Scusate il titolo
anglicizzante, che serve solo per far
capire al volo di che cosa si parla in
questa pagina. Avrei dovuto scrivere
"Fotografia stradale e protezione dei
dati personali". Dove
"fotografia stradale" non è
solo la traduzione di street
photography, ma anche un periodo
straordinario della fotografia italiana,
quello del settimanale Il Mondo,
diretto dal 1949 al 1966 da Mario Pannunzio (che
coniò appunto l'espressione
"fotografia stradale" per
descrivere il lavoro dei fotografi del
periodico).
Ma oggi la fotografia stradale è
diventata street photography e deve
fare i conti con le norme sulla privacy.
Che invece sono le norme sulla protezione
dei dati personali, che ha la riservatezza
delle persone come effetto secondario.
La fotografia stradale è uno dei campi più
battuti della fotografia e della
videografia. E' praticata soprattutto dai professionisti
dell'immagine e dagli amatori
"evoluti", mentre quelli che si
dedicano a tutto spiano alla
fototelefoninografia preferiscono gli
autoritratti (ops! i selfie)
e le figurine della famiglia, gatto
compreso.
Torniamo al punto: sembra che da una ventina di anni
ci
sia un limite alla fotografia stradale. La
colpa sarebbe della normativa sul trattamento dei dati
personali. Questa attività violerebbe la riservatezza delle persone
ritratte e sarebbe quindi in contrasto con la
normativa europea introdotta nel 1995 e
riscritta nel 2016. E, a cascata, di
tutte le normative nazionali che ne derivano. Il
condizionale è d'obbligo e tra poco
vedremo perché.
Dunque il problema è capire se, fotografando per la
strada o in altri luoghi pubblici, si
possono violare le norme in materia di
protezione dei dati personali. La risposta
è diversa se si tratta di
fotografia amatoriale o professionale.
Nel caso della fotografia amatoriale la risposta è:
tranquilli, non ci sono problemi. Si tratta di un'attività personale che
non rientra nelle previsioni della
normativa. Infatti l’articolo 2 del Regolamento europeo 679/2016,
il famoso (o famigerato...) GDPR (General
Data Protection Regulation) al paragrafo 2
stabilisce: "Il presente regolamento non si applica ai
trattamenti di dati personali: […] c) effettuati da una persona
fisica per l'esercizio di attività a carattere esclusivamente
personale o domestico".
Si aggiunga che la Corte di Cassazione, con la sentenza
n. 47165 del 2010 ha stabilito che riprendere ciò che è agevolmente visibile a
occhio nudo non costituisce una violazione della vita privata o del
domicilio.
Ci sono poi le pronunce del Garante per la protezione dei dati
personali, per cui sono lecite le riprese che non ledono la
dignità delle persone, purché il fotografo non impieghi
"trucchi" per mascherare la sua azione o non eserciti
pressioni sul soggetto ripreso.
Ancora, secondo un'autorevole opinione,
la semplice fotografia di una persona non è
"trattamento di dati personali",
ma rientra nel "diritto
all'immagine", contemplato dalla legge
sul diritto d'autore. Ci sono buone
ragioni per sostenere questa tesi, ma
resta il fatto che l'invasività delle
regole "sulla privacy", cioè
sul trattamento dei dati personali, tende a viziare molti
ragionamenti.
Per completare il quadro si deve
aggiungere che si può parlare di
"dati personali" solo se sono
riferiti a una persona "identificata
o identificabile". Non c'è
violazione delle regole se il soggetto è
un perfetto sconosciuto. Al contrario, le
persone note al pubblico, come i politici
o i personaggi dello spettacolo, hanno una
specie di "privacy attenuata",
per cui il solo limite alla pubblicazione
delle loro immagini è l'eventuale violazione della dignità del soggetto
ripreso.
Queste disposizioni non sono nuove.
Nella legge 633 del 1941 sul diritto
d'autore, si legge all'art. 97:
Non occorre il consenso
della persona ritrattata quando la
riproduzione dell'immagine è giustificata
dalla notorietà o dall'ufficio pubblico
coperto, da necessità di giustizia o di
polizia, da scopi scientifici, didattici o
colturali, o quando la riproduzione è
collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie
di interesse pubblico o svoltisi in
pubblico.
Il ritratto non può tuttavia essere
esposto o messo in commercio, quando
l'esposizione o messa in commercio rechi
pregiudizio all'onore, alla reputazione od
anche al decoro della persona ritrattata.
Dunque non ha nulla da temere il fotografo,
o videografo che riprende persone per la
strada, o comunque in luoghi pubblici o aperti al pubblico, a scopo
di ricerca o documentazione. O per puro diletto.
Il vero problema può sorgere dopo, con la pubblicazione di immagini sul Web, anche
negli spazi apparentemente delimitati delle reti sociali. Perché in
certi casi la diffusione può causare qualche forma di
danno per le persone ritratte,
riprese in situazioni imbarazzanti, in
atteggiamenti intimi o semplicemente in compagnia di qualcuno per altri
versi noto alle cronache.
Ma sono aspetti che devono essere considerati caso per caso,
fermo restando che tutto ciò che è in
primo luogo "documento" o "informazione" rientra nella libertà di
espressione garantita dall'articolo 21 della nostra Costituzione.
La questione è diversa nei casi in cui le riprese
sono effettuale nell’ambito dell’attività di
un giornalista e quindi destinate alla pubblicazione. Nel campo
dell'informazione professionale le norme sulla protezione dei dati personali si
applicano secondo il Codice di
deontologia relativo al trattamento dei dati personali
nell'esercizio dell'attività giornalistica, del 1998, che potrà essere presto aggiornato per la piena applicazione del GDPR. E
si deve anche rispettare la serie di altri codici o "carte" che affliggono la professione
giornalistica.
Di fatto, in molti casi le disposizioni
in materia di trattamento di dati
personali negli organi di informazione possono determinare limiti pesanti. Tanto che c’è da chiedersi se oggi, alla luce del
sistema di norme sulla professione, e in particolare di quelle sulla protezione dei dati personali, i fotografi di
Life o della mitica agenzia Magnum Photos (da Robert Capa a Henry
Cartier-Bresson, a David Seymur, a W. Eugene Smith…) potrebbero
lavorare in Italia senza problemi.
Cartier-Bresson, per esempio,
sarebbe nei guai: cercava sempre di rendersi
"invisibile" per non influenzare i soggetti delle sue
fotografie. Ma dal suo occhio geniale sono scaturiti formidabili documenti
fotografici, anche sulla provincia italiana del dopoguerra.
In conclusione: per i fotografi "stradali" per studio o
per passione non ci sono problemi, fino a quando l'eventuale pubblicazione non danneggia qualcuno.
Invece ai professionisti si
consiglia di "leggere bene le avvertenze".
E a tutti, in particolare ai legislatori, si consiglia di riflettere
sul difficile equilibrio tra tutela della vita privata – che
riguarda singole persone – e libertà di manifestazione del pensiero
– che riguarda tutti ed è fondamento della democrazia.
Nota. Per un approccio pratico al tema,
vedi "The Street Photographer Rights In Italy. The Leaflet"
di Andrea Monti (avvocato e fotografo di talento).
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