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Internet e stampa

"Testata editoriale telematica": le sviste del legislatore

di Guido Scorza - 05.05.03

A quasi tre anni dall’emanazione della direttiva e a oltre un anno dalla pubblicazione della legge delega, è stato pubblicato il decreto legislativo di attuazione, nel nostro Paese, della direttiva 2000/31/CE "relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno", in breve la "direttiva sul commercio elettronico".
Purtroppo il testo del decreto legislativo 70/03 delude le grandi aspettative che attorno ad esso si erano create e non appare neppure rispondente alle finalità ed agli obiettivi individuati dal legislatore comunitario.

La pubblicità on line, i contratti telematici e la responsabilità degli intermediari dell’informazione costituivano, infatti, e costituiscono tuttora - stante la già denunziata insufficienza dell’articolato governativo - tematiche di fondamentale importanza per lo sviluppo del commercio elettronico e per una crescita dell’uso di Internet quale nuovo mezzo di comunicazione di massa.
Ci si attendeva, pertanto, che il legislatore si mostrasse più attento a tali problematiche e si sforzasse di dar vita ad un articolato strutturato in maniera efficacie ed intelligente e denso di risposte puntuali ed univoche alle molte questioni aperte dall’inarrestabile diffondersi delle nuove tecnologie informatiche e telematiche.

Lo schema di decreto legislativo pubblicato nei giorni scorsi costituisce, invece, solo un maldestro tentativo di imitazione della direttiva comunitaria, una distratta e pedissequa attuazione della delega parlamentare e, soprattutto, un coacervo di ovvietà e di risposte confuse e contraddittorie che non possono che lasciare insoddisfatti tanto i "prestatori dei servizi della società dell’informazione" che i "destinatari" di tali servizi ma che, soprattutto, appaiono difficilmente conciliabili con tutta una serie di altre previsioni contenute nella vigente normativa.

Sagezza e pazienza - antiche virtù troppo spesso dimenticate - suggeriscono di lasciar decantare il testo del provvedimento e di ponderarne più attentamente il contenuto e la portata prima di addentrarsi nella sua analisi.
Ci sono, tuttavia, trentuno parole (numeri inclusi) del testo, in relazione alle quali attendere sarebbe inutile e ben difficilmente varrebbe a modificare le conclusioni che si possono trarre già da una prima attenta lettura. Ci si riferisce al terzo comma dell’art. 7 del decreto legislativo, secondo cui "la registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62".

La disposizione - frutto di un cattivo "suggerimento" del legislatore delegante prontamente raccolto dall’esecutivo - è infatti caratterizzata da una concentrazione di errori e sviste linguistiche prima ancora che giuridiche, tale da rendere inutile e superflua ogni prova d’appello.
Ma andiamo con ordine.

1. E’ innanzitutto difficile comprendere quale sia la disposizione o il principio sancito dalla direttiva 2000/31 che il legislatore nazionale ha inteso attuare attraverso detta previsione.
La sua collocazione tra le informazioni che il prestatore dei servizi della società dell’informazione dovrà rendere accessibili ai destinatari di detti servizi ed alle competenti autorità non fornisce alcun aiuto al riguardo ed anzi appare suscettibile di ingenerare ulteriore confusione; a ben vedere, anzi, costituisce essa stessa un primo errore di tecnica normativa nel quale è incorso il legislatore delegato.

Solo con un notevole sforzo esegetico - ma forse sarebbe più corretto parlare di fantasia o immaginazione - può ipotizzarsi che il legislatore, delegante prima e delegato poi, abbiano ritenuto necessario inserire detta previsione in attuazione del principio di assenza di autorizzazione preventiva per l’accesso e l’esercizio dell’attività dei prestatori dei servizi della società dell’informazione sancito all’art. 4.1 della direttiva.

Se tale interpretazione fosse corretta, tuttavia, occorrerebbe concludere che il legislatore ha -per usare un eufemismo - frainteso il significato e la portata giuridica del concetto di "autorizzazione preventiva" e, ad un tempo, completamente omesso di tener conto del limite posto dallo stesso legislatore comunitario all’ampiezza del principio di "assenza di autorizzazione" attraverso la previsione secondo cui detto principio "fa salvi i sistemi di autorizzazione che non riguardano specificatamente ed esclusivamente i servizi della società dell’informazione" (art. 4.2).

E’, infatti, evidente che l’obbligo di registrazione di una testata telematica, per un verso non avrebbe costituito un sistema di autorizzazione preventiva e, per altro verso, sarebbe stato, in ogni caso, giustificato dalla circostanza di non riguardare "specificatamente ed esclusivamente i servizi della società dell’informazione".

La disposizione di cui al terzo comma dell’art. 7, pertanto, appare orfana di ogni riferimento nella direttiva comunitaria con la conseguenza che il suo inserimento nel decreto legislativo di attuazione è privo di ogni giustificazione ed anzi suscettibile - per quanto si dirà più oltre - di ingenerare ulteriore confusione tra gli operatori di un settore - quello dell’informazione telematica - in cui già sussistono ben poche certezze in relazione al quadro normativo di riferimento.

