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Professione giornalista

Modifiche peggiorative per un ente che si dovrebbe abolire 

Ordine dei giornalisti: inutile proposta di legge

Presentato alla Camera un progetto per la modifica della legge del 1963 sulla professione giornalistica. Un testo che chiude sempre più le porte e conferma la natura corporativa dell'Ordine dei giornalisti inventato dal fascismo. 
14 maggio 2009
Cambiare le regole per l'accesso alla professione di giornalista. Renderle simili a quelle in vigore nella maggior parte dei paesi democratici e riconoscere le novità imposte dallo sviluppo della società dell'informazione. E' un'esigenza sentita da molti. La prima cosa da fare sarebbe abolire l'Ordine dei giornalisti e sostituirlo con un organismo associativo-sindacale indipendente. Ma alla Camera dei deputati è stato presentato un progetto di legge che non cambia l'assetto generale, disegnato nel lontano 1948, con un carrozzone pubblico che sempre più si rivela incapace di una reale tutela della professione. Si limita a filtrare l'accesso e solo in qualche caso fa la voce grossa contro un iscritto che violi clamorosamente la deontologia.

Il testo depositato alla Camera il 22 aprile scorso dai deputati Pisicchio, Zampa, Mazzuca, Pionati, Erlo, Giulietti, Rao, Salvini e Lehner porta il numero C.2393 e si intitola "Modifiche alla legge 3 febbraio 1963, n. 69, in materia di ordinamento della professione di giornalista".

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La legge 3 febbraio 1963, n. 69 è quella che mantiene in vita l'Ordine dei giornalisti, "inventato" da Mussolini tra il 1925 e il 1928 per tenere l'informazione sotto lo stretto controllo del regime. Distingue i giornalisti in "professionisti" e "pubblicisti". I primi sono "coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista", mentre i secondi sono "coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi".

Questa chiara e abbastanza condivisibile impostazione potrebbe bene adattarsi all'informazione di oggi. Ma poi si scopre che per essere iscritti nell'elenco dei professionisti non basta fare il giornalista "in modo esclusivo e continuativo": è necessaria la preventiva iscrizione nel registro dei praticanti, l'esercizio continuativo della pratica per almeno 18 mesi e il superamento di una prova di idoneità professionale.
Il punto è che per l'iscrizione nel registro dei praticanti è necessario essere assunti da un editore. Facile come azzeccare una cinquina al lotto.

Tutti quelli che non indovinano i cinque numeri, o non godono di potenti raccomandazioni, finiscono nell'elenco dei pubblicisti, anche se esercitano "in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista". E' la condizione comune di migliaia di giovani e meno giovani che fanno informazione sulla carta, alla radio e alla televisione o sull'internet.
Dunque la prima riforma da fare sarebbe il riconoscimento della professione di giornalista indipendentemente dall'assunzione. Per quelli che oggi sono i professionisti, l'assunzione stessa da parte di un editore dovrebbe essere sufficiente a qualificare il giornalista, perché un giornale sano non assume incapaci.

Per i free lance (un'espressione elegante per qualificare i precari) il criterio attuale della pubblicazione di un certo numero di articoli retribuiti in un determinato periodo, che dimostri la continuità e la prevalenza dell'attività giornalistica, dovrebbe essere sufficiente per la qualifica di "professionale".
Ma il progetto di legge "Pisicchio" va nella direzione opposta. Non sono non cambia nulla nell'anacronistica distinzione tra professionisti e pubblicisti, ma rende più difficile l'iscrizione negli albi. Per i professionisti impone:

Alla prova di idoneità di cui al comma precedente si accede con la laurea in una qualsiasi disciplina o classe unitamente al compimento della pratica giornalistica da svolgersi in alternativa nell'ambito:
a) di una laurea specialistica o magistrale il cui percorso formativo biennale sia almeno per il 50 per cento costituito da attività pratica orientata alla professione di giornalista e disciplinata sulla base di convenzioni tra l'università e il Consiglio nazionale dell' ordine dei giornalisti, che verifica anche l'effettivo tirocinio professionale svolto;
b) di un master universitario biennale il cui percorso formativo sia disciplinato sulla base di convenzioni tra l'università e il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, che verifica anche l'effettivo tirocinio professionale svolto;
c) di corsi biennali presso Istituti di formazione al giornalismo riconosciuti con deliberazione del Consiglio nazionale dei giornalisti
.

Mentre per i free lance c'è un'apertura "transitoria", che consente di svolgere l'esame di idoneità  a chi ha esercitato la professione per almeno due o cinque anni (la differenza non è chiara) e abbia effettuato lungi corsi di formazione. Inoltre:

L'iscrizione è subordinata all'effettuazione di un colloquio presso il consiglio regionale dell'Ordine cui viene presentata la domanda, concernente le materie previste dalle lettere d), e) del secondo comma, art. 44, del DPR 4 febbraio 1965 n. 115 e successive modificazioni ed integrazioni. La domanda resta sospesa sino all'esito positivo del colloquio. L'effettuazione del colloquio può essere sostituita, dalla frequenza di corsi formativi della durata di almeno 45 ore organizzati dai consiglio regionali o dal consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti".

Altro si potrà dire quando il progetto di legge C.2393 sarà pubblicato sul sito della Camera. La versione che circola è quella presente sul sito di Franco Abruzzo, ex-presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia. Appare come una bozza scoordinata, con ripetizioni e incongruenze. Fra l'altro confonde fra la "prova di idoneità professionale", prevista dalla legge vigente, e un inesistente "esame di stato" che è il chiodo fisso di Abruzzo.

Per il resto il testo prevede la riduzione del numero dei componenti del Consiglio nazionale e modifiche nella composizione degli organi e delle procedure di giudizio sul mancato rispetto della deontologia. Quanto basta a scatenare una feroce polemica tra Franco Siddi e Lorenzo Del Boca, segretario nazionale della FNSI il primo e presidente dell'Ordine il secondo.

Del tutto assente il problema più grave fra i tanti che affliggono l'informazione in Italia: quello della presenza di migliaia di pubblicisti, o  addirittura di "non-giornalisti", che forniscono una quota significativa della produzione di giornali, radio, televisioni e notiziari on line. Trattati come merce, pagati più o meno come un immigrato illegale che raccoglie pomidoro nelle campagne del Sud. Queste sono le persone di cui si dovrebbero occupare gli organi deputati alla tutela della professione giornalistica, ordine e sindacato. Che invece chiudono sempre più le porte di accesso e si accapigliano sul numero delle poltrone più comode.

 

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