Il quadro che negli ultimi tempi emerge dalle prime
pagine dei giornali è desolante. Gli intrecci
perversi tra affari e politica emergono con evidenza e
aumentano la distanza tra gli elettori e il Palazzo.
Il Palazzo reagisce a modo suo: veleni, spazzatura,
vulnus democratico, complotto e chi più ne ha
più ne metta. E si prepara a inasprire le norme sui
divieti di pubblicazione di atti giudiziari. E' vero
che in qualche caso l'informazione esagera, sbattendo
in prima pagina mostri che mostri non sono e violando
la privacy anche di persone non direttamente coinvolte
nelle indagini. E per questi comportamenti ci sono
già opportune sanzioni.
Ma dal Palazzo giungono sempre più forti le proposte
di allargare i divieti e inasprire le pene. Nel testo
del disegno di legge 1512, all'esame del Senato,
aleggia un insistente olezzo di censura.
Non a caso il
disegno di legge S1512 è stato approvato dalla
Camera con singolare accordo tra maggioranza e
opposizione: basta con queste ingerenze
dell'informazione negli affari del Palazzo! Ora si
vorrebbe farlo passare tale e quale al Senato, con la
solita scusa dell'urgenza, nonostante le riserve che
qualche parlamentare ha timidamente sollevato.
Ma il problema non dovrebbe essere il bavaglio
all'informazione. Si dovrebbe incidere sull'ambiente
che è oggetto dell'informazione. Perché il malaffare
è nei fatti e non nella cronaca dei fatti.
L'informazione in Italia ha molti difetti, il primo
dei quali è forse una strisciante autocensura. Ma ci
sono campi nei quali i giornalisti svolgono il loro
compito di cercare "la verità", di
informare, di non rendersi complici di una classe di
eletti che sembra sempre più dedita a curare gli
interessi propri invece di quelli degli elettori.
E' vero che in molti casi certe rivelazioni non sono
dettate dal diritto-dovere di cronaca, ma nascondono
pesanti retroscena politici. Altre volte sembra che
siano costruite a tavolino per nuocere all'avversario
di turno. Insomma, rientrano a buon diritto nella
categoria dei "veleni".
Le reazioni, scomposte, dell'una o dell'altra parte
sono sempre le stesse, sia che le rivelazioni siano
autentiche, sia che si tratti di vera spazzatura
(perché far passare la verità per spazzatura è la
più elementare forma di difesa). Ma alla lunga i
fatti emergono - emergeranno - in tutta la loro
evidenza e si capirà chi ha truccato il gioco.
Resta, in ogni caso, l'importanza della libertà di
informazione. E' meglio un'informazione in cui si
mescolano il vero e il falso, la rivelazione e il
tentativo di calunnia, la cronaca e il veleno, che
nessuna informazione.
Tangentopoli, quindici anni fa, ha cambiato il
corso della storia italiana. E lo ha cambiato, nel
bene e nel male, perché l'informazione ne ha dato
puntualmente conto. Ora, con le norme che si vogliono
far passare, non sarebbe più lecite cronache
giudiziarie come quelle che hanno rivelato il
malaffare della cosiddetta "prima
repubblica". Gli italiani non sarebbero
informati, se non anni e anni dopo i fatti e i
processi, quando l'interesse a conoscere i fatti
avrebbe più che altro un interesse storico.
In tutto questo il silenzio dell'organismo che
dovrebbe tutelare la libertà e l'indipendenza dei
giornalisti è, come si suol dire, assordante.
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