Concorso di bellezza o asta per l'assegnazione delle
nuove frequenze della TV digitale terrestre? Una brutta
gatta da pelare per il governo Monti, con pesanti
risvolti economici e politici.
Ormai tutti sanno di che si tratta: ci sono da assegnare
cinque multiplex (ciascuno dei quali può trasmettere da
quattro a sei canali televisivi). Gratis, secondo i
piani del precedente governo, o a pagamento, come molti
ora vorrebbero.Prima di affrontare la questione è necessario
chiarire un aspetto importante. Le frequenze radioelettriche sono un bene comune, limitato e quindi
prezioso. Esse non possono essere "vendute"
dallo Stato,
ma "concesse" per un certo numero di anni, a
soggetti con determinati requisiti. In genere a titolo
oneroso. Alla
scadenza possono essere restituite alla Stato o
rinnovate. In molti casi i soggetti che ne
dispongono possono "rivenderle", cioè cedere
ad altri i diritti di uso, in tutto o in parte.
Ma da dove vengono le frequenze di cui si parla? Perché si
devono assegnare ora, quando la transizione al digitale
terrestre si avvicina al completamento? Per capirlo
dobbiamo fare diversi passi indietro.
Sul piano normativo tutto incomincia con la famigerata "legge Gasparri",
la n. 112 del 2004. Essa
determina criteri di assegnazione delle frequenze per il
digitale terrestre, che favoriscono gli operatori esistenti
e chiudono le porte a nuovi entranti. L'Europa se ne
accorge e si arrabbia. Apre una procedura di infrazione.
Si deve correre ai ripari.
Provvede l'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, che rivede i criteri di ripartizione
dello spettro, sfruttando la tecnica SFN (Single
Frequency Network). Così avanzano cinque frequenze,
da assegnare gratis con il meccanismo del beauty
contest, il "concorso di bellezza". Un
concorso truccato, perché due dei concorrenti (Rai e
Mediaset) lo hanno vinto in partenza, ex lege.
E' il succo della delibera N.
181/09/CONS. Con la quale, in sostanza, il governo
Berlusconi assegna canali gratis alle emittenti di
Berlusconi, oltre che alla Rai (per qualche dettaglio vedi TV digitali, grandi manovre in
terra e in cielo).
Con una serie di provvedimenti seguiti alla delibera
181, il "concorso di bellezza" sarebbe vicino
alla conclusione. Ma ora il signore delle
televisioni non è più capo del governo e della
maggioranza parlamentare. Così qualcuno pensa che sia
il caso di rivedere la questione e di indire un'asta,
una gara a
tutti gli effetti, ricavandone qualche miliardo per le
malridotte casse dello Stato.
Naturalmente il signore delle televisioni non è
contento di rinunciare al regalo che si era fatto da
sé, con la scusa di attuare un decisione europea. Naturalmente
dice che non glie ne importa nulla, che l'eventuale gara
andrebbe deserta. Cita la rinuncia di Sky a una fetta
della torta per dimostrare lo scarso interesse della
questione. Eccetera eccetera. Ma non ha del tutto torto,
come vedremo tra poco.
La polemica raggiunge toni aspri, perché i quattro o
cinque miliardi che si potrebbero (forse) ricavare dalla
gara non sono uno scherzo. E perché il cambio di rotta
sarebbe una sconfitta devastante per l'ex-maggioranza
del signore delle televisioni. Come andrà a finire?
Sabato scorso, a Che tempo che fa, il ministro
Passera ha "sibillinamente chiarito" la
situazione. L'ossimoro è motivato dal contrasto tra
l'opinione personale dello stesso ministro, favorevole
alla gara, e la realtà dei fatti. Che da una parte
sconta i problemi giuridici legati all'eventuale cambiamento
del meccanismo di assegnazione. Dall'altra, forse, c'è il
presunto patto
segreto che molti hanno ipotizzato al tempo della
nascita del nuovo governo: "Io vi do la fiducia e
vi lascio lavorare, voi non mi toccate le
televisioni". Vero o no, questo un ministro non
lo può dire. La sua reticenza è comprensibile. Di vero
e sicuro c'è solo il caos politico e radioelettrico. Perché a
ogni giorno che passa la questione delle frequenze si
rivela più aggrovigliata. C'è il fatto che per una
percentuale significativa di teleutenti il passaggio al
digitale ha significato semplicemente la fine della
televisione terrestre. I canali si sono moltiplicati, ma
senza contenuti significativi: la maggior parte sono
doppioni, o semplicemente inattivi. Il digitale
terrestre, al di là di forse difficilmente prevedibili
difficoltà tecniche, sconta ancora il caos creato
dall'inerzia della politica negli anni '70, quando le
frequenze furono tutte accaparrate disordinatamente da
molti imprenditori. In
barba alle leggi vigenti all'epoca (poche e sbagliate).
Si sarebbe potuto mettere ordine con una normativa
adeguata. Ma i soli provvedimenti, devastanti,
furono i "decreti Berlusconi" di Bettino Craxi
nel 1984-85. Che legalizzarono l'illegalità,
stravolsero la Rai con una più articolata lottizzazione e
posero le basi dello strapotere mediatico
dell'imprenditore brianzolo. Ora la situazione è
così aggrovigliata da rendere problematica qualsiasi
via d'uscita. Il caos delle frequenze digitali è la
fotografia di quello nato negli anni '70 e '80 del
secolo scorso, in seguito alla sciagurata decisione del
2001 di assegnare un multiplex digitale per ogni canale
analogico.
Le nuove frequenze potrebbero interessare
gli operatori commerciali, come Mediaset e Sky. O altri
che potrebbero venire dall'estero. Ma la torta da
spartire è quella che è: pochi imprenditori, probabilmente, sono
disposti a investire grosse cifre per un mercato che
difficilmente avrà grandi sviluppi. Le frequenze già
disponibili potrebbero soddisfare tutti se fossero
suddivise con intelligenza, invece che accaparrate a
vuoto. Anche considerando i tagli di quelle da 65 a 69,
già stabiliti a favore degli operatori di
telecomunicazioni, ce ne sarebbero abbastanza. Ma il
futuro è fatto di multimedialità, con
televisione e servizi interattivi via internet su
reti a banda larga, o via satellite. Le frequenze
terrestri sono destinate a perdere pubblico e quindi
valore.
Per quanto riguarda la Rai, i canali oggi attivi sono già
troppi per le disastrate finanze dell'ente pubblico. Non
si sa come riempirli. Così si ritorna alla questione
più importante: l'urgenza di riformare tutto il sistema
dei media, e la Rai in particolare, in funzione di un
quadro generale che si evolve a ritmi insostenibili, in
un quadro normativo obsoleto. Oltre che squilibrato.
Questa è la vera sfida per il governo
"tecnico": la fine della Repubblica fondata
sulla televisione. Di Berlusconi.
|