Come era già
accaduto con l’infausta legge
62/2001, di nuovo il disegno di legge governativo
del 3 agosto 2007 sul “riassetto dell’editoria”
ha la dichiarata intenzione di imporre oneri
burocratici, economici e sanzionatori anche a libere e
private manifestazioni del pensiero compiute via
internet da “normali cittadini”.
Il testo
predisposto dal governo è deliberatamente confuso
e ambiguo. Se passasse in questa formulazione
creerebbe confusione e incertezza sulla possibilità
di manifestare liberamente il proprio pensiero pur non
appartenendo alla categoria dei giornalisti e non
essendo editori di testate di alcuna specie.
Non si capisce perché il governo voglia trattare da
“giornalisti” anche coloro che non lo sono e che
non vogliono esserlo - e per quale motivo abbia omesso
di dire chiaramente che gli obblighi normativi di
eventuale emanazione si applicano solo a chi esercita
professionalmente o imprenditorialmente l’attività
di produzione e diffusione di contenuti.
Se la preoccupazione è quella di sanzionare chi
diffama, allora quella del governo è una
non-soluzione: le leggi ci sono già, e chi pubblica online
è perfettamente identificabile. Quindi questa non
può essere la scusa per l’adozione di norme
liberticide.
Il dato di fatto è che questo disegno di legge
prefigura la creazione dell’ennesima “spada di
Damocle” da utilizzare nei confronti di chi pubblica
opinioni o informazioni “scomode”. In altri
termini: se questo disegno di legge venisse approvato,
ci sarebbe comunque un gran numero di persone che non
lo rispetterebbe per svariate ragioni - non conoscenza
della legge, legittima “disobbiedienza civile”,
difficile interpretazione delle norme. Il risultato
pratico sarebbe la creazione un “reato artificiale”
da perseguire a seconda delle “necessità” o degli
occasionali capricci di chi eserciterà questo potere.
C’è anche un danno per le imprese che usano la rete
nonché per gli internet provider. Questo disegno di
legge sferra un colpo durissimo ai servizi di hosting
e a quelli basati sulle comunità e sulla libera
pubblicazione di contenuti di ampia utilità. Perciò,
oltre a contrastare l’universale diritto di
informazione e di opinione, penalizza anche un modello
economico che si sta dimostrando sempre diffusamente
di utilità sociale.
Cosa vogliamo: si deve stabilire chiaramente che gli
obblighi - se davvero necessari - valgano solo per
editori, servizi stampa e, in generale, per i soli
imprenditori dell’informazione, che operano a fini
di lucro e ottengono sovvenzioni pubbliche, escludendo
chiaramente qualsiasi pubblicazione di privati o
associazioni no profit che non “vendono”
alcunché.
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