Sgomberiamo subito il campo da un malinteso non di
poco conto: il ddl Prodi-Levi non comporterà la
nascita di una “diffamazione a mezzo Internet”.
L’autore di un contenuto diffamatorio veicolato
mediante un blog, un forum, un sito qualunque è, già
oggi, perseguibile secondo l’art. 595, comma 3,
c.p.p. (aggravante della diffamazione) che è lo
stesso che si applica per la stampa. Internet è
pacificamente considerata un “mezzo di pubblicità”
e il DDL non sposta di un millimetro la disciplina sul
punto.
Piuttosto, dal punto di vista penalistico, sono da
trattare tre aspetti: a) stampa clandestina; b)
sequestrabilità dei siti Internet; c) soggetto
responsabile.
Beninteso: tutto già ampiamente dibattuto all’indomani
della l. 62/01. Il fatto è che, rispetto a detta
legge, l’iscrizione al ROC regolata dal ddl comporta
“l’applicazione delle norme sulla responsabilità
connessa ai reati a mezzo stampa” mentre certe
definizioni (come quella di “prodotto editoriale”)
presupposto per la registrazione sono ancora più
ampie e in assenza di chiarimenti (che non possono
venire da un ministro o da un sottosegretario, ma
devono venire dalla parole del legislatore) è lecito
temere il peggio.
Forse non tutti ricordano una sentenza
di Aosta, fortunatamente di assoluzione, che
argomentava sul tema della stampa clandestina
contestata dall’accusa proprio sulla scorta del
dettato della l. 62/01. Il GIP fu costretto a
confrontarsi proprio con le definizioni della l.
62/01, richiamate nel capo di impugnazione, senza
poterle ignorare.
In punto sequestrabilità, invece, occorre
preliminarmente ricordare che la Costituzione, all’art.
21, comma 3, recita: “Si può procedere a sequestro
soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria
nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa
espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione
delle norme che la legge stessa prescriva per
l'indicazione dei responsabili”. Ma sempre la l.
62/01, con la sua definizione di prodotto editoriale,
fece il danno che è chiaramente evidenziato da un giudice
di Latina che, addirittura, andò oltre il dettato
costituzionale ordinando il sequestro del sito (ma è
conosciuto un altro
provvedimento di segno opposto). Ora, ci si
dovrebbe chiedere se l’unico effetto positivo del
ddl possa essere quello dell’impossibilità di
sequestrare un sito sottoposto al regime del ROC.
Sarebbe una rivoluzione, ma coerente con i principi
della riforma.
Sempre di Aosta, infine, è la giurisprudenza
sulla responsabilità del blogger. Malgrado una
ricostruzione dei fatti non ineccepibile, si afferma
chiaramente che il blogger è come un direttore
responsabile e che, pertanto, risponde per quanto
pubblicato sul suo spazio, commenti compresi. Perché
il punto è la responsabilità del blogger in quanto
tale, in quanto “padrone di casa” che ospita anche
altri autori e per il fatto di questi è chiamato a
rispondere; cosa che, malgrado le acrobazie della
giurisprudenza volte a legittimare una disciplina non
molto compatibile con i principi della responsabilità
penale, è, a ben vedere, aberrante anche per il
direttore responsabile della stampa.
Senza dimenticare, poi, che al direttore
responsabile si sostituirà “colui che ha il compito
di autorizzare la pubblicazione delle informazioni”
(art. 7, comma 2), figura senza dubbio più ambigua ed
estesa.
Mala tempora currunt. E non è allarmismo
ingiustificato. I media forti, con direttori e
redazioni strutturate, avranno ancora soldi (“provvidenze”,
si dice), mentre i piccoli siti che, appunto, vivono
in quella realtà tanto diversa che si chiama Internet
avranno, oltre alle responsabilità già esistenti,
trafile burocratiche da fare, soldi da spendere e un
“responsabile” anche per fatti altrui.
Il problema, in fondo, è sempre lo stesso: far capire
al legislatore che Internet è un altro mondo, un po’
più libero.
|