Un anno fa, e precisamente il 16 luglio 1999, il ministro delle finanze emanò
un decreto che determinava la misura
e le modalità del contributo previsto a copertura dell’onere derivante dall’istituzione
e dal funzionamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Il decreto stabilisce che il contributo deve essere versato entro il 31 luglio
di ogni anno.
I soggetti tenuti al versamento sono quelli
operanti in una serie di categorie, tra cui quella dei servizi interattivi e
multimediali. In particolare per tale categoria, si specifica che sono soggetti
i fornitori di servizi di accesso, i fornitori di servizi di informazione e i
produttori e distributori di prodotti, compresa l’editoria elettronica e
digitale.
Per l’anno 1999, il decreto stabiliva una deroga esplicita a favore di tale
categoria; deroga che per l’anno corrente non è stata, almeno ad oggi,
rinnovata.
Si pone quindi il problema, per la verità
urgente, di verificare l’ambito di applicazione del decreto, individuando nel
dettaglio quali sono i destinatari del contributo, o meglio le attività sui cui
ricavi calcolare lo 0,35 per mille stabilito quale contributo.
Se alla categoria fornitori di servizi di accesso corrispondono ragionevolmente
gli internet provider, diversi dubbi interpretativi sorgono, invece, con
riferimento ai fornitori di servizi di informazione e ai produttori e
distributori di prodotti.
Se si pensa ai siti web, infatti, sembrerebbe
sufficiente l’approntamento di un servizio di informazione (al limite anche
una newsletter) per ritenere l’attività soggetta al contributo. Ovviamente a
maggior ragione, nel caso in cui attraverso il sito sia resa disponibile una
banca dati. Peraltro, la distribuzione di banche dati dovrebbe essere
considerata attività soggetta all’applicazione del contributo anche
indipendentemente dalla sua accessibilità via internet, cioè anche nel caso in
cui la banca dati sia fruibile per via telematica secondo le modalità di
collegamento tradizionali.
A fronte di un così esteso ambito di
applicazione del decreto, bisogna però segnalare che il contributo è calcolato
sui ricavi relativi alle attività in questione. Con la conseguenza che sono
esclusi dall’applicazione del decreto tutti i servizi forniti gratuitamente e
quindi buona parte dei servizi informativi che ad oggi vengono offerti via
internet.
Per quanto riguarda la categoria dei produttori e
distributori di prodotti, la formulazione del decreto si presta ad una duplice
interpretazione. Se, infatti, non vi è dubbio che il contributo trovi
applicazione alla produzione e distribuzione di prodotti interattivi e
multimediali (il che è confermato dal richiamo all’editoria elettronica e
digitale), potrebbe essere anche sostenibile la tesi che esso si estenda anche
ai produttori e distributori di prodotti di tipo tradizionale, che utilizzano
per la loro diffusione servizi interattivi e multimediali.
Se così fosse, anche i ricavi derivanti dalla vendita via internet di prodotti
di qualsiasi tipo (beni materiali e non) sarebbe soggetta all’applicazione del
decreto.
Bisogna però rilevare che se la lettera del
decreto si presta a queste considerazioni, la sua ratio induce ad
escludere che possano essere subordinati all’obbligo contributivo quei
soggetti economici nei confronti dei quali l’Autorità per la garanzia nelle
comunicazioni non ha alcuna competenza.
Peraltro, tale criterio si dimostra spesso inefficiente perché l’ambito di
competenza dell’Autorità supera quello relativo ai gestori delle
infrastrutture di telecomunicazione estendendosi anche, almeno per certi
aspetti, ai fornitori di servizi.
Non vi è dubbio che sulle questioni suesposte
sarebbe utile un chiarimento del Ministero.
* Avvocato in Milano
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