Carnevale, 2014
La street photography è uno dei generi più praticati dai fotoamatori e pane quotidiano per molti professionisti. Qualcuno si preoccupa di possibili violazioni delle norme sui trattamenti dei dati personali. Ma il problema, in molti casi, non c’è.

 

Street photography e privacy. Ci sono problemi?

24 ottobre 2018

Scusate il titolo anglicizzante, che serve solo per far capire al volo di che cosa si parla in questa pagina. Avrei dovuto scrivere "Fotografia stradale e protezione dei dati personali". Dove "fotografia stradale" non è solo la traduzione di  street photography, ma anche un  periodo straordinario della fotografia italiana, quello del settimanale Il Mondo, diretto dal 1949 al 1966 da Mario Pannunzio (che coniò appunto l'espressione "fotografia stradale" per descrivere il lavoro dei fotografi del periodico).

Ma oggi la fotografia stradale è diventata street photography e deve fare i conti con le norme sulla privacy. Che invece sono le norme sulla protezione dei dati personali, che ha la riservatezza delle persone come effetto secondario.

La fotografia stradale è uno dei campi più battuti della fotografia e della videografia. E' praticata soprattutto dai professionisti dell'immagine e dagli amatori "evoluti", mentre quelli che si dedicano a tutto spiano alla fototelefoninografia preferiscono gli autoritratti  (ops! i selfie) e le figurine della famiglia, gatto compreso.

Torniamo al punto: sembra che da una ventina di anni ci sia un limite alla fotografia stradale. La colpa sarebbe della normativa sul trattamento dei dati personali. Questa attività violerebbe la riservatezza delle persone ritratte e sarebbe quindi in contrasto con la normativa europea introdotta nel 1995 e riscritta nel 2016. E, a cascata, di tutte le normative nazionali che ne derivano. Il condizionale è d'obbligo e tra poco vedremo perché.

Dunque il problema è capire se, fotografando per la strada o in altri luoghi pubblici, si possono violare le norme in materia di protezione dei dati personali. La risposta è diversa se si tratta di fotografia amatoriale o professionale.

Nel caso della fotografia amatoriale la risposta è: tranquilli, non ci sono problemi. Si tratta di un'attività personale che non rientra nelle previsioni della normativa. Infatti l’articolo 2 del Regolamento europeo 679/2016, il famoso (o famigerato...) GDPR (General Data Protection Regulation) al paragrafo 2 stabilisce: "Il presente regolamento non si applica ai trattamenti di dati personali: […] c) effettuati da una persona fisica per l'esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico".

Si aggiunga che la  Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47165 del 2010 ha stabilito che riprendere ciò che è agevolmente visibile a occhio nudo non costituisce una violazione della vita privata o del domicilio.
Ci sono poi le pronunce del Garante per la protezione dei dati personali, per cui sono lecite le riprese che non ledono la dignità delle persone, purché il fotografo non impieghi "trucchi" per mascherare la sua azione o non eserciti pressioni sul soggetto ripreso.

Ancora, secondo un'autorevole opinione, la semplice fotografia di una persona non è "trattamento di dati personali", ma rientra nel "diritto all'immagine", contemplato dalla legge sul diritto d'autore. Ci sono buone ragioni per sostenere questa tesi, ma resta il fatto che l'invasività delle regole "sulla privacy", cioè sul trattamento dei dati personali, tende a viziare molti ragionamenti.

Per completare il quadro si deve aggiungere che si può parlare di "dati personali" solo se sono riferiti a una persona "identificata o identificabile". Non c'è violazione delle regole se il soggetto è un perfetto sconosciuto. Al contrario, le persone note al pubblico, come i politici o i personaggi dello spettacolo, hanno una specie di "privacy attenuata", per cui il solo limite alla pubblicazione delle loro immagini è l'eventuale violazione della dignità del soggetto ripreso.

Queste disposizioni non sono nuove. Nella legge 633 del 1941 sul diritto d'autore, si legge all'art. 97:

Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o colturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata.

Dunque non ha nulla da temere il fotografo, o videografo che riprende persone per la strada, o comunque in luoghi pubblici o aperti al pubblico, a scopo di ricerca o documentazione. O per puro diletto.

Il vero problema può sorgere dopo, con la pubblicazione di immagini sul Web, anche negli spazi apparentemente delimitati delle reti sociali. Perché in certi casi la diffusione può causare qualche forma di danno per le persone ritratte, riprese in situazioni imbarazzanti, in atteggiamenti intimi o semplicemente in compagnia di qualcuno per altri versi noto alle cronache.
Ma sono aspetti che devono essere considerati caso per caso, fermo restando che tutto ciò che è in primo luogo "documento" o "informazione" rientra nella libertà di espressione garantita dall'articolo 21 della nostra Costituzione.

La questione è diversa nei casi in cui le riprese sono effettuale nell’ambito dell’attività di un giornalista e quindi destinate alla pubblicazione. Nel campo dell'informazione professionale le norme sulla protezione dei dati personali si applicano secondo il Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica, del 1998, che potrà essere presto aggiornato per la piena applicazione del GDPR. E si deve anche rispettare la serie di altri codici o "carte" che affliggono la professione giornalistica.

Di fatto, in molti casi le disposizioni in materia di trattamento di dati personali negli organi di informazione possono determinare limiti pesanti. Tanto che c’è da chiedersi se oggi, alla luce del sistema di norme sulla professione, e in particolare di quelle sulla protezione dei dati personali, i fotografi di Life o della mitica agenzia Magnum Photos (da Robert Capa a Henry Cartier-Bresson, a David Seymur, a W. Eugene Smith…) potrebbero lavorare in Italia senza problemi.

Cartier-Bresson, per esempio, sarebbe nei guai: cercava sempre di rendersi "invisibile" per non influenzare i soggetti delle sue fotografie. Ma dal suo occhio geniale sono scaturiti formidabili documenti fotografici, anche sulla provincia italiana del dopoguerra.

In conclusione: per i fotografi "stradali" per studio o per passione non ci sono problemi, fino a quando l'eventuale pubblicazione non danneggia qualcuno.
Invece ai professionisti si consiglia di "leggere bene le avvertenze".
E a tutti, in particolare ai legislatori, si consiglia di riflettere sul difficile equilibrio tra tutela della vita privata – che riguarda singole persone – e libertà di manifestazione del pensiero – che riguarda tutti ed è fondamento della democrazia.

Nota. Per un approccio pratico al tema, vedi "The Street Photographer Rights In Italy. The Leaflet" di Andrea Monti (avvocato e fotografo di talento).

 

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