SENTENZA N. 231
ANNO 1985
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN, Presidente
Avv. ORONZO REALE
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI
Avv. ALBERTO MALAGUGINI
Prof. LIVIO PALADIN
Prof. ANTONIO LA PERGOLA
Prof. VIRGILIO ANDRIOLI
Prof. GIUSEPPE FERRARI
Dott. FRANCESCO SAJA
Prof. GIOVANNI CONSO
Dott. ALDO CORASANITI
Prof. GIUSEPPE BORZELLINO
Dott. FRANCESCO GRECO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità
costituzionale degli artt. 40 e 44 della legge 14
aprile 1975, n. 103 ("Nuove norme in materia di
diffusione radiofonica e televisiva"), promossi
con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 15 giugno
1978 dal pretore di Sassuolo nel procedimento civile
vertente tra Teleopus s.p.a. e U.N.I. s.n.c. iscritta
al n. 569 del registro ordinanze 1978 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38
dell'anno 1979;
2) ordinanza emessa il 7 maggio
1982 dal Giudice conciliatore di Lodi nel procedimento
civile vertente tra s.p.a. Diffusione Pubblicità e
s.r.l. Grey e Grey, iscritta al n. 490 del registro
ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 338 dell'anno 1982;
3) ordinanza emessa il 26 maggio
1982 dal Giudice conciliatore di Milano nel
procedimento civile vertente tra s.p.a. Diffusione
Pubblicità e s.r.l. Grey e Grey, iscritta al n. 491
del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 351 dell'anno
1982;
4) ordinanza emessa il 12 novembre
1982 dal Consiglio di Stato nel procedimento civile
vertente tra s.r.l. Incremento Audience-Televisivo e
Ministero delle PP.TT. ed altra, iscritta al n. 376
del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 246 dell'anno
1983;
5) ordinanza emessa il 23 febbraio
1983 dal T.A.R. delle Marche nel procedimento civile
vertente tra s.r.l. Ripetizione Programmi Televisivi e
Ministero PP.TT. ed altra, iscritta al n. 645 del
registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 18 dell'anno 1984.
Visti gli atti di costituzione
della D.P. Diffusione Pubblicità s.p.a., della I.A.T.
- Incremento Audience Televisivo, della s.r.l.
Ripetizione Programmi Televisivi nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 25
giugno 1985 il Giudice relatore Alberto Malagugini;
uditi gli avv.ti Giovanni Maria
Ubertazzi e Giuseppe Guarino per s.p.a. Diffusione
Pubblicità, s.r.l. Incremento Audience Televisivo e
s.r.l. Ripetizione Programmi Televisivi e l'Avvocato
dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Ai sensi dell'art. 40, primo
comma, della legge 14 aprile 1975, n. 103, recante
"Nuove norme in materia di diffusione radiofonica
e televisiva" i titolari di impianti ripetitori
via etere privati di programmi sonori e televisivi
esteri, il cui impianto ed esercizio é subordinato a
preventiva autorizzazione del Ministero delle poste e
delle telecomunicazioni (art. 38 l. cit.), sono
obbligati "ad eliminare dai programmi esteri
tutte le parti aventi, sotto qualsiasi forma,
carattere pubblicitario". Analogo obbligo - che
cioé "non siano diffusi messaggi pubblicitari
esteri o nazionali" - é posto dal successivo
art. 44, secondo comma, a carico dei titolari di
impianti già installati sul territorio nazionale alla
data di entrata in vigore della legge, il cui
funzionamento in via provvisoria é consentito (tra
l'altro, a tale condizione) fino al rilascio
dell'autorizzazione.
2. - Una questione di legittimità costituzionale del
citato art. 40, primo comma, l. 103/75 é stata
sollevata: a) dal Pretore di Sassuolo, in riferimento
all'art. 21 Cost., con ordinanza in data 15 giugno
1978 (r.o. 569/78).
Successivamente, analoghe questioni di legittimità
costituzionale del medesimo art. 40, nonché dell'art.
44, secondo comma, sono state sollevate, in
riferimento allo stesso art. 21, nonché agli artt. 3
e 41 Cost.; b) dal giudice conciliatore di Lodi con
ordinanza del 7 maggio 1982 (r.o. 490/82); c) dal
giudice conciliatore di Milano con ordinanza del 26
maggio 1982 (r.o. 491/82); d) dal Consiglio di Stato -
sez. VI giurisdizionale - con ordinanza del 12
novembre 1982 (r.o. 376/83); e) dal T.A.R. delle
Marche con ordinanza del 23 febbraio 1983 (r.o.
645/83).
I giudizi a quibus avevano rispettivamente ad oggetto:
1) quello sub a), la richiesta da parte della Teleopus
s.p.a., di pagamento del corrispettivo di un ordine
sperimentale di pubblicità da trasmettersi attraverso
l'antenna televisiva di Telemontecarlo, nei confronti
della quale la convenuta U.N.I. Pubblicità e
Marketing s.n.c. aveva eccepito che il consenso da lei
prestato doveva considerarsi viziato da errore, per
non esserle stato prospettato il divieto di irradiare
trasmissioni pubblicitarie posto dall'art. 40 l.
