Il potere ha bisogno della
televisione, perché essa
stessa è un potere. (da
"L' anomalia" di
Manlio Cammarata - Iacobelli,
2009 - pag. 14)
Questa volta è il Censis,
il Centro studi investimenti
sociali presieduto da Giuseppe
De Rita, a dirlo con la forza
delle cifre: durante l' ultima
campagna per le europee e le
amministrative, il 69,3 per
cento degli elettori s' è
formato la propria opinione
attraverso i notiziari dei
telegiornali. E il dato, già
impressionante di per sé, sale
ulteriormente fra i meno
istruiti (76%), i pensionati
(78,7) e le casalinghe (74,1).
Al secondo posto, troviamo i
programmi di approfondimento
giornalistico della stessa
televisione (30,6). Segue la
carta stampata che è stata
determinante per il 25,4 per
cento degli elettori e quindi
Internet con appena il 2,3.
Altro che "calunnie",
"congiura dei giornali di
sinistra", "complotto
internazionale" e via
discorrendo, come proclamano il
presidente del Consiglio e i
suoi seguaci. Qui, ancora una
volta, è la tv che condiziona
pesantemente il voto degli
italiani. Come accade ormai da
quindici anni a questa parte:
dalla fatidica discesa in campo
del Cavaliere sulle onde dell'
etere, un bene pubblico che
appartiene allo Stato e quindi
a tutti noi, anche a quelli che
non votano per il centrodestra.
È l' effetto di un'occupazione selvaggia - non ci
stancheremo mai di ripeterlo -
iniziata a metà degli anni
Ottanta e proseguita fino ai
giorni nostri, con l'
acquiescenza o la complicità
di un' opposizione remissiva,
buonista o addirittura
compromissoria. A cui poi s' è
aggiunto, dal ' 94, un
conflitto d' interessi senza
uguali al mondo, con lo
strapotere mediatico di un capo
di governo che controlla
direttamente tre reti private e
indirettamente tre reti
pubbliche.
E pensare che c' è
ancora chi si ostina a
dissimulare l' anomalia
televisiva italiana, come fanno
l' ex senatore del
centrosinistra Franco
Debenedetti e l' ex componente
dell' Autorità sulle
comunicazioni Antonio Pilati,
trasferito poi all' Antitrust
per meriti acquisiti sul campo,
in un libro pubblicato dalla
stessa casa editrice che
appartiene al gruppo Berlusconi
e che recentemente ha rifiutato
un saggio del premio Nobel, José
Saramago, perché conteneva
accuse e giudizi critici sul
Cavaliere. È vero che il
marchio storico dell' Einaudi
è lo struzzo. Ma i due
co-autori fanno peggio che
nascondere la testa sotto la
sabbia, quando confondono la
concentrazione televisiva e
pubblicitaria con il conflitto
d' interessi, trascurando lo
status di concessionario
pubblico del nostro
premier-tycoon; oppure
estrapolano la tv dal contesto
del sistema dell' informazione,
ignorando gli effetti su tutti
gli altri media e in
particolare sulla carta
stampata; o ancora, invocano la
privatizzazione della Rai come
l' unica soluzione per
affrancarla dalla sudditanza
alla partitocrazia, quasi che
in Gran Bretagna non esistesse
la Bbc o un servizio pubblico
più che decente in altri Paesi
europei.
Ai cultori della
materia, si può consigliare
piuttosto il saggio rigoroso e
ben documentato di Manlio
Cammarata, citato all' inizio
di questa rubrica. Dal caso di
Rete 4 a quello di Europa 7, l'
autore ricostruisce
puntualmente "il monopolio
del potere da Mussolini al
digitale terrestre", sulla
base degli atti parlamentari e
delle sentenze, italiane ed
europee. La provocatoria
conclusione propone di
modificare così l' articolo 1
della Costituzione: "L'
Italia è una Repubblica
democratica fondata sulla
televisione. La sovranità
appartiene a chi possiede la
televisione, e la esercita come
gli pare". Ma forse quell'
aggettivo
"democratica" ormai
è di troppo.
Aspettiamo adesso
le prossime nomine alla guida
dei telegiornali Rai, dopo
quella di Augusto Minzolini al
Tg Uno. E vedremo fino a che
punto si avvererà la
"profezia di palazzo
Grazioli", per verificare
l' autonomia e l' indipendenza
del nuovo Cda di viale Mazzini.
Ma la verità è che al fondo
resta da risolvere un problema
di "governance", cioè
di assetto e struttura dell'
azienda, per sottrarre
finalmente la tv di Stato al
dominio dell' esecutivo, quale
che sia.
Se settanta o più
cittadini su cento vanno alle
urne sotto l' effetto ipnotico
della televisione, secondo l'
indagine del Censis, non c' è
poi da meravigliarsi più di
tanto che il voto venga
"dopo il tiggì" -
come cantava ai suoi tempi
Renzo Arbore - né tantomeno
che il governo si preoccupi di
insediare direttori di sua
completa fiducia. Il potere si
fonda sul controllo della tv. E
quando uno prova ad avvertire
nello studio di Porta a Porta
che il centrodestra governa con
il "consenso
esplicito" di appena il 35
per cento degli elettori,
segnalando una questione
fondamentale di rappresentanza
e di democrazia che non mette
in discussione la legittimità
dell' esecutivo in carica, il
ringhioso sottosegretario
Castelli insorge e brandisce
come una clava il suo 10,2 per
cento per imporre le ragioni
della Lega Norda quelle del Sud
e di tutto il resto del Paese.
Certo, anche in America il
presidente Obama è stato
eletto con un 34 per cento di
astensioni. Ma, a parte le
diverse tradizioni al di qua e
al di là dell' Atlantico, il
fattoè che nelle nostre ultime
politiche, ai 10 milioni 892
mila di astenuti più 1 milione
629 mila di schede bianche o
nulle, si sono aggiunti 3
milioni 692 mila voti validi ma
"inutili", cioè
dispersi, per effetto di quella
"porcata" della legge
elettorale che porta il nome
del leghista Calderoli: un
totale di non rappresentati
pari a 16 milioni 215 mila
persone. E ha ragione il
segretario del Pd, Dario
Franceschini,a consolarsi oggi
per il fatto che il
centrodestra esce in minoranza
dalle europee, con il 45,3 per
cento dei voti contro il 49,5
delle opposizioni più gli
"altri" minori,
sebbene questo fosse vero già
da prima.
Sono sicuri, allora,
i signori del governo di poter
governare davvero un Paese così
complesso, in un momento tanto
delicato e difficile, con un
"consenso esplicito"
che equivale a un terzo della
popolazione?E il dissenso
implicito, quello di tutti
coloro che non votano per il
centrodestra, dove lo mettiamo
e che cosa ne facciamo? Ma,
soprattutto, i leader del
centrodestra sono proprio
sicuri di avere un tale
consenso anche senza l'
appoggio determinante della
televisione e dei telegiornali?
Basterebbe magari risolvere il
conflitto d' interessi in capo
a Berlusconi e togliere le mani
dalla Rai, per avere infine una
controprova.
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