Articolo
precedente
I contenuti della DTT Nel
primo articolo ho accennato al fatto che la
televisione digitale terrestre è una piattaforma
ibrida, che si colloca tra la TV tradizionale e
l'internet. Qualcuno ha detto che la DTT non serve a
nulla, dal momento che tutto quello che passa sul
digitale terrestre può passare sul satellite e, con
maggiore interattività,
sull'internet; senza contare il fatto che, dalla parte
dell'utente, non ci sono differenze operative
sostanziali tra il digitale
satellitare e il digitale terrestre.
Dal punto di visto tecnico questo è vero, ma nei
fatti ci sono diverse ragioni per le quali il digitale
terrestre esiste e ha buone prospettive di sviluppo,
non solo come semplice evoluzione della televisione
analogica. Alcune le abbiamo già viste, di altre ci
occupiamo ora.
E' vero che il maggior numero di canali
terrestri resi disponibili dalla tecnologia digitale
non può competere con quello, molto più ampio, dei
satelliti, ma ci sono due fatti essenziali a favore
del terrestre: il primo, come abbiamo già
visto, è la diffusione universale dell'analogico, che
rende ogni attuale utente televisivo un potenziale
utente del DTT, con la sola spesa per l'acquisto del
ricevitore (ma ci sono già sul mercato televisori con
un elementare decoder incorporato). In questo modo per una larga
fascia della popolazione il passaggio non è impegnativo come può
esserlo quello all'internet, medium che richiede
l'acquisto di apparecchiature meno familiari e
l'apprendimento di un diverso modo d'uso.
L'apparente svantaggio (rispetto al satellite)
della limitata copertura territoriale può essere
invece una carta vincente, perché il DTT sembra fatto
su misura per l'emittenza locale: copertura del solo
territorio che interessa, con in più
l'interattività, che può trasformare le TV locali in
un mezzo simile alle "reti civiche"
dell'internet. Ma fruibile, allo stato attuale, da una
fascia di popolazione molto più ampia. In sostanza,
consente contenuti "mirati" su un territorio
ben definito.
Così siamo arrivati naturalmente a parlare dei
contenuti della televisione digitale terrestre. Ed è
l'argomento centrale del nostro discorso, perché i media si sviluppano
solo se ci
sono contenuti. E' la disponibilità di contenuti che
determina l'esistenza stessa dei diversi
media e delle diverse "piattaforme": la
tecnologia di per sé non serve a nulla, sono le
applicazioni che ne giustificano l'esistenza.
Nella prima fase dello sviluppo del digitale terrestre
in Italia (quella che avrebbe dovuto concludersi con
l'impossibile switch-off dell'analogico alla fine di
quest'anno), si era puntato su due categorie di
contenuti: lo sport a pagamento e i servizi della
pubblica amministrazione. Oltre, naturalmente, alla
"migrazione" dei canali esistenti
dall'analogico al digitale.
Il risultato? Un fallimento. A ridosso della
scadenza (già rinviata una volta) prevista per lo
switch-off nelle regioni "pilota", circa
metà della popolazione non aveva ancora il
ricevitore, nonostante gli incentivi statali. Segno
evidente della mancanza di interesse da parte del
pubblico televisivo.
L'esperienza della Gran Bretagna, il Paese oggi
all'avanguardia in Europa per la diffusione del
digitale terrestre, mostra che il pubblico si attiva
quando c'è un'offerta sostanziale di contenuti gratuiti.
La scoperta dell'acqua calda...
Ma c'è un dato interessante che emerge dalla già
citata indagine
svolta per il CNIPA dall'Istituto Piepoli: nel periodo
compreso tra il 22 e il 27 aprile 2006, ben il 70 per
cento dei non utilizzatori del digitale terrestre non
aveva intenzione di acquistare un ricevitore nei
successivi tre mesi. Un dato che probabilmente si
giustifica in buona parte con la scarsità di
informazione, ma rivela nel pubblico una diffusa
mancanza di interesse verso la novità. Per quanto
riguarda lo sport (che dalla stessa indagine appare un
fattore trainante) c'è l'ampia offerta via satellite.
Sempre secondo l'indagine, i servizi
della pubblica amministrazione nel periodo esaminato erano sfruttati solo
dall'uno per cento del campione. E questo nonostante
gli sforzi (e i soldi) profusi dal CNIPA.
In sostanza, l'indagine
commissionata dal CNIPA mostra che la diffusione della
DTT è ancora a livelli molto bassi. D'altra parte la
copertura del territorio è a macchia di leopardo, con
molte aree in cui si ricevono pochi canali (si veda la
pagina Ricerca
copertura sul sito dell'associazione DGTVi). A
parte i canali nazionali, l'offerta attuale è fatta
soprattutto di sport (gratis o a pagamento) da parte
di Mediaset e La7. Ci sono anche alcuni canali esteri,
prima disponibili solo via satellite. Un'emittente di
televendite, pochissimi i canali "di
servizio", in molte zone non si riceve nemmeno
Rai News 24. Le emittenti locali si contano sulle
dita, anche in Sardegna e Valle d'Aosta, che oggi
dovrebbero essere già "all digital"
(secondo i programmi del passato Governo). In queste
regioni ci sono addirittura aree non coperte dal
servizio o in cui non si ricevono nemmeno i tre canali
nazionali della Rai.
