C'era una volta l'anomalia italiana. Quella di un capo del
governo che controllava buona parte del sistema
radiotelevisivo privato, perché ne era il proprietario.
Ma controllava anche il sistema pubblico, perché così
prevedevano leggi vecchie e nuove (queste ultime
"ispirate" da lui medesimo). Ora quel signore
non è più capo del governo, ma l'anomalia italiana
c'è ancora. E potrebbe continuare ancora a lungo,
perché lui, Silvio Berlusconi, potrebbe ritornare a
coprire la carica tra qualche mese.
L'ultimo capitolo dell'anomalia italiana, ultimo solo
in ordine di tempo, è incominciato qualche giovedì
scorso, quando è diventato di pubblico dominio un
fatto: Mediaset, l'azienda televisiva dell'ex-capo del
governo, ha manifestato il suo interesse all'acquisto di
un concorrente. Si tratta di Telecom Italia Media, cioè
La7, il vero "terzo polo" dell'emittenza
nazionale. Che La7 fosse in vendita era ufficiale da
mesi. Che Mediaset potesse acquistarla era un'ipotesi
che a molti sembrava improbabile.
Ora è una prospettiva concreta. Sarà ufficiale tra
una settimana, quando scadrà il termine per le
manifestazioni di interesse degli aspiranti compratori.
Qualcuno ha frettolosamente obiettato che l'acquisizione
de La7 da parte di Mediaset violerebbe le norme
antitrust. La questione è complicata: secondo Nicola
D'Angelo, ex-commissario dell'Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni (AGCOM) e grande esperto della
materia, l'operazione è possibile (vedi Mediaset può comprare La7? Sic su Il
Fatto Quotidiano).
Tuttavia D'Angelo prende come riferimento i dati
contenuti nella Relazione AGCOM 2011 (pag. 217),
nella quale è fotografata la situazione al 2009. La7 è
cresciuta molto negli ultimi due anni e quindi il suo
peso nel SIC è certamente più alto di allora. Ma
il punto è capire come sia possibile che un solo
soggetto detenga un potere mediatico così alto e gli
sia consentito di aumentarlo ancora di più, in un paese
che si dice democratico e a "economia sociale di
mercato".
La spiegazione si chiama SIC, Sistema Integrato delle
Comunicazioni. Per chi non lo ricordasse, il SIC è
stato introdotto nel 2004 con la legge che porta il nome
dell'allora ministro delle Comunicazioni, Gasparri.
Ministro di un governo presieduto dal signore delle
televisioni. Il SIC è un enorme calderone, nel quale
Mediaset compare con una percentuale del fatturato del
sistema che nel 2009 era pari solo all'11,40 per cento
del totale. Il tetto antitrust, stabilito dalla legge
Gasparri, è al 20 per cento. Capito l'inghippo?
In ogni caso è possibile che un "altolà"
arrivi dagli organismi di vigilanza dell'Unione Europea.
Dipende da una serie complessa di fattori e non è il
caso di avanzare ipotesi che potrebbero rivelarsi
inconsistenti di fronte all'evidenza dei numeri.
La questione è molto seria, perché coinvolge
l'assetto generale del nostro sistema radiotelevisivo.
Anzi, ex-radiotelevisivo, perché la "crossmedialità"
costituisce ormai stabilmente la struttura delle
comunicazioni di massa del nostro tempo. Infatti nella
normativa comunitaria non si parla più di "servizi
radiotelevisivi", ma di "servizi di media
audiovisivi". Resta però il fatto che la
televisione è ancora di gran lunga il medium più
seguito: per più dell'ottanta per cento degli italiani
la TV è il principale canale di informazione.
Dunque non è improprio esaminare la situazione con
lo sguardo rivolto soprattutto alla televisione, senza
dimenticare le ripercussioni sulla distribuzione della
"torta" della pubblicità. In un editoriale
andato in onda il 15 scorso nel TG La7 delle 20, il
direttore Enrico Mentana ha fatto una sintesi molto
chiara: Mediaset ha le posizioni numero 4, 5 e 6 sul
telecomando; con l'acquisto de La7 avrebbe anche la 8 e
la 9.
L'immagine rende l'idea della situazione meglio di
qualsiasi ragionamento. Si sa che avere i primi nove
tasti del telecomando è come essere in pole position in
una gara di Formula 1 (e non solo per molti anziani, che
spesso non si raccapezzano con la procedura per vedere i
canali dal 10 un su). Aggiungo io che i canali 1, 2 e 3,
corrispondenti alle tre reti generaliste del servizio
pubblico, non si vedono in diverse aree della Penisola. Bisogna andare
a cercarli molto più in su, alla voce "Test"
(per saperne di più vedi
Sassano: "Non hanno seguito le
indicazioni dei tecnici").
Però Mentana sbaglia quando dice che tutti i governi
hanno sempre avuto il controllo della Rai: durante il
secondo governo Prodi (2006-2008) il CdA è rimasto
quello nominato dal governo Berlusconi nella precedente
legislatura, nonostante i maldestri tentativi di
sostituire il consigliere nominato direttamente dal
Ministero delle comunicazioni.
Oggi sembra azzardato dire che il governo Monti ha il
controllo della Rai, anche se ha nominato il presidente
del CdA e il direttore generale, oltre al consigliere
che compete al Ministero delle attività produttive. In
realtà una "deberlusconizzazione" della Rai
non sembra all'ordine del giorno e comunque non sarà
un'operazione facile e veloce.
Allo stato dei fatti, nella confusione che regna
sovrana nei Palazzi, non è fantapolitica immaginare che
tra alcuni mesi il signore delle televisioni possa
ritornare a Palazzo Chigi. Improbabile, ma non
impossibile. Come è improbabile che un altro presidente
del Consiglio, un altro Governo, mettano seriamente mano
alla soluzione di un problema essenziale in una
democrazia: la libertà dell'informazione. Siamo
praticamente in campagna elettorale, ma nessuno ne
parla.
Nel suo editoriale Mentana ha dichiarato che, se La7
entrasse nell'orbita di Mediaset, lui si dimetterebbe
dalla direzione del telegiornale. Ineccepibile. E ha
ipotizzato che la proposta in arrivo da Segrate possa
essere solo un'azione di disturbo dell'operazione di
vendita dell'emittente. E' possibile. Ma in caso contrario non sarebbe la
prima volta che il signore delle televisioni
"disturba" la nostra democrazia.
Nota. Questo articolo è un
aggiornamento alla prima edizione de L'anomalia.
Qui gli
aggiornamenti precedenti.
|