103/75;
2) quelli sub b) e c), altrettante richieste di
pagamento della D.P.-Diffusione Pubblicità s.p.a.,
che si era obbligata a far trasmettere dalla emittente
televisiva jugoslava di Capodistria ed a far
ritrasmettere da alcuni ripetitori italiani dei
fotogrammi pubblicitari dei prodotti della Grey &
Grey s.r.l., richiesta cui quest'ultima aveva opposto
che la normativa in questione non consente la
distribuzione in Italia di pubblicità radiotelevisiva
emessa dall'estero;
3) quelli sub d) ed e), altrettanti ricorsi della
I.A.T. - Incremento Audience Televisivo s.r.l. per
l'annullamento di diffide a ritrasmettere messaggi
pubblicitari da due impianti di ripetizione dei
programmi televisivi di Capodistria, emesse dalle
competenti direzioni compartimentali PP.TT., nonché -
nel secondo caso - dell'ordine di disattivazione e
sequestro dell'impianto emesso per l'inottemperanza
alla diffida.
La rilevanza delle questioni di costituzionalità
prospettate é stata dai giudici a quibus motivata,
nei primi tre casi, in riferimento all'incidenza delle
norme impugnate sulla validità dei contratti dedotti
in giudizio e, negli ultimi due, in quanto su di esse
si fonda il potere di emettere i provvedimenti
impugnati.
3. - In punto di non manifesta infondatezza, il
Pretore di Sassuolo (ord. 569/78) richiamava
innanzitutto la sentenza della Corte n. 225/74, con la
quale era stata ritenuta costituzionalmente
illegittima la riserva allo Stato delle attività
inerenti ai ripetitori di emittenti estere, in quanto
non operano su bande di trasmissione assegnate
all'Italia, potendosi solo ammettere che essi siano
sottoposti ad una disciplina legislativa in
considerazione della salvaguardia di pubblici
interessi.
Ciò premesso, il Pretore assumeva che il divieto
posto con l'articolo impugnato sarebbe in contrasto
col principio del pluralismo dell'informazione e della
libera diffusione del pensiero, garantito dall'art. 21
Cost., sotto un duplice profilo. In primo luogo
l'impossibilità di conseguire proventi pubblicitari
potrebbe, di fatto, impedire la libera circolazione
delle idee manifestate dalle emittenti straniere,
rendendo economicamente non sostenibile l'attività di
chi installi i ripetitori, nel territorio nazionale,
dei programmi diffusi da quelle emittenti. In secondo
luogo la norma, imponendo ai responsabili dei
ripetitori l'obbligo di eliminare dai programmi tutte
le parti aventi, sotto qualsiasi forma, carattere
pubblicitario attribuirebbe a costoro poteri di
controllo, di valutazione e di sanzione, insomma di
censura, anch'essi in contrasto con i principi
proclamati dall'art. 21 Cost. atteso che essi
"potrebbero censurare a loro piacimento qualsiasi
immagine, essendo sempre ravvisabile una forma di
pubblicità indiretta".
Sul primo dei suaccennati profili si incentravano le
censure mosse in riferimento all'art. 21 Cost. dagli
altri giudici a quibus. In particolare, i giudici
conciliatori di Lodi e Milano insistevano sulla
qualificazione come manifestazioni del pensiero dei
messaggi pubblicitari, sostenendo che in tale concetto
andrebbero incluse anche le informazioni che
permettono al cittadino di adeguare il suo
comportamento alle necessità pratiche della vita, ivi
compresi tali messaggi, in quanto consentono di
istituire utili confronti tra prodotti. Il Consiglio
di Stato ed il T.A.R. delle Marche, a loro volta,
ponevano l'accento sulla necessità del finanziamento
derivante dalla pubblicità per la copertura dei costi
di costruzione e gestione degli impianti ripetitori,
sicché dal divieto posto dalle norme impugnate
discenderebbe che la libertà di irradiare programmi
radiotelevisivi esteri viene in concreto limitata a
chi possa esercitare la relativa attività senza
trarre da essa i necessari mezzi di finanziamento.
4. - La censura mossa in riferimento all'art. 41 Cost.
é motivata dal Consiglio di Stato e dal T.A.R. delle
Marche sul rilievo che il divieto di ritrasmettere in
Italia la pubblicità delle emittenti radiotelevisive
estere costituirebbe un ingiustificato impedimento
all'esercizio di un'attività imprenditoriale in
quanto "non risulta finalizzato alla tutela di
qualche apprezzabile interesse pubblico" (ord.
376/83). Sul punto, i giudici conciliatori di Lodi e
Milano non svolgevano invece specifiche
considerazioni.
