La Grande Anomalia sta per finire? Corrono sempre più
insistenti le voci di un progetto del governo Monti per
cambiare i criteri di nomina dei vertici del servizio
pubblico, con tutto quello che ne consegue.
A stretto rigore l'Esecutivo non
dovrebbe occuparsi di questa materia, che spetta al
Parlamento. La Corte costituzionale lo ha affermato in
modo inequivocabile con
la sentenza
n. 225 del 1974. La famigerata legge Gasparri ha fatto
carta straccia di quella pronuncia. E' tempo di ripristinare la legalità costituzionale.
Tuttavia il fatto che il governo Monti non sia
espressione diretta dei partiti può essere un punto di
forza per l'avvio di una riforma che ponga fine
all'influenza della politica e della maggioranza
parlamentare sul servizio dei media pubblici.
La congiuntura è favorevole: il prossimo 28 febbraio
- praticamente domani - scade il mandato del consiglio
di amministrazione e del direttore generale. E'
possibile un periodo di proroga, ma si impone un
cambiamento. Non è pensabile che la prossima campagna
per le elezioni politiche sia ancora una volta
influenzata da un servizio pubblico sotto lo stretto
controllo dell'ex presidente del Consiglio nonché
signore delle televisioni private. Per chi non lo
ricordasse, il CDA della Rai è nominato dalla Commissione
parlamentare "di
indirizzo e vigilanza", che rispecchia la
maggioranza parlamentare e nomina sette dei nove
componenti. Gli altri due spettano al ministero del
tesoro, cioè al Governo. La logica vorrebbe che alla
caduta di un esecutivo decadesse anche il consiglio di
amministrazione nominato dallo stesso esecutivo. In
mancanza di una norma di questo segno, i consiglieri
dovrebbero spontaneamente dimettersi (mi sembra di
sentire delle risate). I cambiamenti nello scenario
politico hanno avuto una conseguenza importante: un
componente della Commissione parlamentare è passato
dalla maggioranza al Gruppo misto. Con la conseguenza
che la ex maggioranza parlamentare non è più tale
neanche nella Commissione: i voti sono ora venti contro
venti e quello del presidente Sergio Zavoli diventa
determinante. Dunque oggi è possibile porre fine al
controllo di quasi tutto il sistema televisivo nelle
mani di una sola persona: può avere i giorni contati
l'aspetto più devastante del conflitto di interessi,
quello che è stato definito ufficialmente come
"l'anomalia italiana" da parte del Parlamento
europeo. In questa prospettiva diventano quasi
irrilevanti le anticipazioni di una specie di riforma
interna annunciata dal CDA la settimana scorsa, con
l'obiettivo di rimettere in ordine i bilanci in rosso.
L'unica iniziativa che sembra apprezzabile è
l'unificazione di RaiNews con il Televideo. Un primo
accenno a quel progetto di "testata unica" che
potrebbe risollevare l'informazione del sistema
pubblico. Soluzione già ipotizzata nel piano editoriale Rai per l'offerta
generalista TV (vedi anche Una
testata giornalistica unica per la Rai? sul sito di
Infocivica). Invece è importante che si incominci a
discutere di un nuovo assetto del servizio pubblico,
anche in vista della scadenza della concessione alla
Rai, che cadrà nel 2016. Sembra una data lontana, ma
l'esito non è del tutto scontato. I vertici di viale
Mazzini dovranno presentare una Rai solida, efficiente,
perfettamente in grado di svolgere quella missione che
oggi sembra quasi dimenticata. Grazie anche alla
degenerazione del sistema lottizzatorio che va avanti da
decenni. Per questo si deve imboccare subito la strada
di un profondo rinnovamento del sistema. Anche con la
nomina di un amministratore delegato al posto del CDA
"politico" e del direttore generale
altrettanto politico.
Non sarebbe tollerabile una situazione come quella del
breve governo di centro-sinistra guidato da Romano Prodi
tra il 2006 e il 2008, durante il quale il controllo del
servizio pubblico rimase nelle mani del centro-destra. Il
Censis ci ricorda di nuovo che la televisione resta il
canale di informazione largamente più seguito dagli
italiani. Dunque è urgente cambiare il sistema.
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