La riforma delle professioni si avvicina. Il testo dell'emanando
decreto del Presidente della Repubblica è allo stato di
bozza, accompagnato dalle inevitabili proteste delle
corporazioni interessate. Che non bloccano il traffico
come fanno i tassisti, ma scrivono articoli e mobilitano
lobbisti. Cambiano i modi, le argomentazioni sono più
eleganti, ma la sostanza è la stessa: leva alte grida chi
vede in pericolo le proprie rendite di posizione, chi si
sente minacciato dalla concorrenza.
I giornalisti non fanno eccezione. Anche se non sono
specificamente citati nel testo, il loro organismo
professionale dovrebbe essere compreso tra quelli che
saranno "riformati" dal futuro decreto. Dunque
protestano. Ma è una contestazione "al
contrario", perché non ottengono le restrizioni
all'accesso che richiedono da tempo, come la laurea per
tutti e l'esame anche per i pubblicisti.
Lo ricorda qui
il solito Franco Abruzzo, battagliero ex-presidente
dell'Ordine della Lombardia, che riporta anche il documento
del Consiglio nazionale dell'Ordine. Secondo il quale
la riforma non si dovrebbe neanche fare, ma comunque il
testo non cambia nulla. A parte le funzioni disciplinari.
Scrive Abruzzo:
Il Governo viola la normativa comunitaria che vuole
i professionisti, tutti i professionisti (giornalisti
compresi), con laurea almeno triennale. MONTI HA TRADITO
LA UE: PERCHE’? I pubblicisti esentati dall’esame di
Stato. Praticanti: basta l’esame (risibile) di cultura
per chi non ha il diploma, ma la V elementare o la terza
media. Questa è una controriforma gattopardesca. Quest’Ordine,
irriformabile, non serve e va chiuso subito. Meglio la
tessera sul modello francese solo per chi ha un contratto
e fa il giornalista a tempo pieno.
Non voglio ripetere le cose che ho scritto più volte,
da ultimo nell'articolo Riformare
la professione, abolire l'albo "immorale" del gennaio scorso. In
estrema sintesi: è falso che la UE esiga la laurea almeno
triennale anche per i giornalisti. Nei documenti
comunitari non c'è il minimo accenno ai giornalisti, per
il semplice fatto che in nessuno Stato membro ci sono
organismi professionali simili a quello italiano (con le
parziali eccezioni di Spagna e Portogallo, non a caso le
ultime nazioni dell'Europa occidentali uscite da regimi
dittatoriali).
Però, leggendo con attenzione la "bozza
Severino" si trova un punto dolente (inconfessato)
per i difensori della corporazione. Se la proposta
passerà, l'accesso alla professione dovrebbe ritornare
nei termini previsti dalla legge del '63: diciotto mesi in
redazione. Con in più "la frequenza obbligatoria e con profitto, per un periodo non inferiore a sei mesi, di specifici corsi di formazione professionale".
Ora la "riforma di fatto" compiuta
dall'Ordine in anni recenti ha equiparato al praticantato
in redazione, previsto dalla legge, la frequenza in alcune
(costose) scuole di giornalismo. Innovazione che suscita
più di un dubbio di legittimità. Fabbriche di
disoccupati, vista la situazione della stampa in questi
anni. Un business che con la riforma dovrebbe
finire.
Un'ultima osservazione sulla laurea "almeno
triennale". Se si ricorda che Indro Montanelli e altri tra i più
celebri giornalisti italiani non erano laureati, ci si
sente rispondere che erano altri tempi. Bene, allora citiamo un
caso di oggi: uno dei migliori giornalisti in attività, Enrico Mentana, non è laureato.
Quindi, secondo Abruzzo e compagni, non potrebbe neanche essere
ammesso al praticantato.
La conclusione è sfuggita dalla tastiera di Franco
Abruzzo: "Quest’Ordine, irriformabile, non serve e
va chiuso subito".
Qualche ragione in più si può trovare nel confronto tra
la legge del ventennio e quella in vigore: Da Mussolini alla
democrazia è
cambiato qualcosa?
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