5. - Quanto poi al dedotto contrasto con l'art. 3
Cost., il Consiglio di Stato ed il T.A.R. delle Marche
sostenevano che "se l'interesse pubblico tutelato
dal divieto di ritrasmettere in Italia la pubblicità
delle emittenti radiotelevisive estere é quello di
favorire le emittenti italiane, lo stesso interesse
dovrebbe suggerire analoghe misure limitative nei
confronti della stampa estera".
Il giudice conciliatore di Milano elencava una serie
di "discriminazioni irragionevoli" poste in
evidenza dall'attrice nel giudizio a quo, senza
peraltro specificare quale di esse fosse a suo avviso
qualificabile per tale; quello di Lodi non motivava
specificamente sul punto.
6. - Nei giudizi instaurati con le ordinanze nn. 490 e
491/82 e 376, 645/83 sono intervenute, con memorie di
identico contenuto, le parti private D.P. e I.A.T.,
entrambe difese dagli avv.ti G.M. e L.C. Ubertazzi.
Oltre ad insistere sul rilievo circa la necessità del
finanziamento tramite la pubblicità ai fini della
sopravvivenza dei ripetitori di programmi esteri -
unica fonte da questi attualmente utilizzabile - le
parti private sottolineavano che per essi - a
differenza che per la RAI (sent. 225/74) e per le
emittenti private locali (sent. 202/76) - la Corte non
aveva segnalato al legislatore ordinario la necessità
od opportunità di porre limiti quantitativi alla
trasmissione di pubblicità e che, anche a ritenere
estensibili tali indicazioni ai ripetitori di
emittenti estere, ciò non poteva valere a
giustificare la radicale eliminazione della pubblicità
commerciale da queste trasmessa. Avendo infatti la
Corte ricollegato l'esigenza di introdurre tali limiti
a quella di evitare che possa inaridirsi una
tradizionale fonte di finanziamento della stampa, essa
ha per ciò stesso riconosciuto la funzione
insopprimibile della pubblicità per il finanziamento
di tutti i mezzi di manifestazione del pensiero, ivi
compresa la diffusione dei programmi esteri. La
necessità di limitare la pubblicità si spiega perciò
"con l'intento di evitare, lasciando senza
equilibrio la ripartizione dei finanziamenti, che uno
dei mezzi possa svilupparsi a detrimento degli
altri": ma per ciò stesso ne risulta illegittima
l'eliminazione totale, per uno di tali mezzi, del
finanziamento che la pubblicità può assicurare.
Le norme impugnate, inoltre, ad avviso degli
intervenuti, confliggerebbero con gli artt. 3, 21 e 41
Cost. in quanto introdurrebbero discriminazioni a
danno dei ripetitori di programmi televisivi esteri:
a) nei confronti dei distributori della stampa estera
in Italia (per la quale non vi sono limiti alle
inserzioni pubblicitarie), assimilabili ai primi
stante la sostanziale equiparazione tra stampa scritta
e trasmissioni televisive; b) nei confronti dei
ripetitori di programmi televisivi altrui, e cioé
della RAI e delle emittenti private nonché dei
ripetitori operanti nella provincia di Bolzano e nella
Valle d'Aosta, i quali "sono liberi di
trasmettere tutta la pubblicità inserita in
"radiodiffusioni sonore e visive emesse da
organismi radiotelevisivi esteri dell'area culturale
tedesca e ladina" (così l'art. 10 del d.P.R. 1
novembre 1973, n. 691) e rispettivamente
francese"; c) nei confronti, infine, delle
emittenti private in ambito locale.
7. - L'Avvocatura dello Stato si é costituita, in
rappresentanza del Presidente del Consiglio dei
ministri, in tutti i giudizi instaurati con le
predette ordinanze, svolgendo deduzioni di contenuto
sostanzialmente analogo.
Ad avviso dell'Avvocatura, deve anzitutto escludersi
che la pubblicità commerciale costituisca
manifestazione del pensiero tutelata dall'art. 21
Cost.: il che si evince sia dalla sentenza della Corte
131/73 - che ha ritenuto che di tale protezione
godesse la (sola) pubblicità meramente ideologica -
sia le sentt. 225/74 e 148/81, che "mostrano
chiaramente di riferirsi all'"informazione"
intesa restrittivamente quale fonte di formazione
della pubblica opinione". Né potrebbe ritenersi
che una violazione dell'art. 21 Cost. derivi
direttamente dal divieto posto dall'art. 40 l. 103/75,
sotto il profilo che, rendendo economicamente non
conveniente l'installazione dei ripetitori, potrebbe
di fatto impedire la diffusione in Italia dei
programmi delle emittenti estere, ritenuta necessaria
a garantire la libera circolazione delle idee e la
pluralità delle fonti d'informazione con la sent.
225/74. Con tale sentenza, e con la successiva n.
