Alcune disposizioni del
"decreto
competitività" del 4
luglio scorso interessano i
giornalisti free lance: 1) l'obbligo di far
passare tutti i movimenti di
denaro relativi all'attività
professionale attraverso un
conto corrente postale o
bancario; 2)la riscossione dei
compensi solo con "assegni non trasferibili o bonifici
ovvero altre modalità di pagamento bancario o postale nonché mediante sistemi di pagamento
elettronico"; 3)l'abolizione delle "tariffe
obbligatorie fisse o
minime" per le attività
libero-professionali o
intellettuali. Quest'ultima
disposizione ci riguarda
solo indirettamente, come
vedremo tra poco.
Il primo punto ha dato luogo a
interpretazioni discutibili.
Infatti si è detto che, in
forza di queste disposizioni, i
liberi professionisti sono
obbligati a tenere almeno due
conti correnti postali o
bancari, per separare incassi e
spese professionali dai
movimenti personali.
Sembra una presa
in giro, nel momento in cui
sono sotto accusa i costi
spropositati applicati dalle
banche italiane per i rapporti
di conto corrente. Il
doppio conto appare quindi un balzello in più per una
categoria, quella dei
giornalisti free-lance, che non
brilla certo per il livello
medio dei compensi.In realtà l'art. 35 del
decreto prevede l'obbligo di
servirsi di un conto corrente
bancario o postale per tutti i
movimenti di denaro relativi
all'attività professionale, ma
non vieta in alcun modo di far
passare sullo stesso conto
somme diverse. Dunque non è
necessario avere almeno due
conti.
Però la separazione tra la
contabilità professionale e
quella personale può essere
molto utile nel caso di
"accertamenti" da
parte dell'amministrazione
fiscale. Che potrebbe chiedere
spiegazioni su entrate e uscite non
riportate nei rispettivi
registri, con tutti i problemi
che ne derivano. Come ben sa
chi è incappato nell'incubo
kafkiano dei "parametri", con i
quali l'Agenzia delle entrate
spreme con burocratica ferocia, anche in violazione
di norme legislative e
regolamentari, i contribuenti onesti
(gli
altri chiedono il condono e si
mettono al sicuro, pagando
comunque meno del dovuto).
In sostanza il fisco chiede
che ogni movimento di denaro
lasci una "traccia
elettronica". Non è un
problema per chi, lavorando
solo per società editoriali,
deve comunque emettere fattura
per essere pagato. Tanto
dovrebbe bastare per limitare
l'arbitrio delle
"presunzioni", in
forza delle quali ogni
contribuente che non sia un
ricco professionista o un
dipendente è ipso facto
colpevole di evasione fiscale
ed è costretto a provare il
contrario. Con buona pace dello
"Stato di diritto".
Dunque, se c'è la scelta tra tenere uno
solo o
più rapporti bancari, la
soluzione del doppio conto può
essere utile per rendere più
facilmente sostenibili
eventuali controversie sulle
tasse pagate o non pagate.
Passiamo ora all'altro
punto, quello dell'abrogazione
delle "tariffe
obbligatorie fisse o
minime", che richiede un
discorso più complesso.
Va detto subito
che, a differenza di altre
professioni, per l'attività
giornalistica non esistono
compensi minimi da rispettare
per legge. Il tariffario che
ogni anno viene pubblicato
dall'Ordine dei giornalisti ha un
puro valore di riferimento.
In pratica non viene rispettato quasi
mai ed è preso in
considerazione solo nei casi in
cui il giornalista free-lance
decide di fare causa a un
editore, dopo aver chiesto il
parere di congruità sulla
somma rivendicata all'Ordine
di appartenenza. Evento rarissimo,
perché ben pochi sono disposti
a correre il rischio di perdere
anche i compensi da fame,
pagati "a babbo
morto", per la maggior
parte delle collaborazioni
giornalistiche, citando in
giudizio un editore.
E allora dov'è il problema?
E' nel fatto che la richiesta
di un tariffario
"legale" era compresa
tra le rivendicazioni della Federazione
nazionale della stampa per il rinnovo del
contratto nazionale, come spiega
Franco Abruzzo in Il "fuoco amico" del governo Prodi
affonda la piattaforma della FNSI.
L'analisi di Abruzzo è in
buona parte condivisibile, ma
se ne possono trarre anche
conclusioni diverse da quelle
ipotizzate dal presidente
dell'Ordine lombardo.
E' vero che l'abrogazione delle
norme che prevedono il valore
vincolante delle tariffe
stabilite vari ordini
professionali toglie qualsiasi
efficacia all'art. 636 del
codice di procedura civile (da
abrogare per effetto delle
norme in questione?). Ma è
vero anche che: a) la
disposizione non riguarda i
giornalisti, proprio perché il
tariffario dell'Ordine non è
vincolante per legge; b) ci sono altri
strumenti per costringere un
editore a pagare il dovuto e a
subire le conseguenze degli
eventuali ritardi.
In ogni caso, se del credito si
dà prova scritta ai sensi
dell'art. 634 del codice di
procedura civile (di solito la
fotocopia autentica del libro
dei corrispettivi), il giudice emette
comunque l'ingiunzione. E per i
ritardi nel pagamento c'è il
decreto
legislativo 9 ottobre 2002 n.
231, che prevede interessi
salati a carico dei pagatori
"pigri".
Ma, come sanno tanti
giornalisti liberi
professionisti, di solito la fattura
viene emessa dopo che è
stato ricevuto dall'editore il
consuntivo delle collaborazioni
prestate in un certo periodo:
niente consuntivo-niente
fattura, niente fattura-niente
decreto ingiuntivo?
E' una prassi, non una norma.
Nulla vieta
di emettere la fattura in
mancanza dell'avviso dell'editore
(che spesso lo ritarda
apposta per ritardare il
pagamento). L'obbligazione al pagamento del corrispettivo
sorge nel momento in cui la
prestazione è conclusa con la
pubblicazione dell'articolo (o
del servizio fotografico o
televisivo). Quindi è
possibile emettere la fattura
anche prima di ricevere il consuntivo
e anche di richiederne il
pagamento coattivo dopo trenta giorni.
Ma quale importo deve essere
indicato nella fattura? In
assenza di un preventivo
accordo scritto con l'editore,
si può tranquillamente
indicare la cifra del
tariffario dell'Ordine, che
dovrebbe sopravvivere al
decreto Bersani-Visco proprio
perché non vincolante per
legge. Sarà l'editore,
nell'eventuale giudizio di
opposizione al decreto
ingiuntivo, a dover dimostrare
la non congruità della somma.
Tutto questo, purtroppo,
nella maggior parte dei casi
può rivelarsi pura teoria,
perché sono pochi i free lance
che possono permettersi di
subire le conseguenze di una
simile iniziativa.
In ultima analisi,
l'"affondamento"
pianto da Abruzzo è
l'affondamento di una speranza.
Che forse può destare più
disappunto dell'affondamento di
una realtà come quella che
fino a oggi ha privilegiato
altre libere professioni. Ma
questa realtà doveva comunque
essere superata nell'ottica
della liberalizzazione del
mercato e per l'applicazione
delle disposizioni dell'Unione
europea.
Dunque il problema ritorna
al punto di partenza:
l'inadeguatezza dei compensi e
i ritardi nei pagamenti. Non è
materia del decreto "Bersani-Visco":
per i primi occorre un'azione
più incisiva del sindacato e
dell'Ordine, per i secondi la
legge c'è già e non si deve
fare altro che richiederne
l'applicazione. Eventualmente
anche davanti al giudice.
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