Il calendario è rispettato, almeno per ora. Da domani a Roma e
in altre zone del Lazio incomincia lo switch-over,
il passaggio dalla TV terrestre dall'analogico al
digitale. In queste aree lo switch-off, cioè lo
spegnimento definitivo dell'analogico, dovrebbe avvenire
in novembre. L'operazione coinvolge milioni di famiglie,
tra mugugni e polemiche. Cerchiamo di mettere le cose in
chiaro nella pagina Tutta la verità sul digitale terrestre. Qui ci occupiamo di un
aspetto meno conosciuto della transizione, ma più importante: l'assegnazione delle
frequenze, con la novità di cinque (apparenti) nuovi
canali nazionali, usciti come conigli dal cilindro
dell'Autorità per le garanzie delle comunicazioni.
Ancora più delicata è la questione che si sta
trattando nel campo della televisione via satellite:
Rai, Mediaset e La7 potrebbero togliere i loro canali in
chiaro da Sky, in corrispondenza con la partenza di
Tivù Sat, la nuova piattaforma satellitare che si porrebbe
in diretta concorrenza con quella dell'australiano
Rupert Murdoch. Oggi monopolista (in)discusso della Tv
che viene dal cielo.
Partiamo, come è logico, da terra.
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Il problema che toglie il sonno al Palazzo è la
procedura di infrazione avviata dalla Commissione
europea per le norme della Gasparri che sbarrano la
strada ai nuovi entranti nella televisione terrestre a
copertura nazionale. Infrazione che potrebbe costare
carissima all'Italia e a noi contribuenti. La soluzione
escogitata dall'AGCOM con la delibera 181/09/CONS si
articola in due passaggi: il primo è una revisione
tecnica dell'assegnazione delle frequenze, che consente
di ricavare altri canali attraverso un impiego più
razionale della tecnica SFN (Single Frequency Network).
In parole povere, si utilizza la stessa frequenza anche in aree
adiacenti (isofrequenza), cosa
praticamente impossibile con l'analogico.
Il secondo passaggio è nascosto nel rompicapo delle
disposizioni della delibera 181: Rai e Mediaset
rinunciano a un canale ciascuna. Si tratta, soprattutto
per quanto riguarda la seconda, dell'attuazione delle
sentenze della Corte costituzionale e delle varie leggi
che hanno governato il sistema dalla
"Maccanico" del 1997. Sarebbe una notizia
esplosiva, ma c'è l'ennesimo espediente per conservare
lo status quo.
Infatti alla fine della razionalizzazione resterà un "dividendo"
di frequenze che dovranno essere restituite allo Stato. Che le
dividerà in cinque "lotti", corrispondenti ad
altrettante "nuove" reti televisive nazionali.
Per l'assegnazione di questi lotti ci sarà una gara,
simile a quella del 1999 che vide l'imprevista
assegnazione della concessione a Europa 7. Tre di questi
lotti saranno riservati ai nuovi entranti e ad altri
operatori esistenti (esclusi gli operatori che prima
della conversione delle reti analogiche e della
razionalizzazione dei multiplex digitali esistenti DVB-T
avevano la disponibilità di due o più reti televisive
nazionali in tecnica analogica).
Gli altri due lotti saranno aperti a tutti e non è
difficile prevedere che saranno "conquistati"
da Rai e Mediaset. Tutti contenti?
Forse, perché resta un interrogativo su Europa 7, la
televisione che non c'è. La delibera in un primo passaggio
sembra dare per definitiva l'assegnazione del solo
canale 8 della banda III, secondo la sentenza del
Consiglio di Stato del 20 gennaio scorso. Frequenza che
non appare sufficiente a garantire la piena copertura
nazionale (vedi Europa7: un milione, una frequenza, una
beffa).
Ma in un secondo
passaggio l'AGCOM afferma che un equo numero di reti digitali pianificate deve essere riconosciuto alle emittenti esistenti, per salvaguardare gli investimenti effettuati e per permettere a tali operatori di assicurare la continuità dei loro servizi televisivi attualmente offerti in tecnica analogica , tenendo anche in considerazione i recenti sviluppi tecnologici come l’Alta Definizione
(HD) e l’interattività. In virtù del principio di non discriminazione tale regola sarà applicata anche all’emittente Europa 7, recente assegnataria di un canale
televisivo. Questo potrebbe significare anche una
più favorevole "sistemazione" per l'emittente
di Francesco Di Stefano.
Nell'attesa di verificare l'effettiva soluzione delle
questioni aperte, la Commissione europea ha sospeso, ma
non chiuso, la procedura di infrazione.
Vediamo ora le "grandi manovre" in campo
satellitare. Rai, Mediaset e Telecom Italia Media
(cioè La7) hanno dato vita al consorzio Tivù Sat,
una nuova piattaforma satellitare gratuita che si porrà
in concorrenza con Sky. Trasmetterà in primo luogo i
canali generalisti delle tre società. Di conseguenza
gli stessi canali saranno tolti dalla piattaforma dell'attuale monopolista
del cielo? Sono in corso trattative difficili, perché
la posta in gioco si misura in centinaia di milioni di
euro.
Ma c'è un problema che riguarda i telespettatori. E' la
questione del decoder "blindato" di Sky, che
quasi certamente renderà inevitabile l'acquisto di un
secondo decoder satellitare per ricevere i canali di
Tivù Sat.
In estrema sintesi, il problema è questo: il decoder
Sky è indispensabile per vedere i programmi della
piattaforma, perché l'operatore adotta una codifica
proprietaria, il Videoguard della controllata NDS.
E, in barba alle disposizioni europee sulla concorrenza,
non concede ad altri l'utilizzo di questa codifica,
sicché nessun altro può vendere decoder (o i
corrispondenti dispositivi CAM per i decodificatori
aperti) in grado di ricevere i programmi della
piattaforma Sky. Per di più il decoder Sky permette di
vedere solo i pochi programmi che sono compresi nella
sua piattaforma, "cancellando" centinaia e
centinaia di canali in chiaro e codificati che sono
ricevibili con gli apparecchi commerciali.
Dunque, o si obbligano gli utenti a comperare e
installare un secondo decoder (con notevoli
complicazioni tecniche), o si obbliga Sky a concedere
la licenza per la decodifica del Videoguard, in modo che
il decoder Tivù Sat o altri decoder possano ricevere
anche i canali della piattaforma Sky.
Fino a oggi tutti
i tentativi di costringere la società di Rupert Murdoch
al rispetto delle normative antitrust sono andati a
vuoto (vedi i molti articoli sull'argomento nell'indice di questa sezione).
In sostanza, Sky può rendere molto difficile il decollo
del secondo operatore satellitare. Si paga così
l'errore commesso con l'abrogazione della norma sul
"decoder unico", che era stato imposto dall'art. 2. c. 2 della legge
29 marzo 1999, n. 78.
Ma di questi "errori", che sempre giovano a
qualcuno, è piena la storia del sistema televisivo
italiano.
Nota: questo articolo è un aggiornamento dei
capitoli 6 e 7 del libro L'anomalia
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