202/76, la Corte ritenne invero che limiti temporali
alla pubblicità dovessero essere introdotti - tanto
per il servizio pubblico che per le emittenti private
locali - al fine di evitare l'inaridirsi di una fonte
tradizionale di finanziamento della stampa: ed alla
medesima finalità é ispirata la norma in questione,
coerente in ciò con l'affermazione della Corte circa
la legittimità di una disciplina legislativa dei
ripetitori di emittenti estere volta alla salvaguardia
di pubblici interessi. Che poi nella specie sia
imposta l'eliminazione integrale, e non la sola
limitazione temporale della pubblicità si giustifica
col fatto che il titolare del ripetitore non ha alcun
potere di disposizione sul contenuto dei programmi -
che può soltanto ritrasmettere integralmente - e
perciò "non può essere assoggettato, e comunque
non può esserlo efficacemente, a limitazioni ed
obblighi che incidono appunto sulla organizzazione ed
articolazione dei programmi".
D'altra parte, mentre per la concessionaria e le
emittenti locali la pubblicità "può essere
considerata la indispensabile, se non l'unica fonte di
finanziamento", altrettanto non vale per le
emittenti estere, che hanno già assicurato la loro
autonoma fonte di finanziamento e che perseguono
finalità "promozionali ovvero di diffusione
oltre i confini delle culture nazionali, diverse
dall'incremento degli introiti connessi alla
diffusione dei messaggi pubblicitari".
La schermatura della pubblicità nella ripetizione dei
programmi stranieri - proseguiva l'Avvocatura da un
lato non contrasta con la ratio della liberalizzazione
consistente nel garantire il pluralismo delle fonti di
informazione (sentt. 225/74 e 148/81) e perciò a queste
limitata - dall'altra é congruente con le ragioni
giustificatrici del monopolio statale delle emissioni
su scala ultralocale, atteso che i messaggi
pubblicitari diffusi su tale scala sono dotati di
quella "peculiare capacità di persuasione ed
incidenza" (sent. 148/81) che giustifica la
riserva statale.
Quanto poi alle pretese violazioni dell'art. 3 Cost.
prospettate dai giudici a quibus o dalle parti
private, l'Avvocatura osservava che la diversa
disciplina tra la pubblicità televisiva e quella
sulla stampa é giustificata dalla differenza tra i
due mezzi di diffusione e che "altra cosa é la
ripetizione di programmi RAI, che é legittima
monopolista, dalla ripetizione di programmi esteri, la
cui libertà di espansione sul territorio nazionale é
funzionalizzata, come si é visto, alla informazione
(non commerciale); altra cosa é, ancora, la
ripetizione di programmi privati, che é limitata
all'ambito locale, da quella di programmi esteri che
tale limite non ha; altra cosa, infine, sono la
Provincia di Bolzano e la Regione della Val d'Aosta -
caratterizzate dal bilinguismo e facenti parte di due
omogenei bacini socio-culturali mitteleuropei e
trasnazionali - rispetto al restante territorio
nazionale".
Né maggior fondamento, ad avviso dell'Avvocatura,
hanno le censure prospettate in riferimento all'art.
41 Cost.. La violazione di tale norma non può farsi
discendere dalla tutela della libertà di
manifestazione del pensiero garantita dall'art. 21
Cost., atteso che questa non comporta il diritto alla
disponibilità dei mezzi di diffusione delle
informazioni (e quindi, il diritto ad esercire la
relativa impresa e ad esercirla secondo certe modalità)
e che, anzi - secondo la giurisprudenza della Corte -
l'impresa privata di emissione non può essere libera,
ma deve, invece, essere subordinata al prevalente
interesse pubblico alla diffusione su scala nazionale,
soddisfatto da un servizio pubblico essenziale
legittimamente gestito in regime di monopolio.
D'altra parte, il divieto di diffondere in Italia le
parti dei programmi esteri aventi carattere
pubblicitario, non solo risponde, per le ragioni già
dette, ad un apprezzabile interesse pubblico, ma
costituisce misura idonea ad evitare un trattamento
ingiustificatamente privilegiato per le emittenti
estere "che non troverebbe compensazione in
operazioni inverse, dato che altri paesi europei
mantengono tuttora il monopolio dei servizi
radiotelevisivi, con la conseguenza che i programmi
italiani non possono essere ricevuti attraverso
ripetitori installati in altri paesi".
In mancanza del divieto in questione, d'altronde,
risulterebbe praticamente impossibile far rispettare
le norme italiane che vietano la pubblicità di certi
prodotti: e ciò, ad avviso dell'Avvocatura, conferma
la esistenza al riguardo di un apprezzabile interesse
pubblico.
8. - Nell'imminenza dell'udienza le parti private D.P.
e I.A.T. nonché la R.T.P. (parte nel giudizio di cui
all'ordinanza del T.A.R. delle Marche) hanno
depositato memorie di identico tenore, sostenendo: a)
che secondo le più recenti rilevazioni il fatturato
pubblicitario delle TV estere é assai modesto e
quindi non in grado di avere aprezzabili ripercussioni
sul finanziamento della stampa; b) che il trattamento
discriminatorio introdotto con le norme impugnate
permane anche dopo l'emanazione del d.l. 807/84
(convertito con la legge 10/85), che all'art. 3 bis ha
introdotto limiti temporali per la pubblicità
trasmessa dalle emittenti private; c) che sarebbe
possibile - anche tecnicamente - eliminare il divieto
assoluto in discorso lasciando impregiudicato quello
di praticare determinate forme di pubblicità e/o di
pubblicizzare prodotti per i quali la legge italiana
prevede dei divieti.
