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Televisione

Un'altra campagna elettorale con la televisione "di parte"

Elezioni in vista. Serve una TV neutrale

La legislatura sta per finire? E Annozero può incominciare? In questi due interrogativi si riassume una questione cruciale. Se non si può andare alle urne con questa legge elettorale, non va bene neanche questa legge sulla televisione.

7 settembre 2010

"Al voto, al voto"! Dopo il discorso di Gianfranco Fini, sabato scorso a Mirabello, sembra proprio che la legislatura debba finire adesso.
E in tanti chiedono che, prima del voto, si riscriva la legge elettorale. Ma non basta cambiare la legge elettorale. Ce n'è un'altra che dovrebbe essere cambiata prima delle elezioni, quella che disegna il sistema di nomina degli amministratori della radiotelevisione pubblica. Che dovrebbe essere politicamente neutrale. E non solo quando i cittadini si preparano ad andare alle urne.

La legge elettorale. A lume di buon senso, sembra ovvio buttar via un testo che persino il suo estensore ha definito "una porcata" (Porcellum, nella più dotta definizione del professor Giovanni Sartori). Ma se non si fa in tempo a varare una nuova legge, almeno si ritorni al Mattarellum. La legge di prima, che non era perfetta, ma almeno lasciava agli elettori la scelta degli eletti. Lo chiede l'associazione Libertà e Giustizia con un appello che si può firmare on line.

La legge sulla televisione. Ovvero il "Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici" (già "Testo unico della radiotelevisione"), figlio della famigerata "legge Gasparri". La quale (art. 49 del TU) disegna un sistema di nomina dei vertici che assicura sempre al governo l'ultima parola sulle scelte dell'azienda. Con i risultati che si vedono: "I TG ridotti a fotocopie dei fogli d'ordine del PDL", come ha detto Fini nel discorso di Mirabello. Un esempio per tutti: la "prescrizione" che diventa "assoluzione" nel TG1 di Minzolini.

Mentre assistiamo ancora, da mesi, al tira e molla tra Michele Santoro e il direttore generale della Rai Mauro Masi. Annozero può incominciare? A due settimane dalla messa in onda non lo sa nessuno. E' normale che il responsabile di un prodotto si consulti con il direttore generale, succede in ogni azienda. Ma quando un prodotto "tira" come la trasmissione di Santoro, nessun direttore generale cercherebbe di fermarlo.
Il fatto è che il professor Masi non è un DG qualsiasi. E' nominato dalla politica e viene direttamente dal Palazzo. Dove comanda il signore delle televisioni, quello che più volte ha lamentato che "la Rai attacca il Governo".

In questa frase c'è la sostanza del problema. Di chi è la Rai, di chi è il sistema radiotelevisivo pubblico? Del Governo? Del Parlamento? Un servizio pubblico è per definizione, un servizio alla collettività. Prendiamo, per esempio, il trasporto pubblico urbano. Di chi è? Del sindaco? Della maggioranza in consiglio comunale? Se così fosse, potrebbe succedere che i cittadini che hanno votato per quel consiglio e quel sindaco abbiano il biglietto scontato, oppure che quelli che hanno votato per la minoranza debbano viaggiare in piedi anche se ci sono posti a sedere liberi... Assurdo. Il trasporto pubblico è dei cittadini, che pagano le tasse e il biglietto o l'abbonamento. Tutti possono prendere l'autobus, senza distinzioni di fede politica.

Anche il servizio pubblico radiotelevisivo dovrebbe essere dei cittadini. Il canone lo pagano (o lo evadono) tutti, senza distinzione politica. Quindi il servizio dovrebbe rispecchiare le opinioni di tutti, senza fare preferenze per quelli di destra o quelli di sinistra. In Italia non è così. C'è in molti la convinzione che il servizio pubblico radiotelevisivo sia del Parlamento e/o del Governo.

Ma allora, se i vertici dell'azienda pubblica sono espressione della maggioranza parlamentare, dovrebbero decadere dal momento in cui questa non c'è più e sono state indette nuove elezioni. In questa fase fondamentale della vita politica i numeri della maggioranza e quelli della minoranza si azzerano. Tutto ricomincia dal principio. Il CDA della Rai dovrebbe essere sostituito da un commissario di provata indipendenza, per garantire un'informazione non di parte nel periodo più delicato della vita di una democrazia. E, poiché ora la legge non lo prevede, gli stessi consiglieri dovrebbero avere la sensibilità etica di dimettersi. Fantapolitica.

In ogni caso il problema deve essere messo all'ordine del giorno. Un voto consapevole, libero da condizionamenti, è possibile solo come effetto di un'informazione corretta, completa e imparziale. L'informazione che ricevono gli italiani, e che determina le loro scelte elettorali, viene dalla televisione. Cifre alla mano, circa l'80 per cento degli elettori italiani ha nella TV il principale punto di riferimento informativo sulla politica.

Ma circa il 90 per cento della televisione è sotto il controllo di una sola formazione politica, quella dell'attuale capo del Governo. In parte perché è roba sua, in parte perché una legge dannosa più del Porcellum gli dà la possibilità di influenzare pesantemente i contenuti della televisione pubblica.

Riformare la legge sulla televisione è urgente quanto riformare la legge elettorale. Possibile che i partiti che ora sono all'opposizione non se ne rendano conto? Dice: in questa fase è un'utopia pensare di riscrivere le regole dell'informazione. Pensare non è mai un'utopia. Si ponga il problema, si discuta, si metta a punto un progetto da realizzare appena sarà possibile. O succederà di nuovo quello che è accaduto durante l'ultimo governo di centrosinistra, quando la radiotelevisione pubblica è rimasta sotto il controllo del centrodestra.
Con le conseguenze che abbiamo visto e che vediamo ogni giorno.

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