REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare
RUPERTO
Presidente
- Riccardo
CHIEPPA
Giudice
- Gustavo
ZAGREBELSKY
"
- Valerio
ONIDA
"
- Carlo
MEZZANOTTE
"
- Fernanda
CONTRI
"
- Guido
NEPPI MODONA
"
- Piero Alberto
CAPOTOSTI
"
- Annibale
MARINI
"
- Franco
BILE
"
- Giovanni Maria
FLICK
"
- Francesco
AMIRANTE
"
- Ugo
DE SIERVO
"
- Romano
VACCARELLA
"
- Paolo
MADDALENA
"
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, e
dell'art. 3, commi 6 e 7, della legge 31 luglio 1997,
n. 249 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle
telecomunicazioni e radiotelevisivo), promosso con
ordinanza emessa il 31 gennaio 2001 dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio sul ricorso
proposto da Adusbef-Associazione
utenti e consumatori ed altri contro
la Presidenza
del Consiglio dei ministri ed altri, iscritta al n.
374 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie
speciale, dell'anno 2001.
Visti gli atti di costituzione di Adusbef,
di Centro Europa 7 s.r.l.,
di Rete A s.r.l., di TV
Internazionale s.p.a. ed altra, di Prima TV s.p.a. ed
altra, di R.T.I.-Reti
Televisive Italiane s.p.a. e della
Rai-Radiotelevisione Italiana s.p.a.,
nonché l'atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri.
Udito nell'udienza pubblica dell'8 ottobre 2002 il Giudice
relatore Riccardo Chieppa;
uditi gli
avvocati Massimo Cerniglia
per Adusbef, Giuseppe
Oneglia, Renzo Vistarini e
Raffaele Izzo per Centro
Europa 7 s.r.l., Federico Sorrentino per Rete A s.r.l., Piero D'Amelio per TV
Internazionale s.p.a. ed altra, Felice Vaccaro e Giuseppe Morbidelli per Prima TV s.p.a.
ed altra, Aldo Bonomo, Aldo Frignani
e Luigi Medugno per R.T.I.-Reti Televisive Italiane s.p.a., Filippo Satta per
la RAI-Radiotelevisione Italiana
s.p.a. e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.— Con ricorso del 25 ottobre
1999 l
'Adusbef-Associazione
utenti e consumatori,
la Tbs-Television
Broadcasting
System s.p.a, il Cnt-Coordinamento nazionale
televisioni, il Comitato per la tutela dei diritti
della libera manifestazione del pensiero e del
pluralismo e l’Associazione utenti televisivi adivano
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio
chiedendo l’annullamento: 1) dei provvedimenti,
emessi in data 30 luglio 1999 (rectius:
28 luglio 1999), dal Ministro delle comunicazioni di
rilascio delle concessioni ed autorizzazioni per la
radiodiffusione televisiva privata in ambito nazionale
su frequenze terrestri; 2) del regolamento per il
rilascio delle suddette concessioni, approvato con
deliberazione 1° dicembre 1998 dall’Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni (Agcom);
3) del regolamento e del disciplinare per il
funzionamento della Commissione per la determinazione
degli aventi diritto alle concessioni; 4) dei
provvedimenti di negazione del diritto di accesso.
Nel corso di tale giudizio, il Tar
adito ha sollevato, con ordinanza 31 gennaio 2001,
questione incidentale di legittimità costituzionale
dell'art. 2, comma 6, e dell'art. 3, commi 6 e 7,
della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione
dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e
norme sui sistemi delle telecomunicazioni e
radiotelevisivo), in
riferimento agli artt. 3,
21, 136, nonché, nella
sola motivazione, all'art. 41 della Costituzione.
2.— Osserva il Tribunale rimettente che le norme
impugnate, pur prescrivendo, in ossequio a quanto
statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
420 del 1994, che non è consentito ad uno stesso
soggetto di irradiare più del 20% dei programmi
televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale,
hanno poi demandato all’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni di "stabilire un periodo
transitorio nel quale non vengono
applicati i limiti" suddetti (art. 2, comma 6);
più in particolare, continua il giudice a quo,
l’art. 3, comma 6, consentirebbe l’esercizio delle
reti eccedenti "a condizione che le trasmissioni
siano effettuate contemporaneamente su frequenze
terrestri e via satellite o via cavo", nonché
"esclusivamente via cavo o via satellite",
dopo lo spirare del termine che l’Autorità —
"in relazione all’effettivo e congruo sviluppo
dell’utenza dei programmi radiotelevisivi via
satellite e via cavo" — avrebbe indicato (art.
3, comma 7).
