Il soggetto guarda diritto nell'obiettivo. C'è un rapporto immediato con il fotografo e quindi con chi guarderà la foto. Il contrario della tecnica di molti reporter, quella del fotografo "invisibile", secondo la teoria (e la pratica) di Henri Cartier-Bresson.
Scelte personali, modi diversi di osservare e riprendere la realtà. 
Guido Cosulich non era uomo da mezze misure. Deciso, diretto, a volte burbero, nascondeva una profonda sensibilità e una grande capacità di dialogo con gli altri.
Dote importante, per un fotografo.
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Guido Cosulich - Genti dell'Afghanistan
Guido Cosulich
Genti dell'Afghanistan

(da Nuova Fotografia, novembre 1973)

Afghanistan, sessant'anni fa: le fotografie di Guido Cosulich

Manlio Cammarata - 23 agosto 2021
Agosto 2021. L'Afghanistan è di nuovo in prima pagina. Con immagini drammatiche e interrogativi che non hanno risposte. Le troveranno col passare del tempo, quando la cronaca diventerà storia. Per capire la storia non serve solo la sedimentazione del fatti, ma anche la conoscenza del "prima" e del "dopo".

Intanto si può cercare di capire il "prima". E per capire l'Afghanistan di oggi possono essere importanti queste fotografie di Guido Cosulich, scattate nel 1963, quasi sessant'anni fa, e pubblicate in un articolo sulla rivista Nuova Fotografia nel novembre del 1973. Scegliemmo insieme le immagini, discutemmo il titolo, il testo, le didascalie.

Adesso queste vecchie pagine ci aiutano a capire, a vedere dietro e oltre le sequenze che da ogni parte arrivano sui nostri schermi. Che mostrano aggressioni, uomini armati, gente disperata, donne in fuga. Ma nulla che sia dietro e oltre.

Serve qualcuno che vada un po' più in là, per farci capire che cosa c'è dietro e oltre i video incoscienti dei telefonini. Oggi i reporter che indagano e raccontano il mondo – non solo le guerre – sono pochi. Non c'è nessuno che oggi ci mostri come è l'Aghanistan fuori da Kabul, lontano dal caos dell'aeroporto: le sole immagini che oggi ci arrivano dai mezzi di informazione. L'Afghanistan del Nord, quello che vuole resistere ai talebani, è simile, o addirittura lo stesso, documentato da Guido Cosulich? Anche là ci sono ancora le donne invisibili, come quella in secondo piano nella foto qui sopra?

Sui media le fotine "telefonate" dal primo che passa, a volte incomprensibili, sostituiscono sempre più spesso il lavoro dei reporter di professione. Una professione fatta di "occhio", di tecnica, di voglia di capire e di passione, come quella di Guido Cosulich. 
(CONTINUA SOTTO)

Guido Diego Cosulich de Pecine (Valdagno, 1938 – Roma, 2015). Diplomato al Centro sperimentale di cinematografia, è stato direttore della fotografia, cineoperatore, grafico. Ma soprattutto fotografo.
Uno degli ultimi protagonisti dell'età d'oro del reportage, quelli che raccontavano il mondo attraverso i giornali, le riviste, la televisione.
Oggi (non) vediamo il mondo quasi solo dagli scatti del primo imbecille che passa con un telefonino in mano.

Guido Cosulich con i suoi attrezzi indispensabili: il sigaro e l'esposimetro Spectra Combi 500, cavallo di battaglia dei direttori della fotografia e degli operatori del tempo che fu.

Direttore della fotografia. E cineoperatore, fotografo, grafico. Studioso della comunicazione visiva. Ma soprattutto fotografo nel senso più completo della parola. Un reporter a suo agio con la Nikon come con l'Arriflex, sempre pronto a partire per qualsiasi "dove".

La prima sensazione che nasce dalle foto di Guido Cosulich è la partecipazione del fotografo alla realtà che ha davanti all'obiettivo. È uno stile, un approccio ben diverso da quello classico teorizzato da Henri Cartier-Bresson. Che vuole il fotografo "invisibile", osservatore inosservato. Invece nella fotografia di Guido Cosulich (e di altri) Il fotografo c'è. Dialoga col soggetto. È parte della realtà che registra.

Dunque, a prima vista, altera la realtà che documenta, come nella meccanica quantistica l'osservazione modifica ciò che viene osservato. Potremmo chiamarlo "reportage partecipativo".
Ma non per questo meno autentico Perché, in ogni caso, il fotografo che intuisce e registra una scena compie una scelta arbitraria. Quello che conta è il significato, il contenuto dell'immagine che arriva all'osservatore. Il documento che diventa storia. 

Guido Cosulich testimone del suo tempo, come ogni buon reporter, a futura memoria.

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