E' ancora in prima pagina, anche se ha lasciato l'apertura
ad altre notizie. Il naufragio mediatico della Costa
Concordia durerà ancora a lungo e si imprimerà nella
memoria collettiva. Lasciando, probabilmente, qualche
sedimento non trascurabile.
E' questo l'aspetto che vale la pena di analizzare,
naturalmente a grandi linee, per completare il discorso
iniziato qualche giorno fa in Costa Concordia, si è incagliata
l'informazione. Dove abbiamo visto come la valanga
comunicativa sia stata caratterizzata da incompetenza e
superficialità.C'è una notizia che aiuta a collegare le
due parti del discorso. Un organo di stampa, non il solito blog, ha
scritto che il naufragio all'isola del Giglio è la più grande
tragedia del mare dopo l'affondamento del Titanic. Un
capolavoro di cialtroneria, oltre che di smemoratezza.
Senza arrivare all'affondamento dell'Andrea Doria, nel 1956,
basta scorrere le cronache recenti per trovare naufragi
disastrosi. Come quello della Princess of the Stars, nel 2004, o quello
del traghetto Estonia nel Mare del Nord, nel 1994. In tutti
e due i casi le vittime furono più di ottocento.
Ma il paragone bislacco tra la Costa Concordia e il Titanic
impazza sulla Rete, anche se i due eventi hanno ben poco in
comune. Il Titanic affondò nell'Atlantico con 1700 morti.
La Concordia non è neanche affondata, si è semplicemente
adagiata su un basso fondale. E se
qualche decina di vittime sono comunque una tragedia, le
dimensioni dei due naufragi non sono paragonabili.
Eppure nell'immaginario collettivo il dramma recente si
collega a quello di un secolo fa. Forse perché molti ricordano il polpettone
cinematografico del 1997 (e qui ritroviamo quei sedimenti
della memoria collettiva dei quali accennavo all'inizio:
il film con Di Caprio fu un grande evento mediatico).
In ogni caso non è difficile identificare alcune cause
dell'emozione suscitata dalla tragedia dell'Isola del
Giglio. Prima di tutto è una vicenda che ha i caratteri di una
fiction cinematografica o televisiva. A cominciare dal
contesto, che è quello della serie americana Love
Boat, andata in onda con grandi ascolti in tutto il
mondo dal 1977 e durata dieci anni (in Italia è stata
trasmessa su Canale 5 dal 1980).
Crociere spensierate, personaggi simpatici, ambiente di
lusso, vicende amorose. Un'immagine zuccherosa di società
opulenta, oggi riproposta da una insistente pubblicità
che offre vacanze da ricchi a prezzi più o meno popolari.
Quanto basta per far volare la fantasia.
All'improvviso il dramma. La nave incagliata nella
notte, migliaia di persone in pericolo. La commedia
diventa tragedia. In diretta, come tutti i grandi fatti del
nostro tempo. Con il conseguente effetto-valanga
mediatico.
Gli ingredienti ci sono tutti, a cominciare dal contrasto
tra il "cattivo" - il comandante che ha
provocato l'incidente - e il "buono" -
l'ufficiale della Capitaneria di porto - che lo richiama
severamente alle sue responsabilità e organizza i soccorsi con
freddezza e competenza.
Non basta. Dopo qualche giorno entra in scena il
personaggio che mancava, la donna, all'inizio misteriosa,
che (forse) distraeva il comandante in plancia.
L'eroe positivo e l'eroe negativo si fronteggiano nella
fantasia come personaggi di una antica saga o di un film.
Ma la verità è più articolata, come se si
montassero insieme per sbaglio due pellicole diverse. La
trama principale è quella dei film catastrofici
americani, con l'eroe positivo che domina la situazione e
salva le persone in pericolo. Di fronte non ha il
malvagio, il terrorista o semplicemente il fato. Ha un
personaggio che ricorda un italiano cialtrone da film di costume. Insomma, Burt
Lancaster contro Alberto Sordi. Ma nessuno dei due ha
sbagliato film, perché è una storia vera.
Così il dramma diventa spettacolo. Niente di nuovo, verrebbe da dire. Ho ancora ricordi
precisi di come vissi, da bambino, il naufragio
dell'Andrea Doria. Attraverso la radio e i giornali,
perché a casa mia la televisione sarebbe entrata molti
anni dopo. Per quei tempi fu un grande evento mediatico. Mi restano impresse nella memoria le prime
pagine del Corriere della sera e de Il Piccolo
di Trieste, con le grandi foto in bianco e nero, prima della
nave coricata sul fianco, poi, il giorno dopo, quelle della
poppa che si levava sul mare prima di scomparire.
Anche allora in tanti vissero con profonda emozione
quelle ore drammatiche. Anche allora c'erano un eroe
positivo, il comandante dell'Andrea Doria Piero Calamai, e
uno negativo, il terzo ufficiale della Stockholm
Johan-Ernst Carstens-Johannsen. Le polemiche furono
violente e durano ancora oggi. Ma non c'era l'internet. La gente poteva solo ricevere le notizie e
commentarle in famiglia o al bar. Come massimo qualcuno
poteva mandare una lettera al direttore di un giornale,
che poteva anche non essere pubblicata.