2. Nella disposizione in commento si parla di " testata editoriale telematica".
L’associazione dell’aggettivo "editoriale" al sostantivo "testata" - anch’essa portato del testo della legge delega - costituisce un unicum nel panorama legislativo nazionale ma, soprattutto, appare difficile da decifrare e tradurre su di un piano linguistico prima ancora che giuridico.
Non si comprende, in particolare, quale debba essere il significato da attribuire all’aggettivo "editoriale" nell’accezione utilizzata dal legislatore né quale specifico messaggio - attraverso il ricorso a tale ridondante aggettivazione - si sia voluto comunicare.

Al riguardo, neppure il dizionario della lingua italiana appare suscettibile di venire in soccorso.
Secondo il dizionario Devoto-Oli, infatti, per "editoriale" deve intendersi "relativo all’editoria" e cioè all’industria del libro o, comunque al "complesso degli editori e delle attività attinenti all’industria libraria".
Il "combinato disposto" di tale definizione e della scelta legislativa di associare detto aggettivo all’espressione "testata telematica" sembrerebbe legittimare la conclusione secondo cui esistono testate telematiche non editoriali e dunque estranee alle attività attinenti all’editoria (evidentemente telematica), conclusione, che, tuttavia, non trova alcun riscontro nella realtà.

Non si tratta di essere sofisti; il problema è un altro e ben più serio.
Questo articolo, i molti altri che affollano le pagine delle testate (editoriali) telematiche e non, gli atti e le memorie degli avvocati, i libri di romanzieri e giornalisti sono densi di eccessi di parole, aggettivi, sostantivi, verbi ed avverbi buttati li nel tentativo - non sempre riuscito - di conferire musicalità, forza persuasiva e ritmo allo scritto piuttosto che di contribuire nella trasmissione ed espressione del contenuto; a ciò siamo abituati, possiamo tollerarlo e, forse, a volte, persino ci piace.

Nel redigere un testo di legge, invece, non ci si può permettere certi lussi, certi preziosismi stilistici o grammaticali: meglio che sia piatto, cacofonico - se necessario -, ripetitivo e noioso ma chiaro, inequivoco ed univoco, scritto come se si predisponesse una funzione matematica e con l’unica preoccupazione di esprimere un precetto, una norma, una sanzione.

3. Pur a prescindere, poi, dai problemi di forma che, tra l’altro, talvolta - il caso in esame ne è un esempio - sono anche di sostanza, l’espressione "registrazione della testata editoriale telematica" solleva ben altri dubbi e perplessità.

Né il legislatore delegante (lo sottolineava già Manlio Cammarata in "Rendere esplicito", questo è il problema) né quello delegato, infatti, chiariscono a quale registrazione intendano far riferimento con tale espressione: quella nel registro della stampa istituito con la legge 8 febbraio 1948, n. 47 e tenuto presso tutti i tribunali della Repubblica o, piuttosto, quella nel vecchio Registro nazionale della stampa, un tempo tenuto dal Garante per la radiodiffusione e l’editoria ed oggi confluito nel ROC (Registro degli operatori della comunicazione) tenuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni?

Il nodo da sciogliere per effetto dell’infelice e poco accorta formulazione legislativa non è di poco conto. Come è noto, infatti, i due registri hanno funzioni, obiettivi e strutture sensibilmente differenti.
Il primo quello della stampa è un registro delle testate nel quale, a norma dell’art. 5 della legge 47/48 che lo ha istituito, deve obbligatoriamente essere iscritto ogni "giornale o periodico" prima di poter essere pubblicato, il secondo, il vecchio Registro nazionale della stampa, invece, è un registro degli editori - oggi operatori della comunicazione - istituito per finalità antitrust e finanziarie (le famose provvidenze all’editoria).

L’assoluta mancanza di chiarezza del testo impone, ancora una volta - la seconda o la terza in appena due righe di disposizione - un notevole sforzo interpretativo che, tuttavia, consente, al più, di avanzare delle ipotesi: ciò con buona pace del principio della certezza del diritto e della regola di tecnica normativa della chiarezza ed univocità del precetto.
Ricorrendo al criterio dell’interpretazione letterale e considerato che il legislatore parla di "registrazione della testata" e non di "registrazione dell’editore e/o operatore della comunicazione" dovrebbe pervenirsi alla conclusione che si sia inteso far riferimento al Registro della stampa di cui alla legge 47/48; come si è detto, l’unico registro per testate, attualmente esistente nel nostro Paese.

Detta conclusione, tuttavia, avrebbe una portata a dir poco dirompente.
Dovrebbe, infatti, ritenersi che il legislatore - dopo aver di fatto equiparato con la legge 62/01 le testate telematiche a quelle cartacee - abbia inteso introdurre - peraltro attraverso una disposizione avente tutt’altra ratio e finalità - un regime affatto nuovo e diverso per le testate telematiche, sollevandole dall’obbligo di registrazione o, ancor meglio, trasformando detto obbligo in un semplice onere cui adempiere qualora i relativi editori fossero interessati ad accedere alle provvidenze all’editoria.