Il descritto assetto normativo avrebbe determinato,
secondo il Tar, una evidente violazione dei
principi della ragionevolezza, del pluralismo nella
manifestazione del pensiero e della libertà di
iniziativa economica, così come affermati dalla
citata sentenza n.
420 del 1994, il cui contenuto risulterebbe,
quindi, palesemente eluso, con l'ulteriore violazione
dell’art. 136 della Costituzione. Le disposizioni
legislative denunciate, attribuendo, infatti,
all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni un
potere non delimitato nel tempo, consentirebbero
l’indefinita protrazione del regime televisivo
giudicato incostituzionale.
3.— Il Tar ritiene
che le questioni sollevate siano rilevanti per
la definizione del giudizio instaurato, sottolineando che l’insieme
degli atti impugnati sarebbe stato adottato nella
vigenza del predetto regime transitorio. Il rilascio
delle concessioni sarebbe avvenuto, pertanto,
utilizzando "le risorse quali risultavano
disponibili dopo aver assicurato, in applicazione
della normativa impugnata, la continuità della
gestione alle imprese che superavano il predetto
limite", con la conseguenza che, ove il detto
regime transitorio venisse caducato,
"risulterebbe incrementata la disponibilità di
frequenze da assegnare ad altri aspiranti, con
evidente beneficio del pluralismo nella manifestazione
del pensiero e nell’informazione".
4.— Le questioni di costituzionalità sono
ritenute dal giudice a quo non manifestamente
infondate in
riferimento agli artt. 3,
21 e 136 della Costituzione, nonché
in riferimento al principio della libertà di
iniziativa economica, richiamato nella sola
motivazione dell'ordinanza.
Il collegio rimettente sottolinea,
a tal proposito, che la richiamata sentenza n.
420 del 1994 avrebbe consentito la protrazione —
limitatamente al periodo transitorio indicato dal
decreto-legge 27 agosto 1993, n. 323 (Provvedimenti
urgenti in materia radiotelevisiva) — del regime
previsto dall’art. 15, comma 4, della legge 6 agosto
1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo
pubblico e privato), dalla stessa sentenza giudicato
incostituzionale, nonché la provvisoria
legittimazione dei concessionari a proseguire
nell’attività di trasmissione, così escludendosi
un "vuoto" normativo.
Tale periodo, che non avrebbe dovuto superare la
data dell’agosto del 1996, è stato prorogato fino
al 31 luglio del 1997 dal decreto-legge 23 ottobre
1996, n. 545 (Disposizioni urgenti per l'esercizio
dell'attività radiotelevisiva), convertito, con
modificazioni, nella legge 23 dicembre 1996, n. 650.
La legge n. 249 del 1997, anziché sancire —
prosegue il collegio rimettente — il definitivo
superamento del precedente assetto normativo
dichiarato incostituzionale, avrebbe rinviato ad una
data imprecisata l’efficacia dei limiti anticoncentrativi dalla stessa previsti, con
consequenziale violazione degli artt.
3 e 21 della Costituzione, nonché
dell’art. 136 per elusione
del giudicato costituzionale di cui alla citata
sentenza n.
420 del 1994.
Il collegio rimettente conclude
ritenendo non condivisibili i rilievi prospettati dai controinteressati, secondo i
quali, da un lato, il legislatore conserverebbe un
ampio margine di discrezionalità nel graduare nel
tempo trasformazioni coinvolgenti rilevanti interessi,
dall’altro sarebbe pienamente legittimo il
conferimento di poteri regolatori ad un'Autorità
amministrativa indipendente, al fine di determinare il
momento più opportuno per la transizione dal regime
provvisorio a quello definitivo. Osserva, infatti, il Tar del Lazio che "la
sentenza n.
420 del 1994 ha già accordato al legislatore una
moratoria di circa due anni, inutilmente decorsa ed
illegittimamente dilatata", e che "degli
istituti invocati dalle parti resistenti non può
farsi un uso strumentale, che si risolva nella grave
lesione del giudicato costituzionale e nella plateale
violazione dei principi in esso
affermati".
5.— E’ intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, nella persona dell'avvocato
Giorgio D'Amato, deducendo l’inammissibilità e
l’infondatezza della questione sollevata.
In particolare, si sostiene l’inammissibilità
per difetto di rilevanza sulla base del
seguente ordine di motivi:
a) l’ordinanza di rimessione
fonderebbe il giudizio di rilevanza sull’erroneo
presupposto dell’impugnazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze
per la radiodiffusione televisiva, rimasto, invece,
"estraneo" all’oggetto del giudizio a
quo;
b) il Tar assumerebbe
erroneamente che le concessioni sarebbero state
rilasciate utilizzando le risorse disponibili rimaste
libere dopo aver assicurato la continuità della
gestione alle "reti eccedenti".