Considerato in diritto
1. - Le cinque ordinanze di
rimessione - del Pretore di Sassuolo, dei Giudici
Conciliatori di Milano e di Lodi, del Consiglio di
Stato, sezione VI giurisdizionale, e del T.A.R. delle
Marche - sollevano tutte, in riferimento ad una
pluralità di parametri, questioni di legittimità
costituzionale dei medesimi disposti degli artt. 40 e
44 della legge 14 aprile 1975, n. 103, che fanno
obbligo ai titolari di impianti ripetitori, via etere,
nel territorio nazionale, di programmi sonori e
televisivi irradiati da emittenti estere, di eliminare
dai programmi medesimi i messaggi pubblicitari
commerciali.
I cinque giudizi possono, perciò, venire riuniti e
decisi con unica sentenza.
2. - La legge n. 103 del 1975 é stata approvata a
seguito ed in conseguenza delle sentenze nn. 225 e 226
del 1974 di questa Corte, che hanno sottratto alla
esclusiva statale gli impianti ripetitori dei
programmi emessi da stazioni televisive estere nonché
le emittenti private via cavo su scala locale, oltre
ad enunciare i criteri cui avrebbe dovuto attenersi la
nuova disciplina del monopolio statale del mezzo
radiotelevisivo, nell'ambito in cui ne veniva
riaffermata la legittimità.
In particolare, con la sentenza n. 225 del 1974, la
Corte ha negato che detto monopolio potesse
"abbracciare anche attività, come quelle
inerenti ai c.d. ripetitori di stazioni trasmittenti
estere" perché "in questo particolare
settore, senza apprezzabili ragioni, l'esclusiva
statale sbarra la via alla libera circolazione delle
idee, compromette un bene essenziale della vita
democratica, finisce per realizzare una specie di
autarchia nazionale delle fonti di informazione".
Aggiungeva la Corte potersi ammettere "che
l'impianto e l'esercizio di siffatti ripetitori
debbono essere sottoposti ad una disciplina
legislativa, in considerazione della salvaguardia di
pubblici interessi", adeguatamente tutelabili,
peraltro, "con un regime di autorizzazione".
3. - In adesione alla pronuncia qui sopra citata, agli
"impianti ripetitori via etere privati di
programmi sonori e televisivi esteri e
nazionali", é stato dedicato il titolo III della
legge n. 103 del 1975 (artt. 38-44).
Specificatamente, per quanto concerne gli
"impianti ripetitori destinati esclusivamente
alla ricezione ed alla contemporanea ed integrale
diffusione via etere nel territorio nazionale dei
normali programmi sonori e televisivi irradiati dagli
organismi esteri esercenti i servizi pubblici di
radiodiffusione nei rispettivi Paesi, nonché degli
altri organismi regolarmente autorizzati in base alle
leggi vigenti nei rispettivi Paesi, che non risultino
costituiti allo scopo di diffondere i programmi nel
territorio italiano", l'impianto e l'esercizio ne
é subordinato alla preventiva autorizzazione del
Ministero delle poste e delle telecomunicazioni (art.
38, primo comma).
Scopo preminente dell'autorizzazione (da rilasciare
soltanto previo parere favorevole dei Ministri degli
affari esteri, dell'interno e della difesa) é quello
di assegnare la frequenza di funzionamento degli
impianti, che "comunque non debbono interferire
con le reti del servizio pubblico nazionale di
radiodiffusione circolare, né con gli altri servizi
di telecomunicazione" (ibidem, secondo comma).
L'autorizzazione in parola "obbliga il titolare
ad eliminare dai programmi esteri tutte le parti
aventi, sotto qualsiasi forma, carattere
pubblicitario" (art. 40, primo comma).
Con disposizione di carattere transitorio (art. 44), i
titolari di impianti ripetitori (per quanto qui
interessa) di programmi sonori e televisivi irradiati
da stazioni estere, (già) installati nel territorio
nazionale, sono autorizzati a gestirli in via
provvisoria fino al rilascio dell'autorizzazione,
sempreché ne abbiano presentato domanda nel termine
ivi fissato ed "a condizione... che non vengano
diffusi messaggi pubblicitari esteri o
nazionali".
4. - Va, infine, ricordato, per completezza, che, con
la sentenza n. 202 del 1976, questa Corte ha
dichiarato la illegittimità costituzionale della
normativa (artt. 1, 2 e 45 della legge n. 103 del
1975) che non consentiva, "previa autorizzazione
statale e nei sensi di cui in motivazione,
l'installazione e l'esercizio di impianti di
diffusione radiofonica e televisiva, via etere, di
portata non eccedente l'ambito locale".
