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Ci sembrava
comodo, il motore F36 con il "portabatterie senza
cavo". Aveva solo il problema della procedura per
caricare la pellicola, che richiedeva di staccare tutto il
blocco dorso-motore-portabatterie. Con una mano tieni il
corpo, si diceva, con l'altra tieni il dorso e con la terza
metti il rullino...
Non c'è dubbio che il progresso ha migliorato, se non
altro, l'ergonomia.
(Immagine da Il libro Nikon del 1970) |
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Lo scatto flessibile in
versione moderna: a filo o a raggi infrarossi (quando la
fotocamera lo consente). Ma non c'è uno standard comune, a
volte neanche tra apparecchi della stessa marca. |
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Gli spinotti multipolari
"jack micro" sono economici e di uso comune.
Potrebbero costituire uno standard per i comandi a distanza,
ma sono adottati da pochi fabbricanti. Hanno il difetto di
non essere smart, ovvero "intelligenti", e di non catturare dati
personali degli utenti. |
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Poi, negli USA,
qualcuno costruì un portabatterie artigianale, da attaccare sotto
il motore. La casa madre lo adottò nel 1966. E fu il celebre "portabatterie
senza cavo". Un brutto accrocco tutto spigoli, dall'apparenza inaffidabile
(ma di
fatto quasi indistruttibile). La combinazione fu per una ventina di anni "il"
motore del reportage e di qualsiasi altro genere di fotografia su
pellicola da 35mm.
Oggi quel portabatterie può essere preso come esempio di soluzione
semplice quanto efficace: l'attacco per lo scatto a distanza era una
banale presa domestica americana per la corrente a 110V, reperibile ovunque a un prezzo
insignificante. Consentiva di fabbricare in casa qualsiasi tipo di
telecomando (come quello nella foto a destra, sotto), mentre
per l'alimentazione esterna bastava un comunissimo jack, compreso
nella confezione.
Con la diffusione del digitale i produttori hanno dimenticato la
parola "standard". Ognuno va per conto suo. Ogni linea di
prodotti, spesso anche dello stesso marchio, ha il suo formato RAW,
i suoi attacchi, il suo software di elaborazione. E adesso anche le sue
infernali app. Eppure per i telecomandi si potrebbero usare gli spinotti "jack"
multipolari universalmente diffusi per cuffie, microfoni e
altri dispositivi (si trovano solo su qualche fotocamera o
videocamera).
Ci sono anche i telecomandi a raggi infrarossi, comodi
ed economici (soprattutto i sostituti "cinesi",
identici agli originali). Ma anche qui ogni costruttore ha
il suo non-standard.
Le inutili complicazioni non finiscono
qui: ci sono anche fotocamere che non dispongono di alcuna
possibilità di telecomando, né via cavo né a
infrarossi, come la Nikon D3500. Per farle funzionare a
distanza occorrono le app da scaricare e installare sul
furbofono (con i relativi problemi di violazioni dei dati
personali – ne parliamo alla fine).
Siamo all'assurdo: in sostanza, per far scattare la
fotocamera montata sul treppiede dalla distanza di meno di
un metro, le devo telefonare!
E' vero, le app dei furbofoni hanno hanno anche la
funzione, a volte molto utile, di trasmettere le foto
appena scattate in qualsiasi parte del mondo. Sono gli
indiscutibili vantaggi del progresso digitale.
Ma quanti fotografi sfruttano le tante innovazioni offerte dalla
tecnologia informatica? O semplicemente le conoscono, ma trovano
troppo complicato servirsene? Il manuale della Nikon F2 (il primo che ho tradotto
in italiano, in tempi lontani) contava 44 pagine di piccolo formato. Il manuale della D750 conta 540 pagine,
in formato grande il doppio.
Cinquecentoquaranta pagine di istruzioni! Tutto questo ha un senso?
Purtroppo lo ha. Ma non è a nostro favore. Conviene
all'industria, ai predatori di dati personali che studiano i nostri
comportamenti, per influenzarci, per orientare le nostre scelte.
L'app per scattare fotografie non
solo registra e comunica a qualcuno dove e quando l'abbiamo scattata
(anche, in qualche caso, con chi eravamo), ma copia la nostra
rubrica telefonica, prende nota delle email e (sembra di capire
dalle informazioni rese nel'app di Panasonic) persino il numero della carta
di credito, per gli incauti che usano il telefonino
"intelligente" per fare acquisti. Se poi cediamo alla
tentazione di usare l'app per condividere le foto sulle piattaforme
sociali, ecco un'altra quantità di dati personali a disposizione
dei predatori. Che se ne servono per condizionare, a nostra
insaputa, i nostri comportamenti e le nostre scelte. Scelte di volta
in volta di natura commerciale o politica. E stili di vita sempre
più dettati dalla convenienza di chi ha il controllo delle
tecnologie.
Questo è il vero risultato delle meraviglie
"intelligenti" che da tutte le parti ci convincono – o
ci costringono – a usare sempre più spesso. Compreso l'obbligo di
telefonare alla fotocamera invece di premere un bottone.
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