L’affermazione sarebbe, secondo la difesa erariale,
non corretta, in quanto tutte le frequenze destinate
al servizio di radiodiffusione televisiva dal piano
nazionale di ripartizione delle frequenze
adottato dal Ministro delle
comunicazioni sono state assegnate dal piano
elaborato dall’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni. L’eventuale caducazione
del regime transitorio censurato non potrebbe
comportare, pertanto, l’incremento della
disponibilità di frequenze da attribuire ad altri
aspiranti, come ritenuto, invece, dal giudice
rimettente;
c) quest’ultimo,
inoltre, considererebbe applicabile
alla fattispecie oggetto del giudizio il comma
6 dell’art. 2 della legge n. 249 del 1997. La
predetta disposizione, rileva l’Avvocatura, si indirizza, viceversa, ai soli
programmi in tecnica digitale (o numerica) e non anche
a quelli trasmessi in tecnica analogica, che
sono gli unici ad essere presi in considerazione dai
provvedimenti impugnati.
Inoltre, il medesimo art. 2, comma 6, quando
menziona le "autorizzazioni" si
riferirebbe esclusivamente ai provvedimenti autorizzatori rilasciati
sia per la ripetizione di segnali di
emittenti estere o della concessionaria
pubblica di cui agli artt.
38 e 43 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove
norme in materia di diffusione radiofonica e
televisiva), sia per i trasferimenti di proprietà di
società esercenti l’attività radiotelevisiva di
cui all’art. 1, comma 6,
lettera c), numero 13, della stessa legge n.
249 del 1997. La norma, dunque, non disciplinerebbe la
situazione delle reti eccedenti, per l’esercizio
delle quali non occorrerebbe alcuna
autorizzazione ministeriale.
L’Avvocatura generale dello Stato conclude le proprie
argomentazioni difensive, in punto di rilevanza,
ritenendo la questione sollevata astratta perché non
strumentale alla tutela delle posizioni soggettive
azionate nel giudizio.
Sotto altro profilo, la difesa dello Stato deduce
l’inammissibilità della questione sollevata, in
quanto il suo accoglimento inciderebbe sulla scelta
legislativa di determinare le modalità di messa a
regime del sistema misto disciplinato dalla legge
censurata.
6.— Nel merito, l’Avvocatura sostiene
l’infondatezza delle censure con riferimento
a tutti i parametri costituzionali evocati.
Il rimettente non avrebbe, infatti, spiegato le
ragioni dell’asserita violazione dei principi del pluralismo e di
ragionevolezza, limitandosi a richiamare l’ordine
delle argomentazioni sviluppato nella sentenza n.
420 del 1994.
Il richiamo sarebbe non corretto, nella prospettiva della difesa
erariale, secondo la quale l'attuale giudizio si
svolgerebbe sotto la vigenza di un diverso assetto
normativo che, in ossequio alle prescrizioni
contenute nella predetta decisione, avrebbe limitato
il numero delle reti assentibili ad uno stesso
operatore privato (art. 2, comma 6).
Ad avviso dell'Avvocatura la disciplina contenuta
nell’art. 3, commi 6 e 7, non potrebbe protrarre,
senza soluzione di continuità, il regime transitorio
precedente il 1997. La
norma, infatti, risponderebbe ad una logica coerente
con il differente scenario normativo e tecnico (legato
alla rivoluzione digitale e al processo di convergenza
in atto) nel quale si applicherebbe.
La rapida evoluzione tecnologica, conclude l’Avvocatura, ha
portato di recente il legislatore a differire, con
decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5 (Disposizioni
urgenti per il differimento di termini in materia di
trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali,
nonché per il risanamento di impianti
radiotelevisivi), convertito, con modificazioni, nella
legge 20 marzo 2001, n. 66, i termini per il rilascio
delle concessioni per la radiodiffusione televisiva
privata in ambito locale su frequenze terrestri in
tecnica analogica. Ciò al fine di
favorire, senza gravosi oneri di riconversione e
ristrutturazione, il migliore e più rapido passaggio
ad un sistema di trasmissione in tecnica
digitale.
7.— E’ intervenuta nel giudizio l’Adusbef-Associazione
utenti e consumatori, rappresentata e difesa
dall'avvocato Massimo Cerniglia,
chiedendo l’accoglimento della sollevata questione
di legittimità costituzionale, con richiamo alle
argomentazioni già contenute nell’ordinanza del Tar.
