Tutti contro Google.
Dalla Cina agli Usa, passando per l'Italia e la
Germania. Oggi non parliamo dei processi che fanno
temere una "censura privata" sui contenuti,
ma degli attacchi che gli editori sferrano contro Google
News. L'accusa è di concorrenza sleale nei confronti
delle versioni on line delle testate di carta. Succede
negli USA per opera del magnate Murdoch, succede in
Italia e in Germania per opera delle associazioni degli
editori. In Italia uno dei più importanti scrive: "La Rete non può restare un Far West senza regole o una Somalia in balìa dei signori della guerra, dove tutto è gratis e la pirateria non è un
reato". Sembra una di quelle sfuriate che andavano
di moda quindici anni fa, quando la Rete era una realtà
sconosciuta ai più e qualcuno arrivava a concludere che
sull'internet "si corre persino il pericolo di
essere uccisi".
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Invece la frase porta la data del 24 gennaio scorso e
il suo autore è Carlo De Benedetti, presidente del
Gruppo editoriale L'espresso, in una delle sue
ricorrenti lettere al Sole 24 Ore. L'argomento è
sempre la crisi della carta stampata di fronte
all'avanzata dei nuovi media. I quali danno gratis un mare
di notizie e fanno concorrenza all'informazione
tradizionale, penalizzata dal calo degli introiti
della pubblicità e dalla mancanza di un modello di
business capace far pagare l'informazione on line come
quella su carta.
Scrive De Benedetti: "Via via un numero crescente di utenti s'è abituato a trovare gratis sui siti tutti gli aggiornamenti e, talvolta, gli approfondimenti e i commenti di cui ha
bisogno [...]
Ma un editore non può prescindere dal bilancio, anche perché quando i conti non tornano è la libertà d'espressione a soffrirne per prima e di più. L'errore degli editori è stato puntare tutto sulla pubblicità, quasi che potesse esserci una quota aggiuntiva di investimenti da dedicare a internet e in particolare a chi fornisce notizie
online [...]
Far pagare le notizie di qualità su internet è parte del mix di misure anticrisi che gli editori stanno definendo. Il «New York Times», i quotidiani della galassia di Rupert Murdoch, quelli di Axel Springer in Germania stanno per mettere in vendita una quota dei propri contenuti informativi digitali. Se si offre un buon prodotto, chiunque capisce che è ragionevole pagarlo, sia che se ne fruisca sul cellulare sia
online".
"Chiunque capisce che è ragionevole
pagarlo"? Forse l'ingegner De Benedetti è troppo
ottimista. Perché tra "capire" e
"pagare" c'è una distanza incolmabile, quando
l'informazione che si dovrebbe pagare si trova gratis,
replicata su centinaia di siti. In molti casi una forma di
"pirateria" simile - non uguale - a quella
che colpisce i contenuti audio e video. Con una
differenza sostanziale: mentre l'industria
dell'intrattenimento gode di buona salute nonostante la
pirateria, quella dell'informazione se la passa male
indipendentemente dalla pirateria.
L'acquisizione abusiva dei contenuti audio e video on
line è praticata da milioni di utenti. E
siccome l'industria ha incominciato a capire con molto
ritardo le potenzialità della Rete nella diffusione dei
contenuti, si è affermato il costume, forse la cultura, della musica
e dei film da scaricare gratis. La tecnologia
lo consente, controllarla si sta rivelando impossibile.
La questione è diversa quando si parla dell'informazione, soprattutto in Italia.
La carta perde pubblicità, la Rete non ne raccoglie abbastanza, la televisione è un sostanziale
monopolio. Non sono in crisi i giornali, ma l'intera industria
dell'informazione. E' un fatto che
nel nostro Paese i lettori della carta stampata sono
pochi; il numero di copie di quotidiani vendute nelle
edicole è fermo intorno ai cinque milioni da più di
mezzo secolo. Le acquistano persone
abituate da sempre a comperare il giornale di carta. Quanti di
questi "antichi" lettori sono disposti a spendere
per avere gli stessi contenuti on line, anche
considerando il valore aggiunto dell'informazione sul
web (riferimenti, approfondimenti, ricerche)?