Dunque la diffusione della DTT è solo all'inizio
ed è evidente che, fino a quando non ci
sarà un'offerta di contenuti accattivanti, ben pochi
saranno indotti all'acquisto del ricevitore. Di
conseguenza si pone il problema di capire quali
contenuti devono essere sviluppati: contenuti
specifici per il digitale terrestre, perché replicare
l'offerta della TV analogia e via satellite non porterebbe a
risultati di rilievo. La scelta non è facile, anche
perché l'esperienza inglese dimostra che solo
l'offerta "free" può determinare il
successo della piattaforma, ma le produzioni costano
ed è necessario che da qualche parte i soldi
rientrino.
Dalla parte dei fornitori
Contenuti specifici per il
mezzo, come si è detto, ma è evidente che in molti
casi non converrà produrre solo per il digitale
terrestre: i nuovi programmi dovranno essere realmente
"multimediali", cioè destinati
alla distribuzione su media diversi. Lo vediamo già
con i contenuti audiovisivi come musica e video, che sono
fruibili attraverso
molti mezzi, dai supporti fisici (CD, DVD, lettori MP3)
all'internet, alla radio, ai telefoni cellulari. O con
gli eventi sportivi, che vanno sulla TV
"generalista" e sui canali specializzati a
pagamento, ma anche alla radio e sui telefonini. E via
elencando.
E' abbastanza evidente che soprattutto i fornitori
di maggiori dimensioni sceglieranno (anzi, hanno già
scelto) la strada della multimedialità. Ma questo non
significa che un contenuto possa "passare"
così com'è sui diversi media. Un grande film non
può essere visto sullo schermo del telefonino o nel
riquadro di 320x240 pixel dello streaming via
internet. Media diversi richiedono linguaggi diversi. Lo abbiamo
capito fin dagli albori della
televisione, quando si è visto che i "campi
lunghi" e i dettagli della scenografia di un film
non "passano" sulla TV; di conseguenza
questa impone per la fiction un linguaggio visivo diverso da quello
del cinema. E non parliamo dei telefonini, dove
l'intera immagine si riduce a pochi elementi
essenziali. Dunque un contenuto deve presentare un
formato specifico per ogni mezzo attraverso il quale
viene trasmesso, anche in considerazione dei diversi
livelli di interattività dei diversi mezzi.
Un ottimo esempio di "riformattazione" dei
contenuti è un canale sperimentale del servizio
pubblico, Rai
Utile, pensato in primo luogo per sfruttare
l'interattività del
digitale terrestre, ma diffuso anche sul
satellite e sull'internet: come una normale
trasmissione televisiva sul satellite, con approfondimenti
e interattivo sulla DTT, ancora più ricco e
interattivo sull'internet.
Risalendo a un passato non troppo lontano, troviamo
l'esempio dei giornali, la cui versione
on line era inizialmente la semplice riproduzione delle pagine
stampate, con l'interattività limitata alla
scelta delle pagine stesse. Poi gli editori hanno
imparato a sfruttare le potenzialità del web e i
giornali on line sono diventati ricchi ipertesti da
"navigare", ben diversi dalle edizioni
cartacee. Nei casi in cui un giornale offre anche
l'informazione sui telefoni mobili, via SMS, il
formato cambia ancora e si riduce a secche notizie di
poche parole. Carta, internet e cellulare sono dunque
tre diversi formati che il giornale può assumere oggi
a
seconda del mezzo con il quale viene diffuso.
Ancora, i telegiornali delle reti generaliste sono
trasmessi a pieno schermo e solo in qualche caso hanno
una barra di notizie sintetiche che scorre nella parte
inferiore del video. Invece i notiziari dei canali
"alla news" suddividono lo spazio in diverse sezioni, con informazioni che cambiano
autonomamente in ciascuna di esse. Ma le news
sull'internet sono presentate in maniera del tutto
diversa: vediamo, per esempio, Rai News
24 o BBC
World nelle edizioni on line e troviamo significativi esempi di riformattazione
dei contenuti, con la panoramica immediata di tutte le
notizie di attualità e la possibilità di consultare
gli archivi e navigare "in orizzontale" o "all'indietro",
cose impossibili con il
flusso unidirezionale della trasmissione televisiva.
Dunque, se un contenuto è destinato a più media, deve essere adattato di volta in volta al mezzo
specifico. Poi deve essere distribuito attraverso
diverse piattaforme tecnologiche e infine deve
arrivare all'utente: entra in scena il set-top-box, la
"scatola" per ricevere, interagire,
pagare... Ce ne occuperemo nella prossima puntata.
Articolo
seguente: Il set-top-box, ma non solo...
|