E' andata. Le quattro puntate di "Vieni via con me" sono
passate e forse sono già nella storia della
televisione. Come "Rai per una notte", che è
solo di sei mesi fa, ma costituisce già un capitolo
della memoria. Due programmi accomunati dal coraggio
sovversivo di autori che non si rassegnano alla
televisione con cento canali e un solo programma.
Dall'alto livello di qualità del prodotto. Da uno
straordinario successo. E, naturalmente, dalle
polemiche.
Ma il format della trasmissione di Santoro era, con qualche
licenza, quello ben noto e collaudato del talk show.
Quello di Fazio e Saviano, come molti hanno
riconosciuto, è stato una vera novità, che potrebbe
indicare il futuro di una televisione
"intelligente". Una televisione in grado di
mantenere un ruolo e un pubblico anche nel prossimo
futuro di confusione dei media, che oggi appare come la
prospettiva più credibile negli sviluppi del mondo
della comunicazione.
Dunque è utile discuterne, partendo da tre punti-chiave.
Primo punto, la politica. Abbiamo visto un programma del tipo che
qualcuno definisce "politicamente orientato in una certa direzione,
"schierato", "fazioso" eccetera.
Dove il tono ammiccante con cui si afferma
"politicamente orientato in una certa
direzione" fa intendere qualcosa che si deve dire a
bassa voce. Qualcosa di vergognoso che i bambini non
devono sentire. Qualcosa di sinistro. E infatti si
traduce come "di sinistra". Espressione che in
una parte non trascurabile di italiani evoca immagini di
un tempo lontano, quello in cui molti temevano di vedere
i cavalli dei cosacchi abbeverarsi nelle fontane di
piazza San Pietro.
E' scandaloso che un programma come questo sia trasmesso dal servizio
pubblico? Sembrerebbe di sì, stando alle polemiche che
hanno preceduto e accompagnato "Vieni via con
me". Ma dovrebbe essere chiaro che non ci può
essere nulla di scandaloso in una trasmissione che
riflette i valori e le idee di una parte significativa
degli spettatori, come dimostrano i numeri. Il punto critico è che nessuno riesce
a fare un programma "di destra" - nel
significato che hanno oggi in Italia le espressioni
"destra" e "sinistra" - di tale
qualità e tale impatto. Ma questo è un problema della
destra.
Da qui un altro motivo di polemica: la "mancanza di
contraddittorio". E' la terribile accusa che
viene lanciata ogni volta che qualcuno esprime verità
scomode. Ma pretendere in ogni caso il contraddittorio
immediato è come costringere chi acquista in edicola Libero
o il Giornale a comperare anche la
Repubblica o il Fatto Quotidiano. E
viceversa. Se si dovesse applicare questo principio alle
più seguite trasmissioni televisive, si dovrebbe
incominciare dai sommari e dagli editoriali di Minzolini. Che, ogni
giorno, ha un pubblico molto più numeroso di quello di
"Vieni via con me".
Secondo punto, il formato. O format, come si dice con un
inutile anglicismo. Anche su questo si è polemizzato.
"Vieni via con me" è spettacolo, è
giornalismo, è una trasmissione politica? Nella
televisione di oggi il formato prescinde dal
"genere". Tutto e nulla è politica, tutto e
nulla è giornalismo, tutto e nulla è spettacolo, fiction,
reality. Dove la fiction è spesso realtà
quotidiana e il reality pura finzione (si veda il
libro di Mazzoleni e Sfardini
Politica pop, che dimostra la mutazione della
televisione con la commistione dei generi).
Alla base di ogni formato televisivo c'è (o ci dovrebbe essere...)
un'idea. In "Vieni via con me" ce n'è una
vecchia, quella degli elenchi, coniugata con una nuova:
la lettura degli elenchi affidata a chi li vive sulla
propria pelle, chiunque sia.
Cittadini qualsiasi alla ribalta insieme a mostri sacri
del palcoscenico, come Roberto Benigni e Dario Fo.
Cantautori e giudici. Attori e musicisti. E Roberto
Saviano, personaggio non catalogabile di straordinaria
potenza comunicativa.
Difficile, difficilissimo tenere insieme questa folla di persone, molte
prive della minima esperienza televisiva. Che compaiono,
leggono un elenco, scompaiono. Potrebbe essere un flop.
Invece non c'è un minuto di noia, un calo di tensione. Neanche nei momenti in cui
politici televisivamente imbranati sciorinano i soliti luoghi comuni. In diretta.
In una scena scarna quanto spettacolare, piena di
simboli e di citazioni. Fazio, con la solita aria di
uno che passa di là per caso, è riuscito nell'impresa. Abbiamo
visto una grande televisione. Il cui merito va anche a
Loris Mazzetti, capostruttura, e a Paolo Ruffini,
direttore della rete, che l'hanno pensata e voluta
insieme agli autori. Vincendo ogni resistenza.
Terzo punto, il successo. Nove, dieci milioni di spettatori, un
terzo del pubblico televisivo. Battuto il "Grande
fratello" della concorrenza. Questo è il dato che
deve farci riflettere. Una parte significativa degli
italiani ha preferito l'impegno civile, il ritratto
impietoso del Paese in cui viviamo - insomma, la realtà
- alla facile evasione del reality irreale.
Se vogliamo ripensare la televisione, e soprattutto la
televisione pubblica, dobbiamo partire da
qui.
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