Tempi duri per
l'informazione in Italia. I giornali boccheggiano e
riducono il personale: centinaia di prepensionamenti di
giornalisti sono in vista per l'autunno. Le
collaborazioni sono tagliate senza pietà. Intanto il
capo del governo insulta e querela i giornali che lo
criticano e gli pongono domande imbarazzanti. Che molti
italiani non conoscono, perché la loro principale
fonte di informazioni, la televisione, non ne parla.
Parla solo delle reazioni dell'interrogato, che è anche
il loro più alto controllore. Che arriva anche a
lamentarsi per qualche spiffero di libera informazione
che filtra tra le reti unificate.
E gli editori dei giornali che fanno? Avviano una causa
davanti all'Autorità garante della concorrenza e del
mercato contro Google News, il sito che aggrega
centinaia di titoli di notizie e rinvia agli articoli
originali: tanta pubblicità gratis per le testate. Ma
allora di che si lamentano?
[Top]
Si può tentare di capirlo (ma non è facile)
leggendo il provvedimento con il quale l'AGCM
avvia l'istruttoria sulla segnalazione della Federazione
italiana degli editori di giornali (FIEG). Ma prima è
bene riflettere ancora un momento sulla situazione
generale.
Per il prossimo 19 settembre è stata indetta dalla
Federazione della stampa (il sindacato dei giornalisti)
una manifestazione di piazza in difesa della libertà di
stampa. L'iniziativa segue una raccolta di firme,
avviata da la Repubblica, su un appello lanciato da tre dei nostri
più insigni giuristi: Franco Cordero, Stefano Rodotà e
Gustavo Zagrebelsky. Duecentotrentamila firme in pochi
giorni, comprese quelle di grandi nomi della cultura e
dello spettacolo. Umberto Eco ha osservato che se "qualcuno
deve intervenire a difesa della libertà di stampa, vuol
dire che la società e con essa gran parte della stampa,
è già malata. Nelle democrazie 'robuste' non c'è
bisogno di difendere la libertà di stampa, perché a
nessuno viene in mente di limitarla".
Questo è il contesto, molto sommario, dello stato
dell'informazione in Italia, tra crisi delle testate,
attacchi e censure. E gli editori non trovano di meglio
che prendersela con l'internet che sottrae lettori e con
Google News, che guadagna sulla pubblicità con le
segnalazioni degli articoli e sottrae - sostengono -
pubblicità ai loro siti, abusando della propria
posizione dominante.
Nel provvedimento che avvia
l'istruttoria, l'Autorità sembra arrampicarsi sugli
specchi per identificare i contorni dell'abuso, ma non
è questo il problema (vedi Il raid dell’Antitrust italiana su
Google News di Andrea Monti).
E' difficile sostenere che giornali e i siti di
informazione in generale siano penalizzati dagli
aggregatori di notizie come Google News, che offrono
tempestivamente i link alle pagine appena pubblicate.
Anzi, ne ricavano un'ampia pubblicità a costo zero.
Quello che toglie ricavi agli editori è la
ripubblicazione integrale degli articoli da parte di una
quantità di siti (in buona parte legittima, se è
citata la fonte e se non c'è una esplicita indicazione
di copyright). Perché il lettore che non legge la
pagina originale non vede la pubblicità. Invece la vede
se ci arriva dalla citazione di un sito come Google
News.
Il fatto è che gli editori di giornali, in tutto il
mondo, sentono i contraccolpi del cambiamento profondo
intervenuto in questi anni. Ma fino a ora non sono
riusciti a seguire il nuovo, a capire che l'informazione
di oggi è del tutto diversa da quella di vent'anni fa.
E reagiscono chiedendo interventi delle autorità: è
del luglio scorso la "Dichiarazione di
Amburgo" con la quale sollecitano la Commissione
europea ad intervenire contro gli "abusi"
dell'informazione on line.
Su Il Sole 24 ore del 21 maggio scorso
Carlo De Benedetti, editore di Repubblica,
inquadra correttamente il problema dei rapporti tra
carta stampata e internet e della difficoltà di
ottenere ricavi dalle edizioni on line. Ma non riesce a
fare quel passo in più che potrebbe avvicinare la
soluzione: De Benedetti pensa al giornale "così
com'è", da "sfruttare digitalmente".
Mentre si deve pensare all'internet "così
com'è" e al modo come sfruttarla anche con la
vendita della carta.
In questa prospettiva, iniziative come la
"Dichiarazione di Amburgo" o la causa promossa
dalla FIEG contro Google davanti all'Antitrust appaiono
stravaganti. Attaccando l'internet l'editoria fa causa a
se stessa per non aver saputo mantenersi al passo con
l'evoluzione del sistema dei media. Si deve riflettere,
per ritornare all'inizio di questo articolo, su un
paradosso: l'informazione va in crisi proprio mentre si
sviluppa una società in cui l'informazione e la
comunicazione assumono un ruolo economico di primo
piano.
In Italia restiamo alle prese con l'anomalia del
controllo della televisione, degli attacchi ai giornali,
delle intimidazioni e delle censure, quando nel resto
del mondo l'informazione è libera come non lo è mai
stata nella storia.
|