"Al voto, al voto"! Dopo il discorso di Gianfranco Fini,
sabato scorso a Mirabello, sembra proprio che la
legislatura debba finire adesso.
E in tanti chiedono che, prima del voto, si riscriva la
legge elettorale. Ma non basta cambiare la legge
elettorale. Ce n'è un'altra che
dovrebbe essere cambiata prima delle elezioni, quella
che disegna il sistema di nomina degli amministratori
della radiotelevisione pubblica. Che dovrebbe essere
politicamente neutrale. E non solo quando i cittadini si
preparano ad andare alle urne.
La legge elettorale. A lume di buon senso, sembra ovvio buttar via un
testo che persino il suo
estensore ha definito "una porcata" (Porcellum,
nella più dotta definizione del professor Giovanni
Sartori). Ma se non si fa in tempo a varare una nuova
legge, almeno si ritorni al Mattarellum. La legge
di prima, che non era perfetta, ma almeno lasciava agli
elettori la scelta degli eletti. Lo chiede
l'associazione Libertà e Giustizia con un appello che
si può firmare
on line.
La legge sulla televisione. Ovvero il "Testo unico dei servizi di media
audiovisivi e radiofonici" (già "Testo unico della
radiotelevisione"), figlio della famigerata
"legge Gasparri". La quale (art.
49 del TU) disegna un sistema di nomina dei vertici
che assicura sempre al governo l'ultima parola sulle
scelte dell'azienda. Con i risultati che si vedono:
"I TG ridotti a fotocopie dei fogli d'ordine del PDL", come ha detto Fini nel discorso di Mirabello.
Un esempio per tutti: la "prescrizione" che
diventa "assoluzione" nel TG1 di Minzolini.
Mentre assistiamo ancora, da mesi, al tira e molla tra Michele Santoro e
il direttore generale della Rai Mauro Masi. Annozero
può incominciare? A due settimane dalla messa in onda
non lo sa nessuno. E' normale che il responsabile di un
prodotto si consulti con il direttore generale, succede
in ogni azienda. Ma quando un prodotto "tira"
come la trasmissione di Santoro, nessun direttore
generale cercherebbe di fermarlo.
Il fatto è che il professor Masi non è un DG qualsiasi.
E' nominato dalla politica e viene direttamente dal
Palazzo. Dove comanda il signore delle
televisioni, quello che più volte ha lamentato che
"la Rai attacca il Governo".
In questa frase c'è la sostanza del problema. Di chi è la Rai, di chi
è il sistema radiotelevisivo pubblico? Del Governo? Del
Parlamento? Un servizio pubblico è per definizione, un
servizio alla collettività. Prendiamo, per esempio,
il trasporto pubblico urbano. Di chi è? Del sindaco? Della
maggioranza in consiglio comunale? Se così fosse,
potrebbe succedere che i cittadini che hanno votato per
quel consiglio e quel sindaco abbiano il biglietto
scontato, oppure che quelli che hanno votato per la
minoranza debbano viaggiare in piedi anche se ci sono
posti a sedere liberi... Assurdo. Il trasporto pubblico
è dei cittadini, che pagano le tasse e il biglietto o
l'abbonamento. Tutti possono prendere l'autobus, senza
distinzioni di fede politica.
Anche il servizio pubblico radiotelevisivo dovrebbe essere dei cittadini. Il canone lo
pagano (o lo evadono) tutti, senza distinzione politica.
Quindi il servizio dovrebbe rispecchiare le
opinioni di tutti, senza fare preferenze per
quelli di destra o quelli di sinistra. In Italia non è
così. C'è in molti la convinzione che il servizio pubblico
radiotelevisivo sia del Parlamento e/o del Governo.
Ma allora, se i vertici dell'azienda pubblica sono
espressione della maggioranza parlamentare, dovrebbero
decadere dal momento in cui questa non c'è più e sono state indette nuove
elezioni. In questa fase fondamentale della vita
politica i numeri della maggioranza e quelli della
minoranza si azzerano. Tutto ricomincia dal principio.
Il CDA della Rai dovrebbe essere sostituito da un
commissario di provata indipendenza, per garantire
un'informazione non di parte nel periodo più delicato
della vita di una democrazia. E, poiché ora la legge
non lo prevede, gli stessi consiglieri dovrebbero avere
la sensibilità etica di dimettersi. Fantapolitica.
In ogni caso il problema deve essere messo all'ordine del giorno. Un voto consapevole, libero da condizionamenti, è possibile solo come
effetto di un'informazione corretta, completa e
imparziale. L'informazione che ricevono gli italiani, e
che determina le loro scelte elettorali, viene dalla
televisione. Cifre alla mano, circa l'80 per cento degli
elettori italiani ha nella TV il principale punto di
riferimento informativo sulla politica.
Ma circa il 90 per cento della televisione è sotto il
controllo di una sola formazione politica, quella
dell'attuale capo del Governo. In parte perché è roba
sua, in parte perché una legge dannosa più del Porcellum
gli dà la possibilità di influenzare pesantemente i contenuti
della televisione pubblica.
Riformare la legge sulla televisione è urgente quanto riformare la
legge elettorale. Possibile che i partiti che ora sono
all'opposizione non se ne rendano conto? Dice: in questa
fase è un'utopia pensare di riscrivere le regole
dell'informazione. Pensare non è mai un'utopia. Si
ponga il problema, si discuta, si metta a punto un
progetto da realizzare appena sarà possibile. O
succederà di nuovo quello che è accaduto durante
l'ultimo governo di centrosinistra, quando la
radiotelevisione pubblica è rimasta sotto il controllo
del centrodestra.
Con le conseguenze che abbiamo visto e che vediamo ogni
giorno.
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