Con la sentenza in esame, veniva affermata la
"necessità dell'intervento del legislatore
nazionale" perché l'esercizio del riconosciuto
diritto di iniziativa privata si armonizzi e non
contrasti con il preminente interesse generale (di cui
sopra) - della diffusione via etere su scala nazionale
di programmi radiofonici e televisivi affidata al
monopolio statale - e venivano dettati alcuni criteri
cui il legislatore medesimo era invitato ad attenersi.
Le sollecitazioni di questa Corte non sono state, però,
raccolte per oltre otto anni e soltanto con il d.l. 6
dicembre 1984, n. 807, convertito con modificazioni,
nella legge 4 febbraio 1985, n. 10 venivano emanate
"disposizioni urgenti in materia di trasmissioni
radiotelevisive", nessuna delle quali, peraltro,
concerne specificatamente gli impianti ripetitori di
programmi esteri. La normativa ora considerata
contiene il preannuncio di una "legge generale
sul sistema radiotelevisivo", ma il termine di
sei mesi dall'entrata in vigore del d.l. 807 del 1984,
previsto per tale adempimento, é già stato
prorogato, una prima volta, al 31 dicembre 1985, con
il d.l. 1 giugno 1985, n. 223, convertito nella l. 2
agosto 1985, n. 397.
5. - In questo quadro legislativo, frammentario e
dichiaratamente transitorio, condizionato dai
mutamenti di fatto intervenuti e consolidati nel
settore radiotelevisivo nazionale, soprattutto privato
(che trovano disciplina temporanea nel succitato d.l.
807 del 1984 e nella relativa legge di conversione); a
fronte delle straordinarie innovazioni già assicurate
o promesse dallo sviluppo scientifico e tecnologico;
la questione decidenda, concernente il divieto
assoluto, posto alle imprese di ripetizione, di
diffondere via etere i messaggi pubblicitari
commerciali irradiati, con i loro programmi, dalle
emittenti estere, appare di scarso spessore pratico e
tale da interessare un'area imprenditoriale
quantitativamente e territorialmente modesta.
Il divieto, infatti, riguarda la parte pubblicitaria
soltanto di quei programmi sonori e televisivi emessi
da stazioni estere - in pratica installate in Paesi
confinanti con il nostro che o per la debolezza del
segnale o per l'esistenza di ostacoli naturali non
sono ricevibili direttamente in talune zone del
territorio nazionale, come, invece, possono esserlo in
altre.
Da ciò la peculiarità della situazione in esame,
posto che l'attività della quale si censura la
disciplina legislativa, per ciò che riguarda i
messaggi pubblicitari commerciali, é esclusivamente
quella delle imprese di ripetizione (e non già delle
emittenti).
6. - Tanto precisato, giova tuttavia ricordare che
sulla natura e sul ruolo della pubblicità commerciale
nel sistema radiotelevisivo e più in generale
dell'informazione questa Corte si é ripetutamente
pronunziata.
Con la sopracitata sentenza n. 225 del 1974, trattando
della emananda normativa sul monopolio statale del
mezzo radiotelevisivo, venne affermato (punto 8,
lettera c della motivazione) doversi prevedere
"che attraverso una adeguata limitazione della
pubblicità, si eviti il pericolo che la
radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di
finanziamento della libera stampa, rechi grave
pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa
oggetto di energica tutela".
Con la coeva sentenza n. 226 del medesimo anno 1974,
il concetto veniva, quanto meno implicitamente,
ribadito affermandosi che la disciplina legislativa
concernente l'installazione e l'esercizio delle reti
private di televisione via cavo su scala locale
avrebbe dovuto "assicurare, che nel rispetto
della libertà di manifestazione del pensiero, e
d'iniziativa economica, siano salvaguardati gli
interessi pubblici che, in varia guisa, possono
entrare in gioco".
Infine, con la sentenza n. 202 del 1976, (di cui supra,
sub 4) il legislatore veniva invitato a stabilire (n.
8, lettera c) "limiti temporali per le
trasmissioni pubblicitarie" (delle emittenti
radiotelevisive private, via etere, in ambito locale)
"in connessione con gli analoghi limiti imposti
al servizio pubblico affidato al monopolio
statale".
7. - A tali orientamenti si é informata,
sostanzialmente, la normativa statale.
La legge n. 103 del 1975, infatti - a parte il divieto
del quale qui si discute - si occupa della pubblicità
commerciale in riferimento tanto al servizio pubblico,
che deve contenerla nella durata complessiva del 5 per
cento della durata delle trasmissioni sia televisive
sia radiofoniche (art. 21, secondo comma; cfr. anche
art. 21, primo comma; art. 4, primo comma, sesto
alinea), quanto agli impianti privati di diffusione
sonora e televisiva via cavo, per i quali viene
fissato un limite temporale sostanzialmente analogo
(art. 30, quarto comma, lettera a).
