Qual è la percentuale di
informazione in Italia prodotta da collaboratori,
free lance e precari di vario genere? Ce lo chiedevamo
qualche mese fa in Giornalisti e precari: la casta dei
"giornalari". La risposta non è facile.
Ma ora abbiamo alcuni dati che possono dare l'idea delle
dimensioni del problema. La fonte è autorevole: l'Osservatorio sul
precariato, istituito nel 2008 dal Consiglio nazionale
dell'Ordine dei giornalisti. Il rapporto
dell'Osservatorio si
intitola "Una
vita da (giornalista) precario"
ed è la fotografia abbastanza nitida dello stato della professione giornalistica in
Italia.
Una realtà drammatica, che da un parte è frutto della crisi
che in tutto il mondo attanaglia la stampa e dall'altra
è legata alla
particolare situazione italiana. Unico paese occidentale
in cui la professione di giornalista non è libera.
Tanto che l'organismo pubblico che detiene le chiavi dell'accesso deve mettere tra parentesi la parola
"giornalisti", perché non riconosce come tali
i professionisti che non hanno il
tesserino. Top
In sostanza, le persone che fanno i giornali (e i
telegiornali, e i notiziari telematici) appaiono divise
in due categorie: i "giornalisti" e i
"(giornalisti)". I primi hanno il tesserino, i
secondi le parentesi. Ma questa è una differenza
formale. Quella sostanziale è tra i giornalisti che
hanno un lavoro stabile e quelli che non lo hanno. E che
sono gli schiavi dell'informazione. Ricattabili e
ricattati, sottopagati a livelli vergognosi. Lo
sapevamo. Ma ora c'è una fonte ufficiale che lo
conferma. Ci decide se un giornalista ha il tesserino
o le parentesi sono gli editori. Oggi in gravi
difficoltà, perché non hanno saputo raccogliere le
sfide dei nuovi media, mentre la crisi economica taglia
pesantemente gli introiti della pubblicità.
Sono gli editori che affidano il lavoro a chiunque sia capace di svolgerlo. Poco
importa se ha o non ha il tesserino in tasca. Basta che
costi poco. Se quello col tesserino costa troppo, si licenzia e si affida la stessa mansione
a un precario. Questa è la realtà dell'informazione in
Italia, dove il numero dei "giornalari"
(giornalisti-precari) cresce insieme a quello dei
giornalisti che perdono il posto di lavoro. Ed è questa la situazione descritta dal Gruppo di lavoro sul
precariato. Lorenzo
Del Boca, presidente del Consiglio nazionale
dell'Ordine, scrive nella presentazione del documento: Giorno dopo giorno stanno diminuendo i contratti a
tempo indeterminato sostituiti da quelli a termine,
declinati in ampia varietà a seconda delle esigenze
dell’azienda, non certo del lavoratore. Stando alle
informazioni dell’INPGI, nel bilancio preventivo 2007,
risulta che i contratti a termine sono stati 1783 con
una crescita del 10,16% da gennaio a giugno, rispetto al
medesimo periodo del 2006. L’aumento è più del
quadruplo, rispetto alla crescita dei contratti a tempo
determinato. Non è una crescita di eccezione, ma una
tendenza consolidata. Questi i dati sconfortanti: su
circa 30 mila giornalisti solo 12 mila hanno un
contratto a tempo indeterminato. E quanti non
hanno neanche il contratto a tempo determinato? Si legge
ancora nel documento:
- 9 mila testate giornalistiche non iscritte al
Tribunale
- 20 mila giovani che lavorano e svolgono informazione
senza essere disciplinati e tutelati
- 5 mila precari, rilevati in parte dalle ispezioni
Inpgi, che lavorano pagati mediamente 8 euro a pezzo
- 2 euro il pagamento minimo per servizio. Due
euro! Neanche il prezzo di un panino. E anche gli otto
di media sono una cifra miserabile: è più o meno
quello che guadagna una colf per un'ora di lavoro. Ma ci
sono servizi giornalistici che richiedono solo un'ora di
lavoro?
In altri paesi, per esempio negli USA, il giornalista
free-lance è spesso pagato più del dipendente (e non
esiste una distinzione tra quelli che hanno il tesserino
e gli altri, non c'è un organismo di stato che decide
chi sa fare il mestiere e chi no). C'è un libero
mercato e i professionisti più capaci sono pagati di
più. Da noi ci sono due caste. Una
"ufficiale", che appare in via di estinzione.
E una in crescita, fatta di liberi professionisti, che
si adegua al nuovo scenario dei media. Ma l'Ordine non
vuole prenderne atto, tanto che propone di stringere
sempre più le maglie dell'accesso alla professione: si
veda il Documento
di indirizzo per la riforma dell'Ordine dei giornalisti,
diffuso dal Consiglio nazionale dell'ODG pochi giorni
fa.
Andrà a finire che i giornalisti col tesserino si
estingueranno prima dell'organismo che lo rilascia. E
l'informazione, fatta solo da precari, sarà a sua volta
sempre più precaria. |