Così facendo, attraverso una disposizione volta all’attuazione di una direttiva comunitaria in materia di commercio elettronico si sarebbe finiti con lo stravolgere il sistema della stampa costruendo - magari senza neppure rendersene conto - un doppio binario normativo a seconda che le informazioni siano diffuse attraverso l’inchiostro o piuttosto in bit.
Si tratta di una lettura dalla quale occorre necessariamente rifuggire a pena di essere costretti ad esprimere un giudizio ancor più severo e negativo nei confronti del legislatore.

L’alternativa è quella di ritenere che nel porre mano al terzo comma dell’art. 7 del decreto legislativo di attuazione si sia voluto far riferimento all’iscrizione presso il ROC.
Tale interpretazione, pur apparendo più ragionevole sotto un profilo logico in quanto la disciplina dettata dalla legge 62/01 - richiamata nella disposizione in commento - è effettivamente volta a riformare la disciplina dell’editoria con particolare riferimento alle nuove realtà telematiche, incontra tuttavia insormontabili ostacoli su di un piano letterale, sistematico e giuridico.

Vediamoli schematicamente in rapida successione:
a) il ROC, come si è anticipato, non è un registro delle testate ma degli editori/operatori della comunicazione; a seguire tale interpretazione, quindi, risulterebbe difficile comprendere il riferimento esplicito alla "registrazione della testata";
b) la legge 31 luglio 1997, n. 249 con la quale sono stati istituiti l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed il Registro degli operatori della comunicazione, ha sancito, al comma 6 dell’art. 1 un obbligo di iscrizione nel predetto registro per tutta una serie di soggetti tra i quali, come chiarito da ultimo all’art. 2 del regolamento per l’organizzazione e la tenuta del registro degli operatori della comunicazione rientrano anche "i soggetti esercenti l’attività elettronica e digitale" (tralasciamo il fatto che nella legge non si parla di "soggetti", ma di "imprese" e quindi il regolamento potrebbe presentare un profilo di illegittimità).

Una lettura della disposizione in esame come quella che si sta valutando condurrebbe dunque alla conclusione di ritenere che il legislatore abbia inteso radicalmente modificare - sebbene senza neppure farvi riferimento - la portata di detta disposizione di legge facendo venir meno detto obbligo.
Diverse interpretazioni non appaiono neppure astrattamente possibili e dunque i dubbi restano e vanno ad aggiungersi - anziché dissiparli - a quelli già sorti all’indomani della pubblicazione della legge 62/01.

4. Quale che sia l’interpretazione che si vuole preferire, la disposizione in commento, resta comunque non condivisibile nella sostanza e giuridicamente scorretta nella sua formulazione.
Attraverso essa, infatti, il legislatore - pur non essendovi affatto tenuto in ossequio alle disposizioni comunitarie - ha sostanzialmente inteso trasformare un obbligo di registrazione - previsto nel nostro ordinamento per finalità pubblicistiche - in un semplice onere affidando così al privato la scelta tra il procedere o meno alla registrazione in relazione al perseguimento di interessi di stampo esclusivamente privatistico: l’accesso alle provvidenze per l’editoria.

In tale prospettiva l’espressione "la registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria…" è giuridicamente scorretta in quanto si sarebbe dovuto piuttosto statuire che l’obbligo di registrazione deve considerarsi trasformato in un mero onere il cui adempimento è necessario ai fini dell’accesso alle speciali provvidenze… obbligo ed onere richiamano, da sempre, alla mente del giurista concetti e nozioni differenti ed infungibili.

Sul piano sostanziale, poi, la portata della previsione è in ogni caso dirompente per l’intera disciplina della comunicazione e dell’informazione.
L’infelice formulazione della norma trasforma, infatti, un obbligo previsto, come anticipato, per funzioni pubblicistiche - ben diverse ed ulteriori rispetto alla disciplina all’accesso alle provvidenze all’editoria - in un mero presupposto per un’istanza di finanziamento, un onere, appunto.
Si tratta, probabilmente, dell’ennesima, ulteriore, grave svista legislativa contenuta nelle medesime 31 parole (numeri inclusi).

Si è più volte riflettuto sulla possibilità di lasciare che sia il computer a formulare i testi di legge interpretando ed esprimendo la volontà del legislatore secondo precise e puntuali funzioni matematiche.
Forse i tempi non sono ancora maturi per un così radicale passaggio di consegne del quale pure si avverte urgente la necessità ma, almeno, potrebbe abbandonarsi quel metodo - per contro sempre più di frequente adottato in sede legislativa - di studiare ed elaborare testi di legge nel segreto del Palazzo e lontano da ogni processo di consultazione con le parti interessate, gli addetti ai lavori ed il mondo dell’università: tanto per evitare brutte figure.

 

 

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