Combattimenti senza
esclusione di byte. Banche e istituti di carte di
credito bloccano i flussi di denaro digitale verso
Julian Assange, l'uomo che svela segreti imbarazzanti
dalle pagine di Wikileaks. I sostenitori di Assange
bloccano a loro volta i siti delle istituzioni
finanziarie. Guerre informatiche. Non sono le prime, non
saranno certamente le ultime. All'origine del conflitto c'è il gigantesco flusso
di informazioni digitali uscite da un "buco" statunitense non abbastanza protetto.
Non importa se per opera di qualche hacker o di una o
più "gole profonde". La sostanza è che una
parte delicatissima dei sistemi informativi della più
grande nazione del mondo si è rivelata troppo
vulnerabile.
Cambiamo scenario. Siamo in Italia, nella notte tra
il 17 e il 18 dicembre 2010. Neve e gelo paralizzano
strade e ferrovie e dividono in due la Penisola. Sull'autostrada
appenninica migliaia di persone restano bloccate anche
per venti ore. Un evento eccezionale, dicono. Ma situazioni
come questa si verificano almeno una volta l'anno.
Allora non sono eccezionali. E si sa che le
infrastrutture fisiche del nostro Paese sono
vulnerabili. Ma anche quelle informatiche evidentemente
fanno cilecca, se non si riesce neanche a far funzionare
i pannelli luminosi che indicano le direzioni o le
strade chiuse.
Tutto questo è particolarmente grave se si considera
che tutta l'Europa - Italia compresa - è coperta da una
fitta rete di sistemi di rilevazione e strutture
informative, che descrivono in tempo reale le condizioni
meteorologiche e delle vie di comunicazione. Solo la
società Autostrade dispone di un'infrastruttura fissa
di circa tremila punti di rilevazione, tra telecamere e
sensori, e seicento sensori meteo, a cui si aggiungono i
sistemi mobili. E poi ci sono gli strumenti di controllo
del traffico da satellite (la Octo Telematics conta
un milione di veicoli che trasmettono informazioni sulla
loro posizione e velocità). Ci sono le sale operative
dove converge questa massa di informazioni, ci sono i
siti internet dove chiunque può verificare le
condizioni della mobilità.
La
mattina del 18, dopo aver ascoltato le notizie alla
televisione, ho voluto verificare il livello
dell'informazione ai cittadini (oltre ai notiziari di "Onda
verde", troppo spesso lacunosi o in ritardo).
Ebbene, secondo il CCISS,
una struttura interministeriale alla quale fanno capo
una moltitudine di enti rilevatori, c'erano solo
"rallentamenti". Con molta buona volontà si
potevano interpretare le
mappe di Infoblu,
in cui i pochi tratti neri (traffico bloccato) non
davano subito l'idea del disastro. Per finire con la meraviglia
delle meraviglie, il mio nuovo navigatore satellitare provvisto di
RDS-TMC (Radio Data System - Traffic Message Channel), che non riusciva neanche a sintonizzare le
emittenti. Altro che notizie sul traffico in tempo reale!
La mattina dopo, sabato 19, c'era il blocco totale
della Firenze-Pisa-Livorno. Ma, anche in questo caso,
solo i notiziari di RaiNews illustravano la situazione.
Il navigatore satellitare, con il sistema TMC
all'apparenza funzionante, indicava un ritardo di soli
undici minuti per le condizioni del traffico.
Il fallimento di diversi sistemi informativi, che
dovrebbero assicurare almeno le informazioni sulle
condizioni del territorio, mostra ancora una volta la
vulnerabilità della società tecnologica in cui
viviamo. Non è una novità: ne parlavamo quindi anni
fa, quando il World Wide Web muoveva i primi passi e
avvertivamo dei rischi insiti in un uso non accorto
delle tecnologie dell'informazione (vedi Comportamenti
e norme nella società vulnerabile del 1995).
Parlavamo, qualcuno lo ricorda, dei problemi della
protezione dei dati personali, dei documenti digitali,
della tutela del diritto d'autore, della responsabilità
degli operatori di sistema. Che cosa è cambiato in
quindici anni? Sostanzialmente nulla. Molti di quegli
interventi potrebbero essere scritti oggi. Ma la società
vulnerabile che allora paventavamo oggi è una
realtà.
Però, attenzione, la vulnerabilità non è tanto
nell'hardware o nel software, quanto nelle logiche di
governo. Cioè, alla fine dei conti, nelle persone.
Prima qualcuno non ha pensato che certi allarmi devono
produrre automaticamente determinati effetti. Poi qualcun
altro ha ignorato gli stessi allarmi o non si è
preoccupato di prendere tempestivamente le iniziative
conseguenti. Ci vuole tanto a fermare i camion che
entrano in autostrada senza catene, quando incomincia a
nevicare?
Ritorniamo alla questione Wikileaks. E' probabile che
all'origine della fuga di quella incredibile quantità
di messaggi ci sia qualcuno che voleva farli uscire. Ma
l'azione doveva essere prevista e si sarebbero dovute
adottare efficaci misure preventive. Non importa se
Julian Assange sia un eroe e la divulgazione delle
informazioni sia la salutare affermazione della società
"trasparente", o se sia un malfattore che
mette a rischio la sicurezza internazionale. Il fatto è
che quelle notizie dovevano restare riservate.
Oggi Wikileaks e le autostrade italiane. Domani,
chissà, le reti telefoniche o quelle elettriche, o i
circuiti delle istituzioni finanziarie.
Il problema è che siamo solo all'inizio.
Post scriptum. Tra le rivelazioni di Wikileaks
c'è una nota allarmata
sui rischi per la libertà
dell'internet in Italia contenuti nel disegno di legge
"Romani". A suo tempo solo qualche commentatore aveva
segnalato i pericoli nascosti nel provvedimento (vedi Le polpette avvelenate del nuovo Testo unico radio-TV
e Eccesso di delega o eccesso di potere
televisivo?). Ora qualcuno non si è ancora reso conto che quel testo, con poche
modifiche, sta per produrre i suoi effetti.
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