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Sistema informazione

La Federazione degli editori cita Google davanti all'Antitrust

Anche l'informazione fa causa. A se stessa.

Giornali in crisi. Sempre più giornalisti perdono il lavoro, nessuna prospettiva per i giovani. Si scende in piazza per chiedere libertà di informazione. E gli editori se la prendono con Google, che indirizza i lettori sui loro siti.
4 settembre 2009 
Tempi duri per l'informazione in Italia. I giornali boccheggiano e riducono il personale: centinaia di prepensionamenti di giornalisti sono in vista per l'autunno. Le collaborazioni sono tagliate senza pietà. Intanto il capo del governo insulta e querela i giornali che lo criticano e gli pongono domande imbarazzanti. Che molti italiani non conoscono, perché  la loro principale fonte di informazioni, la televisione, non ne parla. Parla solo delle reazioni dell'interrogato, che è anche il loro più alto controllore. Che arriva anche a lamentarsi per qualche spiffero di libera informazione che filtra tra le reti unificate.
E gli editori dei giornali che fanno? Avviano una causa davanti all'Autorità garante della concorrenza e del mercato contro Google News, il sito che aggrega centinaia di titoli di notizie e rinvia agli articoli originali: tanta pubblicità gratis per le testate. Ma allora di che si lamentano?

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Si può tentare di capirlo (ma non è facile) leggendo il provvedimento con il quale l'AGCM avvia l'istruttoria sulla segnalazione della Federazione italiana degli editori di giornali (FIEG). Ma prima è bene riflettere ancora un momento sulla situazione generale.

Per il prossimo 19 settembre è stata indetta dalla Federazione della stampa (il sindacato dei giornalisti) una manifestazione di piazza in difesa della libertà di stampa. L'iniziativa segue una raccolta di firme, avviata da la Repubblica, su un appello lanciato da tre dei nostri più insigni giuristi: Franco Cordero, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. Duecentotrentamila firme in pochi giorni, comprese quelle di grandi nomi della cultura e dello spettacolo. Umberto Eco ha osservato che se "qualcuno deve intervenire a difesa della libertà di stampa, vuol dire che la società e con essa gran parte della stampa, è già malata. Nelle democrazie 'robuste' non c'è bisogno di difendere la libertà di stampa, perché a nessuno viene in mente di limitarla".

Questo è il contesto, molto sommario, dello stato dell'informazione in Italia, tra crisi delle testate, attacchi e censure. E gli editori non trovano di meglio che prendersela con l'internet che sottrae lettori e con Google News, che guadagna sulla pubblicità con le segnalazioni degli articoli e sottrae - sostengono - pubblicità ai loro siti, abusando della propria posizione dominante.
Nel provvedimento che avvia l'istruttoria, l'Autorità sembra arrampicarsi sugli specchi per identificare i contorni dell'abuso, ma non è questo il problema (vedi Il raid dell’Antitrust italiana su Google News di Andrea Monti).

E' difficile sostenere che giornali e i siti di informazione in generale siano penalizzati dagli aggregatori di notizie come Google News, che offrono tempestivamente i link alle pagine appena pubblicate. Anzi, ne ricavano un'ampia pubblicità a costo zero. Quello che toglie ricavi agli editori è la ripubblicazione integrale degli articoli da parte di una quantità di siti (in buona parte legittima, se è citata la fonte e se non c'è una esplicita indicazione di copyright). Perché il lettore che non legge la pagina originale non vede la pubblicità. Invece la vede se ci arriva dalla citazione di un sito come Google News.

Il fatto è che gli editori di giornali, in tutto il mondo, sentono i contraccolpi del cambiamento profondo intervenuto in questi anni. Ma fino a ora non sono riusciti a seguire il nuovo, a capire che l'informazione di oggi è del tutto diversa da quella di vent'anni fa. E reagiscono chiedendo interventi delle autorità: è del luglio scorso la "Dichiarazione di Amburgo" con la quale sollecitano la Commissione europea ad intervenire contro gli "abusi" dell'informazione on line.

Su Il Sole 24 ore del 21 maggio scorso Carlo De Benedetti, editore di Repubblica, inquadra correttamente il problema dei rapporti tra carta stampata e internet e della difficoltà di ottenere ricavi dalle edizioni on line. Ma non riesce a fare quel passo in più che potrebbe avvicinare la soluzione: De Benedetti pensa al giornale "così com'è", da "sfruttare digitalmente". Mentre si deve pensare all'internet "così com'è" e al modo come sfruttarla anche con la vendita della carta.

In questa prospettiva, iniziative come la "Dichiarazione di Amburgo" o la causa promossa dalla FIEG contro Google davanti all'Antitrust appaiono stravaganti. Attaccando l'internet l'editoria fa causa a se stessa per non aver saputo mantenersi al passo con l'evoluzione del sistema dei media. Si deve riflettere, per ritornare all'inizio di questo articolo, su un paradosso: l'informazione va in crisi proprio mentre si sviluppa una società in cui l'informazione e la comunicazione assumono un ruolo economico di primo piano.

In Italia restiamo alle prese con l'anomalia del controllo della televisione, degli attacchi ai giornali, delle intimidazioni e delle censure, quando nel resto del mondo l'informazione è libera come non lo è mai stata nella storia.

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