Il d.l. n. 807 del 1984, nel testo risultante per
effetto della legge di conversione (n. 10 del 1985),
all'art. 3 bis, n. 1, ridetermina, in termini
quantitativi ragguagliati alle ore settimanali di
trasmissione di programma e ad ogni ora di effettiva
trasmissione, i limiti entro i quali é consentita la
trasmissione di messaggi pubblicitari ad opera di
emittenti private, e demanda tale compito (ibidem n.
2), quanto al servizio pubblico, alla Commissione
parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza dei
servizi radiotelevisivi, fermo il limite di cui al
sopracitato art. 21, secondo comma, della legge n. 103
del 1975.
8. - Da quanto sin qui ricordato si ricava che, nel
sistema di settore, il tempo di trasmissione dei
messaggi pubblicitari commerciali con il mezzo
radiotelevisivo, sia pubblico che privato, é limitato
dalla legge, che aderisce, per questo aspetto, ai
richiamati orientamenti della Corte.
Tali orientamenti, espressi nella motivazione di
sentenze con le quali sono state decise questioni di
legittimità costituzionale non concernenti la
disciplina della pubblicità con il mezzo
radiotelevisivo, non consentono, come invece
sostengono le difese delle parti private, di riferirli
al dettato dell'art. 21 Cost..
Al contrario, la netta distinzione tra le
manifestazioni del pensiero delle quali, nei limiti
ivi previsti, viene affermata la libertà da un lato,
e la pubblicità commerciale, della quale viene
sottolineata la natura di "fonte di
finanziamento" degli organi di informazione,
dall'altro, sta ad indicare in modo inequivoco che
quest'ultima é considerata una componente
dell'attività delle imprese, come tale assistita
dalle garanzie di cui all'art. 41 Cost., e
assoggettabile, in ipotesi, alle limitazioni ivi
previste al secondo e terzo comma.
E le limitazioni quantitative ai tempi delle
trasmissioni pubblicitarie commerciali con il mezzo
radiotelevisivo suggerite dalla Corte ed adottate dal
legislatore rientrano appunto nella indicata
previsione costituzionale, avendo lo scopo di
garantire una condizione ritenuta essenziale perché
possa aversi pluralismo nell'informazione, dal momento
che l'apporto rappresentato dagli introiti
pubblicitari é considerato indispensabile per la
sopravvivenza dei mezzi di comunicazione di massa, si
tratti di organi di stampa ovvero delle emittenti
radiotelevisive, pubbliche e private.
Accanto a questa esigenza di carattere generale, altra
se ne viene prospettando di uguale segno per la tutela
dell'utente- consumatore, e a tal fine si auspica una
disciplina non solo dei tempi, ma anche delle modalità
di presentazione dei messaggi pubblicitari
(l'importanza di tale aspetto della disciplina delle
trasmissioni pubblicitarie é sottolineata, tra
l'altro, dalla raccomandazione del Comitato dei
Ministri del Consiglio d'Europa n. R (84) 3 del 23
febbraio 1984, che sollecita in particolare, a questo
proposito, la chiara identificazione del messaggio
pubblicitario come tale, la separazione della
pubblicità dai programmi, l'accorpamento dei
messaggi, la limitazione dei tempi dedicati alla
pubblicità, il divieto della pubblicità subliminale:
v. punti da 6 a 10 dei "Principi"). Ma tale
questione é estranea al presente giudizio e resta
rimessa alla iniziativa del legislatore.
9. - Vero é che la fattispecie decidenda non
riguarda, come già si é avvertito, le imprese di
trasmissione radiotelevisiva, ma quelle di
ripetizione, il che, di per sé, rafforza
l'argomentazione in ordine al parametro costituzionale
di riferimento.
Invero, la libertà di iniziativa economica privata,
in questo campo, é stata riconosciuta, in regime di
autorizzazione, con la sent. n. 225 del 1974, in
quanto ritenuta strumentale rispetto alla "libera
circolazione delle idee" diffuse dalle emittenti
estere, così da evitare che finisca per realizzarsi
"una specie di autarchia nazionale delle fonti di
informazione".
Ora le disposizioni di legge censurate non riguardano,
e perciò non limitano, la "libera circolazione
delle idee", vale a dire dei programmi emessi
dalle stazioni estere, ché, anzi, l'impresa di
ripetizione deve diffonderle via etere nel territorio
nazionale (contemporaneamente ed) integralmente.
Il divieto legislativo riguarda esclusivamente i
messaggi pubblicitari commerciali esteri e nazionali
ed il giudizio si esaurisce perciò nella valutazione
della legittimità del divieto medesimo rispetto alla
affermata libertà di iniziativa economica privata per
quanto attiene all'impianto ed alla gestione di
apparecchi ripetitori, nel territorio nazionale, di
emissioni radiotelevisive provenienti da stazioni
estere.
