Caro direttore,
ho letto con interesse il tuo articolo Diritti
degli utenti qualcosa si muove? e mi permetto di condividere con te alcune
riflessioni estemporanee che essa mi ha provocato.
In particolare, la parte finale dell’articolo in questione
pone l’accento su un tema che – nel bene e nel male – è al centro del
dibattito di questo interessante periodo; sono infatti tornati sul tavolo i temi
dell’interconnessione e dell’accesso – già posti all’attenzione del
mercato e del regolatore in tutta la loro complessità circa dieci anni fa
quando si trattò di realizzare l’unbundling della rete di telecomunicazioni
pubblica - in una declinazione a più livelli.
Non è più sufficiente assicurare interconnessione ed
accesso ad una sola rete ma, in una prospettiva in cui l’utente domestico è
il punto terminale ed il fruitore di tutta la connettività “consumer”,
esiste una intensa dialettica tra reti che tecnicamente possono essere una cosa
sola mentre, per scelte di mercato, rimangono separate e non “interoperano”
o non sono “interconnesse”.
Le modalità con cui la separazione avviene sono quelle di cui più volte
abbiamo scritto su queste pagine: esistono protocolli proprietari che proteggono
il proprio set-top-box o la propria codifica di trasmissione via IP, scelte
commerciali nel senso di non interconnettere la propria rete in tutto o in
parte, blocco di frequenze con vincolo delle stesse al possesso di una SIM o
altro dispositivo, ecc.
Se e in che misura queste tecniche debbano essere oggetto di
limitazioni regolamentari è inevitabilmente argomento sui tavoli di tutti i
regolatori internazionali.
In particolare, è argomento che coinvolge molti ambiti di regolamentazione:
accedere ad un sistema di distribuzione di contenuti digitali (es. un decoder o
un terminale che attraverso una rete consente di visualizzare un video-on-demand)
è qualcosa che chiama in azione i più vari ambiti normativi:
- ho avuto possibilità di scelta? (norme sulla concorrenza)
- il contenuto proviene dal legittimo titolare? (norme sulla proprietà
intellettuale)
- il contenuto è contrario all’ordine pubblico/buon costume? (norme
antiterrorismo, tutela dei minori, ecc.)
- il mio sistema deve poter consentire la decodifica del contenuto? (norme su
interconnessione/interoperabilità)
Si tratta di un percorso normativo che è, per il futuro,
ancora da chiarire del tutto.
Una indicazione cui molti – tu per primo nell’articolo che qui commento –
fanno ancora spesso riferimento è in realtà venuta a mancare: il testo unico
sulla radiotelevisione ha infatti abrogato espressamente l’art. 2 comma 2
della L. 78/99, che prevedeva l’obbligo del decoder unico e il relativo
divieto di commercializzazione di apparecchi non conformi a tale indicazione.
Si può d’altronde capire che il decoder unico previsto da
quella norma era quello che consentiva la visione di Stream e Tele+, non certo
un apparato che integrava tecnologie multipiattaforma.
Sarebbe interessante capire se per l’utente un apparato che abbinasse
Sky+Fastweb+AliceHomeTV+digitale terrestre potrebbe portare vantaggi.
Forse il costo degli abbonamenti necessari a sostenerne il funzionamento non
giustificherebbe l’onere di commercializzazione.
Evidentemente il concetto di decoder unico, qualora si voglia
riprendere tale filone di dibattito partendo dal combinato dei principi del
testo unico sulla radiotelevisione e del codice delle comunicazioni elettroniche
– che offrono ottimi spunti al riguardo - dovrà essere diverso: si tratterà
di un decoder “unico” rispetto ad una piattaforma.
E’ quello allora che esiste per il digitale terrestre: il decoder digitale
terrestre consente di vedere qualunque cosa trasmessa con protocollo DVB-T e a
nessuno è consentito trasmettere con tale protocollo programmi non ricevibili
dal set top box.
Si potrebbe discutere di estendere tale logica ad altre
piattaforme.
In questo senso la sentenza del giudice di pace di Bologna, pubblicata sull’ultimo
numero di InterLex, è emblematica dell’assenza di vera regolamentazione “pro-mercato”
sui decoder e sulle tecniche di distribuzione di contenuti digitali: tale
sentenza – balza agli occhi – non risolve il problema dell’abbonato
perché è impensabile che la società convenuta cambi le tecniche di codifica
per un solo cliente, e non risolve il problema della società convenuta che deve
pur potere avere uno strumento legale di transizione da una tecnica all’altra
senza lasciare “orfani”.
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