Attaccare i giornalisti è un'operazione che porta sempre qualche simpatia;
attaccare i giornalisti dei nuovi media (o che sui nuovi media ci vogliono
andare) porta con tutta probabilità applausi scroscianti dalla platea. Se
l'obiettivo è un po' di demagogia servita come aperitivo, va bene: in fondo
anche le pagine su Internet - come quelle su carta - devono essere riempite e
agitare la penna è sempre una bella attività. Se però si vuole fare un
discorso serio sull'informazione e sul rapporto che esiste tra informazione e
Internet, allora bisogna essere seri. Se poi si vuole parlare dei giornalisti,
dei loro privilegi, della corporazione e di nuovi media bisogna essere ancora
più seri e ancora più documentati.
Gli interventi che ho letto in questi giorni su Interlex
- e prima su Punto Informatico e sempre su decine di liste, newsgroup, siti e
quant'altro - hanno come punto di riferimento sempre e solo un particolare tipo
di giornalista: quello che usa la tessera anche per entrare al supermercato, che
guadagna un sacco di soldi (senza apparente ragione), che è come minimo
schierato, quasi sempre incompetente. Il sindacato e l'ordine professionale di
questo losco figuro sono come lui, all'ennesima potenza. Punto. Fine
dell'analisi. Quando il figuro parla di informazione su Internet e di regole,
ovviamente si pensa al disastro: le mani della corporazione sulla Rete. Che i
giornalisti (italiani) riescano dove fino a oggi nessuno nel mondo è riuscito?
Provo a essere serio, con qualche domanda sparsa e qualche riflessione. Chi
parla di corporazione sa quanto guadagna un praticante che viene assunto oggi in
una casa editrice? E sa quanto sia difficile uscire dal mondo del sommerso, del
nero, del precario? Chi parla di corporazione è consapevole del fatto che a
fronte di pochi baroni (che esistono nella nostra come in tutte le altre
categorie professionali), ci sono centinaia di giovani che pensano soprattutto a
lavorare e che della tessera se ne infischiano? Giovani sottoposti spesso a
pressioni, ricatti, forzature: perché l'informazione - oggi più che mai - vale
un sacco di soldi e muove grandi interessi.
Siamo comunque ancora una categoria fortunata, nessuno lo nega, ma non più
così tanto da essere il facile bersaglio della demagogia da aperitivo di cui
sopra. Bisognerebbe aggiornare le informazioni e passare ad altri bersagli.
Quanto a Internet, la questione è di una semplicità disarmante. Nessuno
vuole censurare la Rete, nessuno è nemmeno così pazzo da pensare di riuscirci,
vorrei aggiungere. La battaglia non è tra l'informazione libera da una parte e
quella corporativa dall'altra. L'informazione è sempre stata molte cose:
un'enciclopedia, una recensione, una lettera, un manifesto. Oggi resta molte
cose e per di più su molti mezzi, o - meglio - anche su un mezzo dalle molte
facce. Una di queste è l'articolo di un giornale; tra le molte
"informazioni", c'è quella prodotta da professionisti, intesi come
persone che per mestiere - e a tempo pieno - producono informazione. Di questi
signori si parla pensando ai problemi che pone il nuovo mezzo. E la battaglia
non è finalizzata a censurare Internet, ma solo a evitare che la Rete diventi
il pretesto per fare piazza pulita di una categoria professionale, che - vale la
pena ricordarlo - svolge un servizio pubblico fondamentale in una democrazia. Lo
stesso servizio può essere svolto dal popolo di Internet, libero e anarchico?
E' questo il modello che qualcuno ha in mente?
Ai giornalisti non interessa mettere le briglie alla Rete, ma interessa molto
evitare che sulla scia di Internet qualcuno pensi di spacciare per lavoro
giornalistico quello che non lo è. E questo qualcuno non è certo il singolo o
il gruppo che realizzano un sito di informazione, contro-informazione, poesia o
giardinaggio. Questo qualcuno sono le grandi casi editrici, i gruppi mediatici,
le aziende di telecomunicazioni. Chi porta avanti campagne demagogiche da
quattro soldi non ha capito che se la libertà di informazione su Internet è in
pericolo, lo è perché i media sono sempre più controllati, sempre più
concentrati, sempre più omologati, ma non certo da quattro giornalisti in
croce, quanti siamo oggi. Il nemico non sono i giornalisti, come categoria; il
nemico è la pubblicità spacciata come articolo, la comunicazione mischiata
all'informazione, la mancanza di idee e di coraggio nell'inventarsi prodotti
editoriali nuovi.
La legge sulla stampa, la legge istitutiva dell'Ordine dei giornalisti, altri
istituti andranno certamente riletti, rivisti, ripensati. Bisognerà essere più
seri e rigorosi da un punto di vista deontologico. Ma da qui a far credere che i
giornalisti vogliano mettere le mani sulla libera circolazione delle
informazioni ce ne passa: siamo una categoria forse antipatica, certamente anche
un po' per colpa nostra, ma non siamo noi i nemici di Internet. Cercateli da
qualche altra parte.
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