Cambiare le regole per
l'accesso alla professione di giornalista. Renderle
simili a quelle in vigore nella maggior parte dei
paesi democratici e riconoscere le novità imposte
dallo sviluppo della società dell'informazione. E'
un'esigenza sentita da molti. La prima cosa da fare
sarebbe abolire l'Ordine dei giornalisti e sostituirlo
con un organismo associativo-sindacale indipendente.
Ma alla Camera dei deputati è stato presentato un
progetto di legge che non cambia
l'assetto generale, disegnato nel lontano 1948, con un
carrozzone pubblico che sempre più si rivela incapace
di una reale tutela della professione. Si limita a
filtrare l'accesso e solo in qualche caso fa la voce
grossa contro un iscritto che violi clamorosamente la
deontologia.
Il testo depositato alla Camera il 22 aprile
scorso dai deputati Pisicchio, Zampa, Mazzuca, Pionati,
Erlo, Giulietti, Rao, Salvini e Lehner porta il numero
C.2393 e si
intitola "Modifiche alla legge 3 febbraio 1963, n. 69, in
materia di ordinamento della professione di
giornalista".
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La legge 3 febbraio 1963, n.
69 è quella che mantiene in vita l'Ordine dei
giornalisti, "inventato" da Mussolini tra il
1925 e il 1928 per tenere l'informazione sotto lo
stretto controllo del regime. Distingue i giornalisti
in "professionisti" e
"pubblicisti". I primi sono "coloro che esercitano in modo esclusivo
e continuativo la professione di giornalista", mentre i
secondi sono "coloro che svolgono attività giornalistica
non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni
o impieghi".
Questa chiara e abbastanza condivisibile
impostazione potrebbe bene adattarsi all'informazione
di oggi. Ma poi si scopre che per essere iscritti
nell'elenco dei professionisti non basta fare il
giornalista "in modo esclusivo
e continuativo": è necessaria la
preventiva iscrizione nel registro dei praticanti,
l'esercizio continuativo della pratica
per almeno 18 mesi e il superamento di una prova di
idoneità professionale.
Il punto è che per l'iscrizione nel registro dei
praticanti è necessario essere assunti da un editore.
Facile come azzeccare una cinquina al lotto.
Tutti quelli che non indovinano i cinque numeri, o non
godono di potenti raccomandazioni, finiscono
nell'elenco dei pubblicisti, anche se esercitano
"in modo esclusivo e continuativo la professione
di giornalista". E' la condizione comune di
migliaia di giovani e meno giovani che fanno
informazione sulla carta, alla radio e alla
televisione o sull'internet.
Dunque la prima riforma da fare sarebbe il
riconoscimento della professione di giornalista
indipendentemente dall'assunzione. Per quelli che oggi
sono i professionisti, l'assunzione stessa
da parte di un editore dovrebbe essere sufficiente a qualificare
il giornalista, perché un giornale sano non
assume incapaci.
Per i free lance (un'espressione
elegante per qualificare i precari) il criterio
attuale della pubblicazione di un certo numero di
articoli retribuiti in un determinato periodo, che
dimostri la continuità e la prevalenza dell'attività
giornalistica, dovrebbe essere sufficiente per la
qualifica di "professionale".
Ma il progetto di legge "Pisicchio" va nella
direzione opposta. Non sono non cambia nulla
nell'anacronistica distinzione tra professionisti e
pubblicisti, ma rende più difficile l'iscrizione
negli albi. Per i professionisti impone:
Alla prova di idoneità di cui al comma precedente si
accede con la laurea in una qualsiasi disciplina o
classe unitamente al compimento della pratica
giornalistica da svolgersi in alternativa nell'ambito:
a) di una laurea specialistica o magistrale il cui
percorso formativo biennale sia almeno per il 50 per
cento costituito da attività pratica orientata alla
professione di giornalista e disciplinata sulla base
di convenzioni tra l'università e il Consiglio
nazionale dell' ordine dei giornalisti, che verifica
anche l'effettivo tirocinio professionale svolto;
b) di un master universitario biennale il cui percorso
formativo sia disciplinato sulla base di convenzioni
tra l'università e il Consiglio nazionale dell'ordine
dei giornalisti, che verifica anche l'effettivo
tirocinio professionale svolto;
c) di corsi biennali presso Istituti di formazione al
giornalismo riconosciuti con deliberazione del
Consiglio nazionale dei giornalisti.
Mentre per i free lance c'è un'apertura
"transitoria", che consente di svolgere
l'esame di idoneità a chi ha esercitato la
professione per almeno due o cinque anni (la
differenza non è chiara) e abbia effettuato lungi
corsi di formazione. Inoltre:
L'iscrizione è subordinata all'effettuazione di
un colloquio presso il consiglio regionale dell'Ordine
cui viene presentata la domanda, concernente le
materie previste dalle lettere d), e) del secondo
comma, art. 44, del DPR 4 febbraio 1965 n. 115 e
successive modificazioni ed integrazioni. La domanda
resta sospesa sino all'esito positivo del colloquio.
L'effettuazione del colloquio può essere sostituita,
dalla frequenza di corsi formativi della durata di
almeno 45 ore organizzati dai consiglio regionali o
dal consiglio nazionale dell'Ordine dei
giornalisti".
Altro si potrà dire quando il progetto di legge C.2393 sarà
pubblicato sul sito della Camera. La versione che
circola è quella presente sul sito di Franco Abruzzo,
ex-presidente dell'Ordine dei giornalisti della
Lombardia. Appare come una bozza scoordinata, con
ripetizioni e incongruenze. Fra l'altro confonde fra
la "prova di idoneità professionale",
prevista dalla legge vigente, e un inesistente
"esame di stato" che è il chiodo fisso di
Abruzzo.
Per il resto il testo prevede la riduzione del numero dei
componenti del Consiglio nazionale e modifiche nella
composizione degli organi e delle procedure di
giudizio sul mancato rispetto della deontologia.
Quanto basta a scatenare una feroce polemica tra
Franco Siddi e Lorenzo Del Boca, segretario nazionale
della FNSI il primo e presidente dell'Ordine il
secondo.
Del tutto assente il problema più grave fra i
tanti che affliggono l'informazione in Italia: quello
della presenza di migliaia di pubblicisti, o
addirittura di "non-giornalisti", che
forniscono una quota significativa della produzione di
giornali, radio, televisioni e notiziari on line.
Trattati come merce, pagati più o meno come un
immigrato illegale che raccoglie pomidoro nelle
campagne del Sud. Queste sono le persone di cui si
dovrebbero occupare gli organi deputati alla tutela
della professione giornalistica, ordine e sindacato.
Che invece chiudono sempre più le porte di accesso e
si accapigliano sul numero delle poltrone più comode.
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