Rispondo alla domanda
con la quale Manlio Cammarata pochi giorni fa chiudeva
il suo articolo La Cassazione:
il direttore on line non è "responsabile":
alla luce della decisione n.
35511, di che cosa è responsabile il direttore
responsabile di una testata on line registrata al
tribunale?
La sentenza, che stabilisce un doppio binario di
responsabilità per il direttore di una testata
riprodotta su carta e quello di una testata diffusa
online, inserisce un ulteriore e inutile elemento di
confusione in un dibattito - quello sulla stampa online
- tutto sommato inutile e fomentato da chi, aspirando a
fare il giornalista senza però essere iscritto al
relativo albo, ha cercato di attribuirsi in modo suicida
uno status giuridico analogo a quello dei professionisti
dell’informazione.
La stampa, quella di cui parla la
Costituzione, non è il supporto sul quale si
riproducono i contenuti ma quella con la “S”
maiuscola. Come ha efficacemente detto Manlio Cammarata,
la differenza si capisce traducendo i concetti nella
lingua inglese: la Costituzione si occupa di “Press”
e non di “print”. Alla luce di questa banale
considerazione - ma non evidentemente tale per tutti -
si capisce perché l’annoso dibattito sull’applicabilità
della normativa sulla stampa ai siti personali, ai forum
e alle mailing-list sia off-topic.
Chi fa professionalmente
informazione, a prescindere dalla content-delivery
platform è sottoposto alla legge sulla stampa. Chi
pubblica online i propri pensieri, le proprie opinioni
no. Ne parlammo già tanto tempo fa su queste pagine
commentando l’ennesimo "al lupo al lupo"
sulla libertà di pensiero (Editoria: è il prodotto che fa la differenza).
Possiamo certamente discutere sull’anacronismo
della regolamentazione della professione giornalistica;
e possiamo sicuramente riflettere sul fatto che la
cosiddetta “informazione professionale” è sempre
più simile al mero rilancio di comunicati stampa.
Possiamo anche riconoscere che molti “non
professionisti” producono informazione di qualità
eccellente. Ma questo non cambia il fatto che la
sentenza in commento sia molto discutibile.
In primo luogo perché àncora la
sussunzione di un fatto all’interno di una norma al
mero requisito tecnico (la stampa è cartacea, la
pubblicazione online no, quindi la legge non si
applica). Il risultato è che un legislatore di stampo
mediorientale potrebbe semplicemente modificare la legge
ed estenderne l’applicazione “a ogni altro mezzo di
diffusione dell’informazione”. In secondo luogo
perché, come detto, introduce una incomprensibile
asimmetria nel sistema della responsabilità per la
direzione di una testata, che non trova giustificazione
nel mero distinguo tecnico. In terzo luogo perché in
modo apodittico stabilisce la sussistenza della
difficoltà del moderare i contenuti per il direttore
responsabile di una testata online, senza operare un
distinguo su base casistica.
Un conto è moderare i commenti
pubblicati su una testata ad altissimo traffico, un
conto è moderare i contributi a una piccola testata
locale. In altri termini, l’esigibilità (o la non
esigibilità) del controllo non può essere un valore
assoluto. Infine, è difficilmente comprensibile il
richiamo al d.lgs. 70/2003 e al relativo regime di
responsabilità che riguarda i fornitori di servizi
della società dell’informazione e non i direttori di
giornale.
C’è da sperare che questo orientamento venga superato
da ulteriori e più avvedute sentenze.
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