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Non si devono confondere gli
effetti dei raggi ultravioletti con la foschia, ben visibile
in questa foto.
Il filtro UV in questi casi è del tutto inutile, perché è
l'umidità dell'atmosfera a dare il velo azzurro allo sfondo,
insieme al colore del cielo. Qualcosa in più potrebbe fare un
filtro Skylight, come vedremo nel prossimo articolo.
In digitale è facile ristabilire
i toni corretti con un ritocco alla temperatura di colore. Ma
resta la scarsa nitidezza dello sfondo (qui sotto).
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Le due superfici aggiunte dal filtro provocano
anche riflessi (in molti casi ben
visibili), perché non tutta la luce viene
trasmessa da un corpo trasparente.
Una parte è riflessa, cioè "rimbalza" e prende
direzioni non volute. E' una delle cause
del flare, che abbassa visibilmente
il contrasto di un'immagine o di una parte
di essa.
I moderni trattamenti antiriflessi a
strati multipli attenuano il problema,
ma non lo eliminano, soprattutto nelle
riprese in controluce.
Si aggiunga che il filtro può
presentare granelli di polvere,
impronte digitali, graffi e microlesioni
dei trattamenti o dei vetri stessi, che
possono trasformare un'ottica di qualità
in un fondo di bicchiere.
Perché sì (e quando)
Il filtro UV, anche se appare trasparente, assorbe e blocca le frequenze
più alte delle radiazioni luminose. Quindi, per
i motivi che abbiamo appena visto, può rendere un po' più nitida
un'immagine, eliminando una componente sfocata.
Ma questo effetto si verifica solo quando sono presenti raggi UV in misura tale da influire
sulla qualità della fotografia. Accade quando la scena è
illuminata da una fonte che emette anche raggi UV, come il Sole o
una lampada ad alta temperatura. Le vecchie lampadine a
incandescenza emettevano pochi raggi UV, le alogene un po' di più,
mentre negli attuali sistemi di illuminazione a LED i raggi UV sono
praticamente assenti.
Allora, quando la componente UV della luce è significativa (come
si verifica sul mare o su una spiaggia), o in montagna, dove filtro
naturale dell'atmosfera è meno spesso), il filtro svolge un ottimo lavoro,
quello per il quale è stato inventato: l'assorbimento
dei raggi ultravioletti.
In particolare, i raggi ultravioletti sono dannosi nelle riprese con
il teleobiettivo, perché lo spostamento
del fuoco dovuto all'aberrazione cromatica
è proporzionale alla lunghezza focale, a
parità delle altre condizioni.
Per questo ci sono i teleobiettivi
apocromatici, nei quali
l'aberrazione cromatica è ridotta a
valori molto bassi. Invece non ci sono
obiettivi grandangolari
apocromatici, perché la minore lunghezza
focale comporta una minore aberrazione
cromatica, che può essere ulteriormente
ridotta con uno schema ottico ben
studiato.
In ogni caso, dall'uso del filtro UV non
ci si devono aspettare miracoli, come si
vede nell'esempio alla fine di questa
pagina.
Dunque, quando si usa un
teleobiettivo per riprese in luce naturale, soprattutto a lunga
distanza,
il filtro UV può essere utile.
Offre vantaggi che compensano in larga
misura gli svantaggi elencati all'inizio. Ma a condizione che
sia di ottima qualità, dotato di trattamento
antiriflessi a strati multipli. E pulito. I filtri
che si possono comperare online per qualche
euro sono di plastica e non
trattati. Da evitare.E la funzione protettiva? In qualche misura c'è, perché è meno
costoso sostituire un filtro che una lente dell'obiettivo (o
l'intero obiettivo) nel caso di una rottura dovuta a un urto, o
anche per una meno devastante rigatura.
Ma la protezione più efficace è data dall'attenzione, dalla cura
con cui sono usate, trasportate e manutenute le apparecchiature. E
se proprio vogliamo una difesa "fisica" dell'obiettivo, è
meglio tenere sempre in posizione di lavoro il paraluce. Lo vedremo
in una delle prossime lezioni.
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