Ancora in prima pagina, dopo dieci giorni. Eppure il
nostro tempo ne ha viste tante, tragedie di terra e di
mare con centinaia di vittime ogni volta. Questo, al
confronto, è un incidente minore. Eppure il naufragio
della Costa Concordia sta destando un fortissimo
interesse. Perché?
Può essere interessante studiare gli aspetti mediatici
di questo evento e cercare di capire i motivi di tanta
risonanza, in questi tempi difficili.
Ma, prima ancora, è utile osservare in che modo i fatti
sono diventati cronaca, come hanno invaso le redazioni e
come sono straripati sul web.
E' necessaria una premessa. Da alcuni anni, cioè da
quando si sono sviluppati i social network, la
comunicazione sugli eventi che suscitano più emozione
subisce un effetto-valanga: i contenuti messi in rete
dagli organi di informazione sono copiati a iosa su blog e
social network; questi aggiungono testimonianze più o
meno dirette, che forniscono ampio materiale per gli
organi di informazione. I quali aggregano a loro volta i
contenuti della comunicazione diffusa, che così ritorna
all'origine e fa ripartire un nuovo ciclo, che si somma al precedente.
Ne deriva un'assordante baccano. Per capirci qualcosa
si dovrebbe prima di tutto distinguere fra le tre diverse
fonti: l'informazione giornalistica, la testimonianza in
rete dei protagonisti o degli spettatori diretti - che non
è giornalismo - e la massa informe delle copie delle
copie delle copie, che pervade l'ecosistema telematico
senza aggiungere una sola briciola di informazione. Invece
si aggiungono i commenti a ruota libera. Quasi sempre
superficiali, disinformati, spesso arrabbiati. Ma comunque
rivelatori del sentire comune della Rete.
I giornalisti dovrebbero avere il compito di mettere
ordine in tutta questa confusione. Selezionare e
verificare le notizie, ricercare gli antefatti,
approfondire. Soprattutto spiegare i
tanti aspetti che di solito sono noti solo agli addetti ai
lavori. Invece anche l'informazione professionale si
limita ad aggregare le notizie di prima mano con quelle
raccolte in rete. Illustra i servizi con migliaia di foto
e video amatoriali di qualità infima. Che hanno un importante
valore di testimonianza e che, proprio per questo
motivo, dovrebbero essere scelte e trattate per diventare
"notizie", invece che "fotogallerie"
che soddisfano il voyuerismo diffuso più che il desiderio
di informazione.
Si dice che siamo un popolo di navigatori. Sarà. Certo
non lo sono i tanti giornalisti che, in diretta, sono
apparsi imbarazzati di fronte alla parola "biscaggina",
emersa nelle concitate conversazioni tra i comandante
della nave e l'ufficiale della Capitaneria di porto. Che
cos'è la biscaggina? La domanda è rimbalzata da un
angolo all'altro della Rete, quando sarebbe bastato
scriverla nella casella di Google: due minuti per saperne
quanto un lupo di mare. Ma è solo un dettaglio, nel
panorama della superficialità della comunicazione
diffusa. Ma offre uno spunto illuminante.
Si legge su Wikipedia:
"Biscaglina, o biscaggina, o buscaggina, è un
termine usato in nautica per definire un tipo speciale di
scala di corda tipicamente utilizzata sulle navi
mercantili con lo scopo di consentire l'imbarco e lo
sbarco del pilota". Alcuni link aiutano ad
approfondire l'argomento.
Ma ecco come la definizione vene copiata su Yahoo!
Answers (miglior risposta, scelta da richiedente):
"Più nota come biscaglina, è un termine nautico per
definire un tipo speciale di scala di corda utilizzata
sulle navi mercantili per consentire l'imbarco e lo sbarco
del comandante". Ma il pilota non è il comandante!
E' lo specialista che sale a bordo per assistere il
comandante nelle manovre di ingresso e uscita dal porto.
A proposito di comandante: è mai possibile che nessun
giornalista sappia che l'appellativo di un ufficiale di
marina, di qualsiasi grado, è "comandante" e
non "capitano"? Si chiamano a vicenda così il
comandante della Concordia e l'ufficiale della Capitaneria
di porto di Livorno, nelle ormai famose telefonate. A
proposito delle quali va notato che i primi stralci,
pubblicati (mi pare) da Il Tirreno, sono stati
subito ripresi su centinaia di siti senza il minimo
approfondimento. E spesso senza neanche citare la fonte.
Nessuno che abbia aggiunto qualcosa, neanche il grado del
comandante De Falco (capitano di fregata), ben visibile
sulla manica nell'unica foto della prima ora.
Grande confusione anche per le imbarcazioni di
salvataggio, chiamate sempre "scialuppe" anche
quando le immagini mostravano le zattere autogonfiabili.
Lasciamo perdere i "piani" invece dei ponti.
Limitiamoci a una perla, tra le tante: "E' difficile
accedere alle cabine in fondo alla chiglia".
Molto difficile, infatti, anzi impossibile. Perché la
chiglia è "una trave longitudinale a sezione
quadrata o rettangolare che percorre l'imbarcazione da
poppa a prua nella sua parte sommersa destinata al
galleggiamento" (sempre da Wikipedia).
Quando trattavano notizie di grande interesse un tempo
giornali e telegiornali approfondivano le notizie,
chiamando gli esperti della materia in questione. Questa
volta niente, o quasi. Un esempio: grande indignazione ha
sollevato la notizia che l'afflusso dei passeggeri alle
imbarcazioni di salvataggio fosse stato regolato da camerieri e
non da marinai. Ebbene, un esperto di cose nautiche
avrebbe spiegato che le norme internazionali per la
sicurezza in mare (SOLAS, ovvero Safety of Life
at Sea) impongono che tutto il personale di bordo,
camerieri compresi, debba essere addestrato per affrontare
le emergenze. Quindi viva i camerieri, perché i marinai
in queste situazioni hanno ben altro da fare.
Ancora. Un approfondimento che potrebbe essere
interessante per il pubblico riguarda quegli uomini che si
vedevano ballare sui loro gommoni neri, piazzando cariche
esplosive per aprire varchi nello scafo. Le cronache li
definiscono "palombari della Marina", o
addirittura "marines" (che invece sono i fanti
di marina, in Italia il Reggimento San Marco). Invece
quegli uomini sono gli specialisti del GOS (Gruppo Operativo Subacqueo)
del Raggruppamento Subacquei ed Incursori "Teseo
Tesei" (noto anche come COMSUBIN, Comando Subacquei
ed Incursori). Una leggenda, un argomento formidabile per catturare
l'attenzione del pubblico. Ma forse troppo faticoso: è
più semplice riempire i notiziari con le foto e i video
degli scampati.
Intanto un blogger affronta il problema dei problemi,
chiedendo ai lettori indicazioni su come recuperare il relitto:
il suo pubblico è notoriamente composto da ingegneri navali
con lunga esperienza nel recupero di grandi unità.
Alla fine sembra che nella memoria resti solo quel
"Vada a bordo, cazzo!" che illumina una parte
della vicenda. Solo una parte? Certo non basta a
rispondere alla domanda di partenza: quali sono i
meccanismi, le ragioni e le conseguenze di tanto interesse
mediatico. Ora abbiamo visto gli aspetti più
superficiali; in un prossimo articolo affronteremo la
sostanza. Ricordando che tutto rimane nelle maglie
della Rete, trasformando subito la cronaca in storia.
(Continua)
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