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Professione giornalista

Riforma dell'Ordine o ricerca dell'identità della professione?

Giornalisti e precari: la casta dei "giornalari"

L'articolo del 14 maggio Ordine dei giornalisti: inutile proposta di legge ha suscitato un certo interesse e anche una risposta da parte dell'ufficio comunicazione dell'Ordine. La discussione è aperta ai contributi di tutti.
3 giugno 2009
Tre domande per incominciare. Prima: qual è la percentuale di informazione in Italia prodotta da collaboratori, free lance e precari di vario genere? Se qualcuno dispone di dati attendibili, il suo contributo a questa discussione sarà prezioso.

Seconda domanda: chi è giornalista? La riposta dovrebbe essere "chi per professione produce il contenuto dei giornali". O delle radio, delle TV o degli organi di informazione sul World Wide Web. E' così in tutto le nazioni democratiche, tranne che in Italia. Da noi è giornalista solo chi è iscritto in un apposito albo statale. E commette un reato chi, pur svolgendo la professione, si qualifica come giornalista senza avere il tesserino.

Terza domanda: qual è l'attività più fiorente nella società dell'informazione? La risposta dovrebbe essere "fare informazione". Invece si sta verificando il contrario. Più il mondo è fatto di informazione, meno l'informazione gode di buona salute. L'informazione come impresa, s'intende, l'informazione professionale. Un paradosso che si riscontra nei numeri. Quelli dei bilanci in rosso di molti giornali, delle vendite che calano, dei giornalisti che perdono il posto di lavoro. Un solo esempio: il New York Times, una delle testate più importanti del mondo, che per fare cassa è costretto a vendere la sua sede, il prestigioso grattacielo disegnato da Renzo Piano.

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In Italia non va meglio. Anzi. La crisi economica aggrava una situazione storicamente non rosea. Anche perché nel nostro paese manca la lunga tradizione di stampa libera e indipendente che c'è altrove, come in Gran Bretagna o negli USA. E manca, forse di conseguenza, la tradizione di lettura dei giornali: le vendite dei nostri quotidiani sono ferme da decenni. Anzi, negli ultimi tempi calano. Si dice che questo dipende dalla concorrenza dell'informazione che si trova gratis sul Web. In parte è vero.

Una conseguenza è che quella che un tempo appariva come una professione privilegiata e rispettata ora è in sostanza divisa in due "caste": una che va avanti alla meno peggio, tra contratti risicati e prepensionamenti. Ma resta la casta "alta", grazie anche alla presenza di qualche nome celebre. Accanto c'è quella "bassa", quella dei "paria". Sono i precari a vario titolo: collaboratori coordinati e continuativi, collaboratori a progetto, pubblicisti con partita IVA. E quelli che si arrabattano in qualche modo, con collaborazioni saltuarie e il miraggio di una tessera di pubblicista, che darà l'unico vantaggio di potersi qualificare "giornalista" senza commettere il delitto di abuso di professione. Punito dall'articolo 45 della legge professionale con una pena che può arrivare a sei mesi di reclusione.

Un esempio è quello di Pino Maniaci di Partinico, provincia di Palermo. E' proprietario dell'emittente televisiva Telejato. Conduce un telegiornale scomodo, perché combatte la mafia con le armi del giornalista: le notizie e i commenti. E' è stato oggetto di minacce e attentati, come tanti giornalisti onesti che lottano in prima linea per la legalità. Ma non è iscritto nell'albo dei giornalisti. Due volte è stato incriminato per esercizio abusivo della professione di giornalista. Naturalmente l'Ordine non lo ha difeso, perché non è "giornalista". Ora ha ottenuto l'iscrizione all'Albo come pubblicista. Fa lo stesso lavoro di prima, ma non è più "abusivo". Che senso ha?

Questi sono i fatti. E dunque la difesa della vecchia legge e della proposta che vorrebbe "aggiornarla", fatta dall'Ordine dei giornalisti nella risposta all'articolo di due settimane fa, lascia il tempo che trova. E' inutile novellare una legge che dovrebbe essere abrogata e sostituita da una normativa degna di una democrazia moderna.

La ricostruzione storica della nascita dell'Ordine, esposta nell'articolo dell'ufficio comunicazione dell'OdG, è corretta. Ma la sua interpretazione è discutibile. Si può anche dire che Mussolini prima inventò l'ordine dei giornalisti, poi si accorse che attraverso i prefetti poteva avere un controllo ancora più forte sulla stampa e lasciò perdere. L'idea nata nel primo periodo del fascismo fu attuata dalla Repubblica nel 1963... E' questa l'opinione che troviamo, per esempio, in questo articolo di Paolo Bracalini. Ancora attuale, nonostante la mutata situazione politica.

"Giornalisti sono tutti coloro che hanno qualcosa da dire o si sentono di esprimere la stessa idea che gli altri dicono o presentano male. L'albo è un comico non senso. Non esiste un albo di poeti e non può esistere un albo di giornalisti". Così scriveva un grande liberale, Luigi Einaudi, quando si discuteva di quella che sarebbe diventata la legge del 1963 sull'ordinamento della professione di giornalista. E ancora: "L’albo obbligatorio è immorale, perché tende a porre un limite a quel che limiti non ha e non deve avere, alla libera espressione del pensiero. Ammettere il principio dell’albo obbligatorio sarebbe come un resuscitare i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei non conformisti".

Sul fronte politicamente opposto un grande comunista, Enrico Berlinguer, diceva: "Io sono contrario al requisito di qualsiasi titolo di studio per la professione di giornalista, perché considero questo come una discriminazione assurda, una discriminazione di classe, contraria alla libertà di stampa e alla libera espressione delle proprie opinioni" (non è nota la fonte originale, cito dal blog di Beppe Grillo).

Altri punti della risposta dell'Ordine meritano di essere discussi. Ma sono in gran parte cose già scritte. Vedi, fra l'altro, Abolire l'Ordine? E' una proposta troppo "radicale" e Siamo tutti giornalisti?, oltre agli articoli di Rodolfo Falvo Il giornalismo tra "superprofessione" e "convergenza", In Europa il giornalismo non è una libera professione e La Costituzione e la professione di giornalista). Diverse le opinioni sostenute negli articoli di Franco Abruzzo, elencati nell'indice di questa sezione.

Oggi c'è una situazione nuova. C'è l'avanzata dell'informazione non professionale del web, che impone ai professionisti maggiore attenzione agli impegni che assumono di fronte ai lettori. C'è la crisi della stampa, legata in parte alla congiuntura economica, in parte alla concorrenza dei nuovi media, ma forse soprattutto all'incapacità di ripensare un modello che ormai appare del tutto inadeguato al nuovo contesto della comunicazione.

Difenderlo ancora, soprattutto nei suoi aspetti più limitanti, può avere solo l'effetto di ritardare ancora un'innovazione sempre più urgente. Che può incominciare proprio attribuendo la dignità che merita al lavoro svolto da persone che non si possono, per legge, chiamare "giornalisti". Quindi, essendo quasi tutti precari, può essere corretto chiamarli "giornalari".

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