Ordine dei
giornalisti: una proposta inutile?
Nella home page di Interlex n. 386
del 25 maggio 2009 Manlio Cammarata scrive di una
proposta di legge (Camera n. 2393 d’iniziativa
Pisicchio ed altri) che a suo avviso manifesta il fine
corporativo di un ente contrario alle aperture ai
giovani ed ai precari, l’Ordine dei giornalisti,
voluto dal fascismo e che bisognerebbe chiudere (in
realtà è un articolo di Manlio Cammarata reporter
riportato anche nella prima pagina di InterLex, ndr).
Iniziamo dalla Storia (quella con la maiuscola): l’ordine
dei giornalisti non è stato voluto dal fascismo ma
segue la tradizione italiana delle discipline
professionali ispirate ai criteri della legislazione
francese (che a fine settecento e nell’ottocento
rappresentavano quanto di più moderno si poteva
concepire sotto il profilo della legalità e della
laicità del diritto) e che avevano visto la creazione
dell’ordine degli avvocati nel 1874 e via via di
altri Albi tra cui i ragionieri nel 1906, le
professioni sanitarie nel 1910 i notai 1914, gli
ingegneri e architetti nel 1923
Le basi per la nascita di un Ordine dei giornalisti
furono due decreti legge del 15 luglio 1923 e del 10
luglio 1924 ed una legge, la n. 2307 del 1925, che
prefigurò l’istituzione dell’albo professionale
dei giornalisti.
Tuttavia, il sistema si arenò con la entrata a regime
delle norme (l. n. 563 del 1926) sul sindacato unico
di diritto pubblico, le c.d. corporazioni, anche per
ogni categoria di professionisti, con la conseguenza
che gli ordini la cui regolamentazione non aveva
trovato ancora una propria organizzazione sostanziale
finirono nel dimenticatoio. Nel periodo fascista,
quindi, un ordine dei giornalisti non funzionò mai
nei termini che oggi conosciamo, ma esistevano albi
regionali tenuti e compilati dal sindacato regionale,
con conseguenze discriminatorie nei confronti di chi
veniva considerato inadeguato dalla commissione
nominata dal sindacato unico fascista.
Chi oggi ritiene di dover far derivare dal regime
dittatoriale la matrice o l’idea di un albo o di un
ordine dei giornalisti, dovrebbe tener ben presente
questa sostanziale differenza: il controllo delle
iscrizioni all’albo nel periodo fascista era
affidata ad una commissione ministeriale nominata dal
regime che finì altresì per controllare e
determinare a quali giornalisti affidare i posti di
comando.
Mussolini (Benito) non inventò quindi nessun ordine
dei giornalisti ma semmai ne impedì l’organizzazione
per controllare con i suoi prefetti e le loro
commissioni chi era autorizzato a scrivere; se proprio
vogliamo associare al giornalismo un Mussolini, allora
dobbiamo parlare di Arnaldo che creò con l’INPGI il
sistema previdenziale autonomo dei giornalisti e del
quale essi sono ancora oggi felici di fruirne,
indipendentemente dai retaggi storici.
Passando alle critiche “sostanziali” Manlio
Cammarata lamenta che l’accesso al giornalismo
professionistico è una cinquina per raccomandati che
devono sottostare alle ingiustizie ed ai ricatti di
editori senza scrupoli. Chiede, quindi, che si diventi
giornalisti per il solo fatto di essere assunti ovvero
di aver svolto con continuità l’attività di free
lance.
In buona sostanza invoca una sanatoria senza
domandarsi se ad esserne fruitori debbano essere gli
sfruttati o i raccomandati (anche a pagamento?). Non
cita che sul tema dello sfruttamento, l’Ordine è
intervenuto da tempo con la forza che gli deriva dall’essere
un ordinamento riconosciuto: i criteri interpretativi
dell’art. 34 elaborati dal Consiglio nazionale
puntano proprio nella direzione indicata,
consentendo a chi è già iscritto all'Albo come
pubblicista e a chi svolge attività giornalistica da
almeno tre anni con rapporti di collaborazione
coordinata e continuata con una o più testate
qualificate allo svolgimento della pratica
giornalistica, l'iscrizione al Registro dei praticanti
necessaria per l’esame di giornalista
professionista.
Sotto questo profilo, la proposta di legge criticata
viene incontro ad una fondamentale esigenza sostenuta
da vari anni dall’Ordine per far accedere al
professionismo, come avviene in tanti paesi europei,
chi segue un percorso di studi professionali
qualificanti per l’esercizio dell’attività
giornalistica al pari di medici, avvocati, psicologi,
ecc.
La proposta di legge riprende una normativa che dal
2006 poteva essere arrivata a conclusione con il c.d.
progetto Siliquini, già oggetto di un decreto
legislativo, cui mancava solo l’iter finale di
registrazione per la pubblicazione e che venne poi “congelato”
dall’allora Ministro Mussi.
Con l’accesso universitario, che non si comprende se
Cammarata ritenga inutile o addirittura dannoso
secondo l’opinione di cui molti ancor oggi si
fregiano che il giornalismo lo faccia la “strada”,
viene meno anche il rischio di quel “mercato” del
praticantato o dello sfruttamento dei pubblicisti che
veniva lamentato.
L’accesso universitario, infine, va proprio nel
senso opposto della chiusura, consentendo opportunità
professionali a chi non ha “amici” ma può, al
contrario, far valere una solida preparazione.
Liquidare poi gli altri aspetti della proposta di
legge ad una querelle tra Ordine e FNSI sul numero dei
consiglieri, significa non dar conto di un importante
aspetto della legislazione ordinistica che non
riguarda solo l’accesso ma la deontologia. Un
procedimento con 139 giudici non funziona; nella
proposta di legge non c’è solo la Commissione
deontologica competente in materia disciplinare con
collegio ridotto, ma c’è la semplificazione dell’esame
dei ricorsi in materia di iscrizione e delle procedure
consiliari, il giurì dell’informazione per dare
risposte sollecite a legittime attese da parte dei
cittadini su eventuale ingiustizie patite dal mondo
dell’informazione.
C’è, poi, la risposta all’esigenza ribadita dai
pubblicisti italiani che chi si iscrive all’Albo
debba sapere di che si tratta e quali siano le
responsabilità che ne derivano.
E’ sicuramente una proposta di legge di ridotte
dimensioni rispetto ad un progetto di riforma di ampio
respiro come quello varato dal Consiglio nazionale
dell’Ordine dei giornalisti e presentato al modo
della politica ed all’opinione pubblica in generale
il 9 maggio scorso nelle sedi degli ordini regionali
dei giornalisti e che può essere consultato nel sito
www.odg.it
Di sicuro non è una proposta inutile ma un contributo
serio e soprattutto concreto offerto da parlamentari
giornalisti di tutte le estrazioni politiche,
competenti ed accorti a voler dare una segnale che
faccia uscire la professione da un immobilismo
normativo ormai pregiudizievole e che dura da troppi
anni se è vero, come è vero, che sin dalla sua prima
riunione nel 1965 il Consiglio nazionale prospettò l’opportunità
della revisione della legge istitutiva su una serie di
problematiche che, tra l’altro, riguardavano la
macchinosità del sistema elettorale, la difficoltà
di esame dei ricorsi da parte del Consiglio nazionale
la cui composizione in sede giudicante già allora
risultava numerosa, la promozione della formazione
professionale.
Grazie, quindi, ai parlamentari che hanno voluto
riprendere in mano questo filo. |