Ancora in primo piano in tema dell'informazione
sull'internet. L'articolo di una settimana fa (Stampa e Rete,
il problema non è l'articolo 5) provoca due interessanti risposte. La prima
è firmata da Rodolfo Falvo, vice direttore della FNSI
(Federazione nazionale della stampa italiana, il sindacato dei giornalisti), la
seconda da Marco Mazzei, componente della commissione
che si propone di "mettere un po' di Internet nel sindacato", come
scrive lo stesso Mazzei.
Anche se i due interventi sono svolti a titolo personale e quindi non esprimono
una posizione ufficiale della FNSI, offrono molti elementi interessanti per fare
il punto sullo stato della discussione in questa delicatissima materia.
Ma, prima di entrare nel vivo dell'argomento, è
necessario sgomberare il campo da un paio di questioni che rischiano di
confonderci le idee. La prima è costituita dall'allarme lanciato da Peacelink
su una presunta proposta legislativa che obbligherebbe tutti i siti che fanno
informazione a chiedere la registrazione come testate giornalistiche e che
potrebbe obbligare molti siti informativi a chiudere i battenti. La notizia,
secondo Peacelink, sarebbe stata data da Franco Abruzzo, presidente
dell'Ordine dei giornalisti lombardo.
Non esiste alcuna proposta di legge in questo senso, e nessuno che abbia letto
l'articolo 21 della Costituzione può sognarsi di sostenerla. Sarebbe comunque
opportuno che Abruzzo chiarisse il suo pensiero, perché è evidente che alla
base di tutto l'allarme c'è un equivoco.
La seconda questione è quella del
"bollino", che da qualche tempo insigni esponenti della professione
giornalistica vanno predicando tra un convegno e l'altro, rivendicando il
diritto degli organi della categoria di decidere chi fa informazione e chi no.
Proposta assurda, corporativa nel senso peggiore del termine, e che potrebbe
avere un risultato assai diverso da quello prospettato: far distinguere a prima
vista l'informazione "libera" da quella "allineata" e
standardizzata come le banane insapori che si comperano nei supermercati.
La strada è un'altra, e la indica chiaramente Falvo: Come riconoscere l'informazione professionale on
line? è la domanda di fondo. Alla quale lo stesso Falvo risponde:
"Pensare... non ad una 'patente rilasciata da...', ma ad una libera 'autodichiarazione'
di rispondenza a requisiti professionali (almeno un iscritto all'Albo?) che si
aggiunga all'accettazione delle regole della 'netiquette' e delle leggi della
Repubblica. E di tale 'autocertificazione' dovrebbe risultare traccia nella
'home page' del sito, così come i giornali di carta portano la 'gerenza':
basterebbe una formula di poche parole e già non pochi siti lo fanno".
In sostanza il vicedirettore della FNSI sostiene
che la qualificazione di "organo di stampa" dovrebbe essere una scelta
di chi produce l'informazione, con l'assunzione di tutte le responsabilità
legate a questa scelta. L' affermazione va condivisa senza riserve, ma è
necessario porsi il problema di come si possa mettere in pratica nel contesto
dell'ordinamento attuale. Ne parliamo tra un attimo.
Invece desta perplessità un passaggio dell'articolo di Mazzei. Non
vogliamo la registrazione obbligatoria, dice Mazzei, e precisa: "La
richiesta del sindacato e, in particolare, del dipartimento on line di cui
parlavo, circa le testate telematiche è che ne venga resa obbligatoria la
registrazione. Ecco il punto centrale: si chiede che sia registrato il Corriere
della Sera on line, ma nessuno si sogna di chiedere la registrazione di Peacelink".
