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Richiamare "all'Ordine" la libera informazione?
Piove sulla
Rete, giornalisti ladri di Marco Mazzei
"Le informazioni su Internet sono frettolose
e semplificatorie", sentenzia Eugenio Scalfari alla presentazione del
libretto di Giovanni Valentini Media Village (si veda la recensione).
Non è la prima volta che il fondatore dell'Espresso e di Repubblica
esprime la sua avversione per la Rete, sostenuto da una squadra di "tecnofobi"
di tutto rispetto.
La dimostrazione è nelle pagine del Venerdì, che non perde occasione
per attaccare tutto ciò che riguarda l'internet, la nuova economia e le
innovazioni tecnologiche. Dalle invettive di Giorgio Bocca sugli "schiavi
della rete" alle compassate ed eleganti deplorazioni di Piero Ottone, è un
fiume di commenti negativi che offre un'immagine catastrofica degli effetti
dell'evoluzione della tecnologia.
Un esempio significativo di tecnofobia è stato
il numero del 10 marzo scorso, con una cover story intitolata "Addio
mia bella scrittura", in cui si lamentava persino la scomparsa della
"nobile figura dello scrivano di strada". Il servizio era introdotto
da un editoriale di Paolo Garimberti, per il quale "la posta elettronica è
comoda, ma fredda e rigida come lo strumento che la consente". C'era, fra
l'altro, un riquadro con le peggiori scemenze sulla firma digitale, tra le tante
pubblicate dalla stampa italiana negli ultimi tempi.
Naturalmente Scalfari e i suoi adepti sono liberi di esprimere le loro opinioni,
che comunque vanno lette con attenzione, perché sono il segno di una cultura
con la quale dobbiamo in ogni caso fare i conti.
Il nostro Paese, come ormai tutti sanno, è tra i
più arretrati dell'Occidente nello sviluppo e nello sfruttamento delle
tecnologie dell'informazione. Questo ritardo è nello stesso tempo causa ed
effetto del cosiddetto "analfabetismo tecnologico", che ci pone in una
situazione di svantaggio rispetto ai nostri concorrenti nel mercato globale.
Un'informazione corretta e competente potrebbe contribuire a colmare questo
ritardo. Invece la stampa di informazione, quasi senza eccezioni, oscilla fra
gli estremi del disordinato entusiasmo, del pernicioso sensazionalismo e della
colta tecnofobia. Manca la competenza, e quando c'è viene relegata in fondo,
come la mezza pagina che lo stesso Venerdì affida ogni settimana a
Vittorio Zambardino.
Le critiche che le "grandi firme"
riservano all'internet e al mondo che essa si riferisce hanno un vizio di fondo:
sono influenzate da una scarsa conoscenza dell'oggetto di cui si parla. Se
Scalfari "sfogliasse" ogni giorno il web non direbbe che vi si trovano
solo informazioni frettolose e semplificatorie. Anzi, vedrebbe che le notizie
on-line offrono spesso, attraverso i link, riferimenti a tutto campo come nessun
giornale e nessuna televisione può fare. Che una rivista nata on line, come
questa, mette a disposizione dei suoi lettori tutti gli articoli pubblicati da
cinque anni e permette approfondimenti impossibili sui media tradizionali. Che
solo un sito Internet può fornire un quadro degli avvenimenti di oggi e della
cronaca di alcuni decenni articolato e completo come quello della Rai, per
fare un solo esempio.
E se Garimberti ricevesse qualche decina di e-mail al giorno e rispondesse
personalmente a tutte, imparerebbe presto che anche la posta elettronica
"ha un'anima", fatta di segni convenzionali, di abbreviazioni, di
sfumature, anche di spazi bianchi, che rivelano lo stato d'animo del mittente,
come una lettera tradizionale. E' un codice, come quello della scrittura
manuale, che si apprende con l'uso e l'abitudine.
Giornalisti ladri?
Un altro spunto di riflessione su questa materia
è dato dalla risposta di Marco Mazzei all'articolo Richiamare
"all'Ordine" la libera informazione? di una settimana fa.
Credo che Mazzei abbia, in parte, sbagliato indirizzo. Se qualcuno ha la
pazienza di sfogliare gli articoli elencati nell'indice
di questa sezione della rivista, può constatare come InterLex abbia sempre
cercato di affrontare l'argomento "internet e informazione" con
interventi meditati e documentati, con un occhio al diritto e l'altro alla
realtà delle cose. Insomma, l'esclamazione "piove, giornalisti
ladri" non può essere attribuita a queste pagine.
Altro è la discussione su fatti specifici, come la critica alle frequenti
manifestazioni di informazione "frettolosa e semplificatoria", spesso
fornita dai professionisti della notizia, o a certe iniziative come la lettera
di Tucci al Ministro della giustizia o le proposte vagamente censorie contenute
nella piattaforma contrattuale formulata dal sindacato dei giornalisti.
Scrive Mazzei: "Chi parla di corporazione sa
quanto guadagna un praticante che viene assunto oggi in una casa editrice? E sa
quanto sia difficile uscire dal mondo del sommerso, del nero, del precario? Chi
parla di corporazione è consapevole del fatto che a fronte di pochi baroni (che
esistono nella nostra come in tutte le altre categorie professionali), ci sono
centinaia di giovani che pensano soprattutto a lavorare e che della tessera se
ne infischiano? Giovani sottoposti spesso a pressioni, ricatti, forzature:
perché l'informazione - oggi più che mai - vale un sacco di soldi e muove
grandi interessi". Condivido le domande perché conosco le risposte, ma
proprio su questi aspetti si fonda una parte dell'accusa di corporativismo che
viene mossa alla categoria: il meccanismo di sostanziale cooptazione che
apre le porte dell'Ordine, meccanismo che fa di un praticante un fortunato
rispetto ai tanti che continueranno a sgobbare, ricattati e malpagati, ai
margini del sistema editoriale.
Ancora Mazzei: "Ai giornalisti non interessa
mettere le briglie alla Rete, ma interessa molto evitare che sulla scia di
Internet qualcuno pensi di spacciare per lavoro giornalistico quello che non lo
è". Ecco il punto: chi stabilisce che cosa è "lavoro
giornalistico" e che cosa non lo è? Gli stessi giornalisti? Se la risposta
è autoreferenziale, si giustifica inevitabilmente l'accusa di corporativismo.
L'informazione spontanea non è attendibile? Non sempre, è vero, ma prima di
pensare a qualsiasi forma di selezione dell'informazione spontanea si dovrebbe
indagare su quanto c'è di inattendibile in quella professionale. Del resto, il
già citato pamphlet di Giovanni Valentini offre molti argomenti a una
discussione su questo punto.
La linea di confine resta quella tra buona e cattiva informazione, e non
coincide con quella che divide i "professionisti" dai
"dilettanti".
Ma dobbiamo difendere - sia pure criticandola -
anche la cattiva informazione, perché la libertà di espressione è un bene al
quale non possiamo rinunciare. E per fortuna c'è l'internet, alla quale né le
corporazioni vere o presunte, né gli editori tradizionali, né i politici
potranno mai mettere il bavaglio.
MCr
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