Oggi non sono solo gli organi di informazione a
decidere se una vicenda è da prima pagina. E per quanto
tempo deve restarci. Con la Rete un elemento nuovo si è
inserito nel ciclo dell'informazione. Le emozioni del pubblico possono influire
più delle decisioni dei media sulla vita e sul senso
delle notizie. In parte si tratta
di voyeurismo e anche di quella che in tedesco si chiama Schadenfreude,
ovvero la gioia (inconscia) di vedere la sofferenza degli
altri.
Ora consideriamo due frammenti del baccano
mediatico di questi giorni. Il primo è un post del blog della Costa Crociere,
che racconta un "inchino" della Concordia
all'isola di Procida. Vi si legge che il 30 agosto scorso
la nave
ha omaggiato con il suo saluto e con la
sua breve sosta nella rada della Corricella, l’isola di
Procida, tutto ciò grazie al Comandante Francesco
Schettino, di Meta di Sorrento. Una grande emozione non
solo per i procidani ma anche per i numerosi turisti
presenti che hanno accolto la grande e possente nave con
applausi, striscioni, musica trombette e vuvuzelas, a
bordo di motoscafi, pescherecci, natanti di ogni genere. L’arrivo
della nave è stato annunciato da 10 colpi di mortaio ai
quali Costa Concordia ha risposto con 3 fischi di sirena,
rituale di saluto. Sicuramente una gioia ed una novità
per tutti, anche per gli ospiti della Costa Concordia
pronti sui ponti esterni con macchine fotografiche e
telecamere ad immortalare quel momento unico, ed a
festeggiare e salutare con bandiere e fazzoletti. Come lo
stesso primo ufficiale di coperta originario di Procida ha
dichiarato ‘’Una festa, un atto d’amore e un omaggio
alla tradizione marinara che procidani e sorrentini hanno
nel dna’’.
L'atmosfera da Love Boat, con tanto di
grazie al comandante, ha un riflesso nel secondo
frammento. Le cronache di
lunedì 23 gennaio riportano che, durante la partita di
calcio del giorno prima tra il Napoli e il Siena, i tifosi
del club Napoli Meta (la località dove è nato e abita il
comandante) hanno esposto uno striscione:
"Comandante Schettino siamo con te". Scandaloso.
Non si
spiega solo con il campanilismo, perché Schettino è un
personaggio tipico dell'Italia di questi anni. Uno in cui
molti si riconoscono e che votano alle elezioni.
A questo punto il quadro è completo. La Costa Concordia è la metafora del nostro Paese,
che corre allegramente verso il naufragio con al comando uno
sbruffone irresponsabile. Il quale, anche quando è chiaro
che la festa sta diventando tragedia, assicura che tutto va
bene.
Ma l'Italia non è solo la nave del bunga-bunga. Quando la
situazione volge al disastro, arriva un
"tecnico" che prende in mano la situazione. E'
semplicemente un ufficiale competente, che fa
con serietà il suo mestiere. E diventa un eroe.
Gli eroi sono un'altra cosa. Ma oggi in Italia appaiono
eroi quelli che semplicemente fanno il loro dovere. Come
il calciatore Simone Farina, che rifiuta di farsi
corrompere per truccare una partita. Come un capo del
Governo che continua a riscuotere il consenso della
maggioranza degli italiani, mentre li bastona a suon di
tasse e rincari.
Evidentemente abbiamo bisogno di persone così. E siccome
alla ribalta ce ne sono poche, in un modo o nell'altro ne
facciamo degli eroi.
Consideriamo ancora la figura del comandante De Falco.
Il punto-chiave non è il "vada a bordo, cazzo"
che ha fatto il giro del mondo. E' quando ordina a
Schettino di riferire "se ci sono bambini, donne o
persone bisognose di assistenza". E poi: "Con
cento persone a bordo lei abbandona la nave?".
De Falco è un marinaio. Uno che ha impressi nella
coscienza quei due principi che guidano gli uomini di mare nei
momenti tragici di un naufragio: "Prima le donne e i
bambini. Il comandante per ultimo".
In fondo non fa altro che imporre il rispetto delle
regole. In un'epoca in cui le regole appaiono troppo
spesso come inutili contrattempi.
L'eroe di una notte poteva diventare un personaggio
mediatico, un frequentatore di talk-show, uno di quei
"massimi esperti" del tutto e del nulla che
vengono chiamati a pronunciare oracoli e sentenze per ogni
occasione. Niente di tutto questo. Continua a fare il suo
lavoro come un uomo di governo a cui non interessa vincere
le prossime elezioni.
L'interesse sul naufragio della Costa Concordia durerà
a lungo. Ci sarà lo spettacolo (mediaticamente grandioso) del relitto che
torna a galleggiare. Ci sarà il processo. Nell'aula del
tribunale vedremo di nuovo uno di fronte all'altro i due
comandanti. Forse ci sarà ancora qualcuno che "farà
il tifo" per Schettino. Ma la stragrande maggioranza
sarà dalla parte di De Falco. Molti giovani apprenderanno
la lezione della responsabilità e del rispetto delle
regole.
Alla fine della storia, la vicenda della nave
incagliata, metafora dell'Italia incagliata, sembra
rivelare un aspetto positivo: qualcosa sta cambiando, se
la maggioranza degli italiani si riconosce in persone
serie e responsabili. Che non concedono nulla ai
riflettori delle cronache, che non cercano il consenso.
Tecnici che svolgono seriamente i compiti a cui sono
chiamati, senza riguardo per nessuno. E poi tornano a
casa, come i dittatori dell'antica Roma.
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