Probabilmente troppo pochi per assicurare la
redditività delle edizioni telematiche. Ma gli introiti
di queste possono crescere proprio grazie agli
aggregatori di informazioni, come Google News. Sia in
termini di pubblicità sia con la conquista di nuovi
lettori telematici paganti (sempre che si riesca a
frenare l'informazione parassita gratuita). Per questo
molte delle accuse che vengono mosse dagli editori alle
pagine di Google sono poco convincenti.
Non è vero che Google News fa concorrenza ai
giornali on line, sottraendo loro introiti pubblicitari:
anzi, fa aumentare il numero dei clic sulle pagine
indicizzate. E il guadagno dell'aggregatore (in
prospettiva, perché ora in Italia Google News non ha
pubblicità) può essere valutato come la contropartita
del "servizio" reso ai giornali con
l'indicizzazione dei loro contenuti.
Non è vero che Google News fa concorrenza agli
editori perché non "produce" informazione.
Non è un editore, come sostiene il Corriere della Sera del 28
gennaio scorso, in un articolo che ha suscitato
molte proteste (ma non se ne possono mandare più,
chissà perché: "Non è possibile inviare commenti
a questo articolo" dice un avviso nella pagina).
E' vero che Google ha una posizione dominante nel
campo delle ricerche on line, solo perché nessuno è
riuscito a fare di meglio. Ma non è impossibile che
qualcuno possa fargli concorrenza, come invece ipotizza
il provvedimento di avvio di istruttoria
dell'AGCOM: per molte grandi aziende, Microsoft in
testa, non ci sono "barriere all'ingresso"
oggettive nel mercato delle ricerche on line. E gli
stessi editori che si ritengono danneggiati da Google
News potrebbero costruire un motore di ricerca comune
per indicizzare i contenuti di ciascuno.
L'idea qualche modo sfiora anche Carlo De Benedetti,
che nella lettera al Sole 24 Ore scrive:
"Se prendessimo questa grande massa di informazione, la mettessimo sui nostri siti e la facessimo indicizzare da Google e dagli altri motori, rendendola ricercabile, faremmo un buon servizio all'utenza e, se a pagamento, ci garantiremmo ricavi aggiuntivi.
Se lo volesse, Google potrebbe così trasformarsi in un equo distributore della ricchezza creata grazie al lavoro altrui; e avremmo bell'e pronto il sistema di pagamento universale suggerito su queste pagine da John
Tierney [...] Finora non era così, nel senso che tutto quanto immagazzinato nei server dell'azienda di Mountain View era, per definizione, fruibile gratuitamente online. Bene, se Google accettasse di riscuotere per conto degli editori i pagamenti legati a determinati contenuti, si potrebbe cominciare a ragionare. Come si ragiona tra partner, non come i sudditi ricevuti in udienza dal
sovrano".
E un passo avanti. Ma ne occorre un altro: si deve
incominciare a considerare l'informazione on line come
il fulcro del
sistema, perché integra i contenuti della
carta, della televisione e della radio nel
"prodotto web". Non si dovrebbe parlare più
della versione on line del giornale di carta, ma della
versione di carta del giornale on line. Un rovesciamento
di prospettiva difficile da accettare e mettere in
pratica per mille motivi, prima di tutto per la
rivoluzione che comporterebbe nell'organizzazione delle
"fabbriche di informazione" e nei ruoli
redazionali. Ma è l'unica strada che si può percorrere
per mantenere il valore aggiunto dell'informazione
"degli editori" nei confronti
dell'informazione spontanea della Rete.
Invece non è condivisibile la proposta con la quale
l'editore di Repubblica chiude il suo intervento:
"far sì che gli operatori di rete, le telecom, accettino di condividere con noi una quota dei loro ricavi dovuti
all'accesso". In sostanza, De Benedetti ipotizza
una tassa sulle notizie da aggiungere ai canoni di
abbonamento pagati dagli utenti. Far pagare
l'informazione a chi la vuole è giusto, farla pagare a
tutti, anche a quelli che non sanno che farsene, è
un'idea bizzarra.
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