É, dunque, soltanto l'impresa di ripetizione a dover
essere considerata per questo unico aspetto della sua
attività, essendo estranei al presente giudizio, e
diversamente disciplinati dalla legge in modo
specifico sia l'assegnazione delle frequenze di
funzionamento che i divieti di pubblicità di
determinati prodotti.
Una volta ritenuto che la pubblicità commerciale
costituisce attività di impresa, resta da verificare
se essa sia tale anche per la impresa di ripetizione.
La risposta non può che essere affermativa.
In proposito le difese delle parti private assumono
che l'attività di ripetizione di emissioni
radiotelevisive estere, inariditisi ormai i possibili
finanziamenti ad opera dell'industria elettronica
italiana, può reggersi, coprendo i costi di
installazione, manutenzione e gestione dei propri
impianti, solo se finanziata dalla emittente estera
e/o dalla sua concessionaria pubblicitaria.
Diretto o indiretto che sia, il finanziamento
pubblicitario si rivelerebbe perciò indispensabile
per l'impresa di ripetizione, di talché il divieto
assoluto, di cui alle disposizioni di legge
denunziate, si porrebbe come ostativo, almeno
tendenzialmente, alla loro stessa sopravvivenza.
Non é, però, necessario accertare se gli, eventuali,
introiti pubblicitari siano o meno assolutamente
necessari alle imprese di ripetizione. Invero é
sufficiente constatare - come é del tutto pacifico -
che la (ri)trasmissione dei messaggi pubblicitari
commerciali rientra tra le attività delle imprese in
questione. Se così é, spetta alla Corte individuare
lo scopo della normativa denunziata - che una tale
attività proibisce -; vale a dire il fine di utilità
sociale, cui é vincolata la discrezionalità
legislativa in materia. Spetta ancora alla Corte
verificare "il rapporto di congruità tra mezzi e
fini, per salvaguardare la libertà garantita contro
interventi arbitrariamente restrittivi o contro
interventi che praticamente annullano il diritto
primario inerente alla libertà stessa" (sent. n.
78 del 1970).
Senza dubbio il fine di utilità generale perseguito
dal legislatore nella fattispecie normativa in esame
consiste nella esigenza di non "inaridire una
tradizionale fonte di finanziamento della stampa"
e degli altri mezzi di informazione, così da
garantire, attraverso una ripartizione tra di essi di
questa medesima fonte, il massimo di pluralismo nel
settore.
Altri scopi, che pure sono stati evocati nel dibattito
parlamentare e dottrinale - quali quello di evitare
l'inquinamento delle frequenze, la pubblicizzazione
vietata di determinati prodotti od attività, ovvero
la commissione di illeciti valutari o l'elusione di
obblighi tributari - sono estranei alla normativa in
esame e trovano specifica tutela in altri disposti
della medesima legge denunziata o di leggi diverse,
che l'esercizio dell'attività di ripetizione non
autorizza certamente a violare.
Rispetto al fine che il legislatore del 1975 ha inteso
perseguire (il medesimo, cioé, per cui sono state
dettate semplici limitazioni quantitative dei messaggi
pubblicitari per il monopolio statale e le emittenti
private) il divieto assoluto del quale si discute
appare mezzo incongruo e sproporzionato per eccesso e
perciò illegittimo per contrasto con l'art. 41,
secondo comma, Cost..
L'esigenza di garantire una delle condizioni ritenute
necessarie perché si abbia pluralismo
nell'informazione, viene, certamente, in
considerazione anche per quanto concerne la (ri)trasmissione
via etere nel territorio nazionale, per mezzo di
ripetitori, dei messaggi pubblicitari commerciali
irradiati da emittenti estere, nel senso che occorre
impedire un incontrollato assorbimento, attraverso
questo canale, delle risorse finanziarie derivanti
dalla pubblicità stessa.
Peraltro anche a tacer del fatto che, secondo dati di
comune conoscenza, la pubblicità delle TV estere
occupa una quota modesta (e decrescente negli ultimi
anni) del mercato pubblicitario, la peculiarità
dell'impresa di ripetizione, per i suoi costi di
impianto, manutenzione e gestione certamente diversi e
inferiori a quelli di una impresa di trasmissione, da
un lato, e per la identificabilità, anche in termini
quantitativi, dei bacini di utenza da essa serviti,
dall'altro, non consente di operare sulla base del
raffronto con diverse situazioni di settore. Resta
perciò in capo al legislatore e non a questa Corte la
competenza ad imporre, determinandone la misura,
limiti quantitativi alla ripetizione sul territorio
nazionale a mezzo di appositi impianti dei messaggi
pubblicitari commerciali nazionali ed esteri.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità
costituzionale degli artt. 40, primo comma e 44,
secondo comma, ultima parte, della legge 14 aprile
1975, n. 103.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 ottobre
1985.
GUGLIELMO ROEHRSSEN, PRESIDENTE
ALBERTO MALAGUGINI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 17 ottobre 1985.
|