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Professione giornalista

Il lavoro del giornalista e le testimonianze sulla Rete

La sfida dell'internet dall'Iran a Viareggio

Dai blog a Twitter a YouTube l'informazione del "popolo della rete" batte sul tempo e sulla notizia i media istituzionali. Ma un testimone non è un giornalista, perché non ha le responsabilità di chi informa per professione.
2 luglio 2009
Se non ci fosse l'internet oggi non sapremmo nulla di quello che succede in Iran. L'internet e quei giovani che la sanno usare battendo ogni censura, ogni oscuramento. Non serve a nulla chiudere le frontiere ed espellere i giornalisti stranieri. Non servono i cancelli digitali e la caccia ai blogger. L'informazione passa lo stesso sulla grande e indistruttibile ragnatela.
Dovunque c'è una macchina fotografica digitale, una piccola telecamera o un telefonino. Accade qualcosa ed è subito notizia e immagine sul web. Prima ancora che i media se ne accorgano, che si organizzino, che mobilitino corrispondenti e inviati. L'abbiamo capito per la prima volta l'11 settembre 2001. Poi è stato un crescendo.

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In questi giorni il disastro dell'esplosione a Viareggio ci mette di fronte a un dato di fatto: la rete è più veloce dei media e dà informazioni che i media non possono dare. Abbiamo visto con i nostri occhi nelle TV e sui giornali le prime fasi dell'esplosione, la paura e i primi soccorsi, solo grazie alle testimonianze di chi, per caso, era là e aveva un telefonino.
"Nelle TV e sui giornali" è un'espressione imprecisa, perché TV e giornali oggi sono anche televisione via web. Un solo complesso sistema in cui le testimonianze dirette diffuse in rete sono ripetute in rete attraverso i siti delle imprese dell'informazione. Queste, cioè i media, "incorporano" le testimonianze della rete e le usano per integrare il prodotto informativo dei giornalisti e delle redazioni. In qualche caso, come per l'Iran, le sole notizie a disposizione dei media sono quelle che arrivano dalla rete.

Tutto questo cambia il modo di fare informazione.

Fino a oggi abbiamo parlato della necessità di distinguere tra chi "dà informazioni" e chi "fa informazione", per capire che cosa è informazione spontanea e che cosa è informazione professionale. Il problema è che si diffonde la superficiale affermazione che "siamo tutti giornalisti", avallata anche da qualche illustre studioso. E' venuto il momento di fare chiarezza. Chi dà un'informazione, perché si trova in un certo luogo e in un certo momento, e ha la possibilità di diffondere immediatamente quello che vede e che sente, non è un giornalista: è un testimone. C'è una sostanziale differenza tra "dare notizie" e "fare informazione".

Da sempre il giornalista va a caccia della notizia e della testimonianza, ha il compito di elaborare i frutti della sua ricerca e di trasformarli in informazione. Oggi la notizia e la testimonianza arrivano da sole, basta qualche colpo di mouse. Ma le notizie non sono informazione. Questa è il risultato dell'elaborazione delle notizie. Che oggi sono di più e più rapide da trovare. Così il compito del giornalista è a volte più facile, ma spesso più impegnativo, se egli svolge il suo lavoro con onestà e rigore.

A questo punto il problema non è più quello del confronto tra l'informazione professionale e la notizia che viaggia in rete. La questione diventa più complessa, perché la testimonianza diventa informazione attraverso la mediazione del giornalista e dell'elaborazione redazionale. Il prodotto finale è un insieme di testimonianza diretta e lavoro giornalistico, con la prima che mantiene la propria individualità. E con questa i suoi punti di forza e i suoi limiti.

All'altra estremità del filo, il lettore-spettatore-navigatore è sommerso da ondate di notizie, di informazioni e di opinioni tra le quali può facilmente smarrirsi. Scegliere non è facile. Si ascolta di più, e ci si lascia più facilmente convincere, da chi parla più forte o da chi è più abile nel confezionare e ripetere messaggi elementari. Magari che fanno presa sulle incertezza e sulle paure della maggior parte di noi. La responsabilità del giornalista è quindi prima di tutto nella sua onestà e nella sua indipendenza, subito dopo nelle sue capacità professionali.

Una missione, anche se la parola può sembrare esagerata. Riassunta da quello che è forse l'unico passaggio indiscutibile della legge del 1963 sull'ordinamento della professione: "È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d'informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede".

(Per concludere si veda Giornalista, chi ti ha fatto re? di Claude Almansi).

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