un mero commento). Alcune persone si ritengono offese
nella reputazione, sporgono querela per diffamazione e il procedimento si avvia
sino ad arrivare alla sentenza in argomento.
L’imputazione formulata dal PM non prevede, in verità, alcun riferimento
alla stampa. Infatti, il terzo comma dell’art. 595 c.p. è richiamato, come
accade sempre per le questioni Web, esclusivamente per il “mezzo di
pubblicità”.
Del resto, almeno per quanto riguarda l’equiparazione blog=stampa, lo stesso
giudice non ha osato tanto, anche se, pur in un sillogismo viziato in radice,
sarebbe stata una logica premessa alla conclusione di cui sopra.
Ma è proprio questo, a ben vedere, il primo sintomo dell’erroneità dalla
motivazione: l’orfana figura del direttore responsabile.
La sentenza analizza approfonditamente la tesi accusatoria laddove essa
intende provare la paternità degli scritti, giungendo a riconoscere la
sussistenza di indizi (gravi, precisi e concordanti, come richiede il codice)
sull’imputato. Il fatto è che, forse in considerazione dell’esistenza di un
brano anonimo, il giudice si avventura sulla pericolosa - quanto contraria alla
legge - strada della... estensione analogica, peraltro in modo assolutamente
apodittico: se il blogger ha le “chiavi” del sito, allora è come il
direttore.
Verosimilmente, due sono stati i fattori che hanno condotto a questa
conclusione: un diffuso (forse inconsapevole) pregiudizio nei confronti della
Rete e una scarsa conoscenza del fenomeno (in particolare di un blog).
Ma la partita non può essere chiusa così perché la fissazione di quel
principio (blogger=direttore responsabile) potrebbe condurre ad applicazioni
aberranti relativamente ad altre realtà telematiche. Si pensi, ad esempio, ai
forum.
Internet non è stampa. Lo diceva già Zeno-Zencovich in un lucidissimo ed
ancora attuale articolo
al quale, giusto per comodità del lettore, va aggiunto, a mo’ di promemoria,
soltanto il testo dell’art. 1, della legge 47/48:” Sono considerate stampe o
stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque
ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla
pubblicazione”. Malgrado la legge Mammì sull’informazione via etere e l’ambigua
legge 62/2001 (il cui ambito è stato precisato definitivamente soltanto con l’art.
7, comma 3, del DLgv 70/2003) è evidente, pertanto, che anche il più
sofisticato tentativo di analogia non può reggere.
E se non è stampa, a maggior ragione, come suggerito sopra, chi gestisce un
sito non può essere sanzionato come direttore responsabile (e non come semplice
autore, si badi bene).
A nulla, d’altro canto, varrebbe ricordare che, secondo la tesi dominante, il
direttore non risponde per il fatto altrui, ma per un omesso controllo. Un blog
non è un giornale dove il direttore supervisiona, prima della stampa
definitiva, il giornale formato da contributi di un gruppo affidabile (i
redattori) o selezionati (lettere al direttore). Un blog è una realtà ben
diversa dove, pur per scelta consapevole – comunque telematicamente “normale”,
si dà accesso agli scritti dei visitatori che, spesso, sono innumerevoli,
dunque impossibili da controllare. E ciò, come detto, vale anche per i forum.
Parimenti, sarebbe errato fondare la responsabilità del blogger sulla
possibilità di un intervento successivo alla pubblicazione di scritti da parte
di terzi. Da un lato osta un evidente motivo pratico in quanto i commenti
possono diventare realmente troppi per essere efficacemente monitorati. Dall’altro
un concorso (di persone) successivo alla pubblicazione per opera di terzi
sarebbe ben difficilmente ipotizzabile. Dall’altro ancora, infine, ci si
dimentica troppo spesso che i diritti sanciti dall’art. 21 Cost. spettano a
tutti e non soltanto ai professionisti della stampa. Sicché sarebbe opinabile
la censura successiva da parte del titolare del sito laddove i contribuiti
possono, astrattamente, rientrare nella critica-cronaca lecita. E, ancora: che
dire dell’art. 14 del Dlgv 70/2001 (ove applicabile ai blog) che impone la
cancellazione di contenuti giudicati illeciti soltanto a seguito di ordine dell’autorità?
Ho già scritto, altrove, che, per Internet, si gioca molto sul concetto di
stampa, a seconda della convenienza.
Cammarata lo diceva
anni fa (Quando il sequestro è contro la
legge). Ed è arrivata una conferma da un giudice:
la stampa, ancorché telematica, non può essere sequestrata. Contrariamente a
quella in malam partem, l’analogia in bonam partem è conforme, in materia
penale, al nostro ordinamento: a quando un provvedimento di dissequestro di un
sito non testata fondato sull’art. 21 della Costituzione.?
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