Crisi. recessione. Disoccupazione. Poi ci sono le
tangenti, la banda del cinque per cento, il Papa che
abdica. E le elezioni incombenti, che ai politici in corsa
non interessa vincere, perché basta che l'avversario le
perda. Non si salva nessuno.
Insomma, Dio è morto, Marx è morto (come disse Groucho
Marx, rilanciato da Woody Allen)... e anche la stampa non
si sente molto bene.
Anzi, si sente malissimo. Testate sull'orlo del
fallimento, giornalisti sull'orlo della disoccupazione,
editori sull'orlo di una crisi di nervi (oltre che di
liquidità).
Un lungo articolo di Ulisse Spinnato Vega
su Economiaweb.it riassume la situazione. Copio due
passaggi:
RIZZOLI, 800 ESUBERI E VIA SOLFERINO IN
VENDITA. Rcs ha appena messo sul tavolo un piano
da 800 esuberi su 5mila dipendenti complessivi, di cui 640
in Italia (un centinaio dei quali al Corriere della
Sera e una quarantina alla Gazzetta dello Sport)
e il resto in Spagna.
Fa scalpore l’idea che il CorSera debba lasciare la
storica sede milanese di via Solferino, ma è ancora più
grave che dieci testate del gruppo vadano incontro alla
dismissione o all’eventuale chiusura. A,
Bravacasa, Yacht&Sail, Europeo, Max, Astra, Novella
2000, Ok Salute, Visto e il polo dell’enigmistica
sono l’agnello sacrificale del piano
dell’amministratore delegato Pietro Scott Jovane. E
tuttavia rappresentano circa il 20% del fatturato dei
periodici Rcs. I conti 2012 hanno subito la svalutazione
degli asset spagnoli, ci sono poi 300 milioni da investire
e un indebitamento da 875 milioni a fine settembre
malgrado la cessione della casa editrice francese
Flammarion.
100 GIORNALISTI DI TROPPO NELLE REDAZIONI
MONDADORI. Da Milano a Segrate il passo è breve.
E anche Mondadori è nella bufera, malgrado le professioni
di ottimismo fatte dall’ex premier Silvio Berlusconi. Il
gruppo ha già deciso di chiudere Panorama Travel,
Casaviva, Ville&Giardini e Men’s Health.
Ma nel frattempo prende corpo il piano di
riorganizzazione, anticipato da Lettera43.it, che
ha come padri Ernesto Mauri, direttore generale periodici,
e Carlo Mandelli, direttore periodici Italia, di concerto
con i direttori di testata.
Si tratta di 100 esuberi nelle redazioni, di cui 35
attraverso le chiusure già annunciate e 65 nelle altre
realtà editoriali.
Tra l’altro, tutte le testate devono dimagrire e
prevedere al massimo due vicedirettori.
Si cerca di correre ai ripari anche con soldi pubblici,
secondo l'inveterata abitudine della stampa italiana. Ma
soldi non ce ne sono. Franco Abruzzo riporta un pezzo dell'ANSA,
con l'appello al Governo della Federazione degli editori (FIEG).
Il Governo risponde picche, come si legge sempre sul sito di Abruzzo, che riprende una nota
dell'AGI.
Il piagnisteo degli editori è sempre lo stesso da
decenni. Ma la causa dell'attuale stato comatoso
dell'informazione non è solo la crisi economica. C'è una
causa più profonda e sostanziale: gli editori continuano
a produrre l'informazione come se la carta fosse ancora il
mezzo più importante. Ma i giornali di carta si vendono
sempre meno anche per il banale motivo che i suoi (da
sempre pochi) lettori sono per lo più persone anziane, il
cui numero si riduce continuamente per cause naturali.
Il giornale di carta di grande tiratura è destinato a
sparire. L'informazione vivrà in formato elettronico, sul
web, sui dispositivi portatili, su tutti gli attrezzi
tecnologici che l'industria lancia sul mercato a getto
continuo (le foreste e l'atmosfera ringrazieranno).
Ma gli editori devono capire che il giornale di carta è
solo una delle forme, e non la più importante, di un
sistema dell'informazione sempre più "liquido".
Carlo De Benedetti, l'editore di Repubblica, ha
detto qualche tempo fa che le sue pubblicazioni on line
sono finalmente in pareggio. Buon segno. Ma ha ripetuto
che il giornale di carta resta essenziale per
l'approfondimento, mentre l'informazione sul web è
superficiale. Ma dove vive, ingegnere?
Apra il suo adorato giornale di carta, legga un articolo
su un argomento qualsiasi. Se è un fatto importante,
probabilmente ci sono uno o due pezzi di contorno che
allargano o approfondiscono la questione. E basta. In ogni
caso sono articoli scritti ieri.
Ora vada a cercare lo stesso argomento sull'edizione on
line. Tanto per incominciare, le notizie che trova sono
quelle di oggi e non quelle di ieri. Poi ci sono diversi
link che portano ad articoli precedenti sullo stesso
argomento o ad argomenti collegati. Ci sono foto e filmati
(per lo più di infima qualità). Ci sono i riferimenti ai
siti stranieri. Insomma, c'è l'approfondimento, quello
impossibile col giornale di carta.
Poi lei, come ogni lettore on line, può andare a vedere
quello che scrivono gli altri giornali, i blog, i social
network. Ed è ancora approfondimento.
Ma, proprio scartabellando tra le pagine web, chiunque
può osservare come l'informazione prodotta dalle
redazioni on line sia superficiale, inesatta, incompleta.
Spesso sgrammaticata. In qualche caso addirittura
illeggibile.
Un esempio dal Corriere dell'altro ieri, 16
febbraio. Provate a leggere questo pezzo di cronaca raffazzonato,
confuso, incomprensibile. Il primo commento di un lettore,
pochi minuti dopo la pubblicazione, diceva: "Non si capisce niente da com'è scritto quest'articolo".
Poi il commento è sparito.
Si deve partire da qui, dalla qualità
dell'informazione on line, per renderla appetibile e
quindi trovare lettori disposti a pagare per leggerla.
Dunque occorre far scrivere giornalisti esperti, invece
che malpagati precari di passaggio. Si deve studiare una
grafica più efficace. Si devono rimettere al lavoro, se
ce ne sono ancora, quei capiservizio di una volta, che
controllavano gli articoli parola per parola prima di
"passarli". E somministravano tremende lavate di
capo ai principianti pasticcioni (lezioni molto più
efficaci di quelle delle costose scuole di giornalismo di
oggi!).
E poi si devono rimettere davanti al video i gloriosi
correttori di bozze, che aggiustavano refusi, grammatica e
sintassi.
Ma adesso basta, perché sto per riscrivere quello che ho
scritto esattamente tre anni fa in Google e la crisi della carta. O
dell'informazione?. Sono passati tre anni e gli
editori sono ancora a chiedere soldi ai cittadini che non
leggono i loro giornali.
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