Ma il Corriere della sera on line non è
un giornale diverso da quello di carta: ha la stessa proprietà, lo stesso
direttore responsabile, pubblica le stesse notizie. Perché registrarlo due
volte? La ragione della proposta, con ogni probabilità, è di natura sindacale:
se il giornale on line è "stampa", chi ci lavora deve avere lo stesso
trattamento di chi produce l'edizione di carta. Mentre, sembra di capire, gli
editori vorrebbero negare questa elementare verità: un giornale è un giornale
in tutte le sue forme e la diffusione sulla carta, o via cavo, o con qualsiasi
altro mezzo, non cambia la natura del lavoro necessario per produrlo.
Ora è necessario stabilire un punto fermo. Se si
continua a considerare "stampa" solo quella che è tale per
l'ordinamento vigente, tanto vale chiudere la discussione e usare l'internet
solo per giocare o fare acquisti (di dubbia convenienza).
Per esempio, come si fa a consegnare, di un notiziario telematico, "quattro
esemplari alla Prefettura della provincia nella quale ha sede l'officina grafica
ed un esemplare alla locale Procura della Repubblica", come prescrive la
legge del 2 febbraio 1939 (millenovecentotrentanove!), modificata nel tempo, ma
mai abrogata?
Così si può rispondere a Falvo, che all'inizio della sua lettera lamenta la
mancanza di una definizione di "testata giornalistica" nel nostro
ordinamento: la definizione è contenuta nell'Editto sulla stampa del 26 marzo
1848 (milleottocentoquarantotto!), esplicitamente richiamato dall'ancora vigente
Regio decreto legislativo 31 maggio 1946 "Norme sul sequestro dei giornali
e delle altre pubblicazioni". Il quadro definitorio si completa con la
legge del 1948 e con il codice postale del 1973, che indica come stampe
periodiche quelle che "si pubblicano regolarmente con un intervallo non
eccedente i sei mesi fra un numero e l’altro con lo stesso titolo, non
costituiscono opere determinate e sono tali da poter durare indefinitamente, con
contenuto diverso tra un numero e l’altro"...
E' evidente che tutta la materia deve essere
rivista, in un sistema organico coerente con la realtà dell'informazione che si
è sviluppata in questi anni.
Si tenga presente che la legge 249/97,
istitutiva dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con l'articolo 1
assegna a questo organismo "la tenuta del registro degli operatori di
comunicazione al quale si devono iscrivere... le imprese editrici di giornali
quotidiani, di periodici o riviste e le agenzie di stampa di carattere
nazionale, nonché le imprese fornitrici di servizi telematici e di
telecomunicazioni ivi compresa l'editoria elettronica e digitale...".
L'Autorità deve emanare un "apposito regolamento" nel quale si
potranno indicare i criteri sulla base dei quali una pubblicazione telematica
può essere compresa nella nozione di "testata giornalistica".
Da qui potrà discendere, solo per queste pubblicazioni, l'obbligo di
iscrizione nel registro della stampa tenuto dal tribunale, ai sensi della legge
47/48. Ma con le dovute modifiche alla legge stessa, a cominciare dalla
previsione di "pubblicazione clandestina", e a tutta la vetusta
normativa in materia.
Quindi vi sarà, sempre solo per queste
pubblicazioni, l'obbligo di nominare un direttore responsabile e di indicare la
propria natura di "organo di stampa", con le altre informazioni
previste dalla legge, ma adattate alle caratteristiche specifiche del mezzo di
diffusione.
E per gli altri? Per gli altri vi sarà comunque un responsabile, che sarà la
persona (fisica o giuridica) che richiederà l'iscrizione, ovvero un soggetto
esplicitamente indicato nella domanda stessa. Per "gli altri" si
intendono non solo i siti di informazione che non scelgano di qualificarsi come
organi di stampa, ma tutti gli operatori che la stessa legge 249/97 obbliga a
iscriversi nel registro. Quindi anche i fornitori di hosting che possono
ospitare siti di informazione. I quali fornitori di hosting saranno
inevitabilmente responsabili dei contenuti ospitati, se non saranno in grado di
indicare i nomi di chi effettivamente mette on line i contenuti stessi. Un
vecchio discorso...
|