La mia tecnica è
sempre la stessa: non cerco di nascondermi (impresa difficile,
fra l'altro, con la mia statura). Guardo in faccia le persone
e, se qualcuno restituisce lo sguardo, sorrido. Così è tutto
più facile. Chi non vuole essere ripreso si sottrae alla
vista e all'obiettivo. Qualcuno si mette in posa, e anche
queste fotografie sono documenti.
Alla fine dei conti, con questo modo di fotografare sono
anche io parte dell'ambiente ripreso. Parlo con le persone,
scherzo, annoto l'indirizzo di chi chiede una copia (e poi
gliela mando). Allora era un indirizzo postale, oggi è una
email e tutto è più semplice.
Però oggi mi piacerebbe ritornare là, alla piscarìa,
con la videocamera.
Perché la fotografia può rendere solo in piccola parte le
sensazioni sonore di un luogo come questo, dove le grida dei
venditori si mescolano e rimbombano sotto le volte basse. In
un baccano pazzesco, più forte di quello di un suq arabo.
Immagini fisse e inquadrature in movimento, immagini mute
(dove il suono è solo suggerito) e sequenze sonore sono modi
diversi di raccontare, anche se la storia è la stessa.
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