8.— Si è costituita
la RAI-Radiotelevisione
Italiana
s.p.a., rappresentata e
difesa dall'avvocato Filippo Satta,
sostenendo che la questione, nei termini prospettati
dall’ordinanza di rimessione,
non è fondata.
In particolare, la società deducente
ha contestato che la disciplina contenuta nella legge
n. 249 del 1997 possa
essere qualificata quale proroga pura e semplice del
regime transitorio instaurato con il decreto-legge n.
323 del 1993, e proseguito con l’emanazione del
decreto-legge n. 545 del 1996. La suddetta legge
avendo introdotto, infatti, una nuova e più
restrittiva disciplina antitrust, con
fissazione al 20% del limite anticoncentrativo, si
sarebbe adeguata ai principi affermati dalla sentenza n.
420 del 1994.
La previsione, poi, di un regime transitorio di
deroga al suddetto limite risponderebbe, secondo la
difesa della RAI, alla
profonda e coerente razionalità di consentire agli
operatori privati "eccedenti" di continuare
in questa fase di transizione a trasmettere in simulcast, in
attesa che la maturazione del mercato satellitare
consenta di riversare sullo stesso l’intera attività
radiodiffusiva, con
conseguente possibilità di cedere a terzi la
concessione terrestre eccedentaria
"in maniera industrialmente ed economicamente
indolore".
Quanto all’assunta violazione dell’art. 21
della Costituzione, la difesa della
RAI sottolinea che la riduzione di un operatore
in eccedenza non sarebbe da sola sufficiente ad
assicurare il pluralismo. Una disciplina
antimonopolistica che intenda
garantire il pluralismo esterno non potrebbe
prescindere, si sostiene, dalla concreta situazione
del mercato assoggettato a controllo. In questa
prospettiva assumerebbe valenza determinante
la valutazione del bacino di utenza coperto dal
gestore, a prescindere dal numero delle reti
televisive possedute.
La difesa della concessionaria del servizio
pubblico conclude
affermando che le condizioni per la trasformazione del
settore radiotelevisivo sarebbero ormai mature.
L’innovazione tecnologica numerica terrestre consentirà
un aumento illimitato della disponibilità di
radiofrequenze assegnabili, con conseguente
accentuazione del pluralismo informativo.
La stessa Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni avrebbe confermato, secondo la difesa della RAI, l’avvenuto mutamento
della situazione del mercato, affermando, con
deliberazione 13 giugno del 2000, n. 365, che
l’istruttoria volta ad accertare la sussistenza
delle condizioni per l’adozione della misura anticoncentrativa di cui
all’art. 3, commi 6 e 7, è oramai pressoché
conclusa.
9.— Si è costituita in giudizio la società
Rete A s.r.l., rappresentata e difesa
dall'avvocato Federico Sorrentino,
chiedendo l’accoglimento della questione sollevata.
In via preliminare, viene
ribadita la sussistenza della rilevanza delle
sollevate questioni atteso che l’accoglimento delle
stesse condurrebbe non solo all’annullamento delle
autorizzazioni rilasciate alle reti eccedenti, ma
finirebbe anche per incidere sui criteri seguiti
dall’Agcom
nell’assegnazione delle frequenze e nella stessa
determinazione del numero delle reti a copertura
nazionale.
Nel merito, la società deducente
osserva, innanzitutto, che
la normativa impugnata, non rispettando le
prescrizioni contenute nella sentenza n.
420 del 1994, violerebbe l’art. 136 della
Costituzione.
In ordine all’inosservanza
dell’art. 21 della Costituzione, la difesa della
parte sostiene che la disciplina censurata,
consentendo il superamento dei limiti anticoncentrativi per un periodo
di tempo indeterminato, si porrebbe in netto contrasto
con il principio del pluralismo informativo. Né
varrebbe l’obiezione relativa
alla valenza temporanea delle disposizioni in
esame. Rileva la difesa di Rete A che già in altre
occasioni
la Corte
ha salvato la normativa radiotelevisiva da una
declaratoria di incostituzionalità
facendo leva sulla assunta transitorietà della
stessa, cui, però, non sarebbe mai seguita una
disciplina conforme alle indicazioni costituzionali.
La durata del periodo transitorio — legata ad una
valutazione discrezionale dell’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni — sarebbe, nella prospettiva della
esponente, guidata dall’esigenza di assicurare il
passaggio al sistema satellitare o via cavo senza
alcuna perdita economica per il soggetto interessato,
al fine di tutelare le imprese operanti in violazione
delle regole anticoncentrazione, relegando sullo
sfondo l'esigenza — in realtà primaria — di
garantire il rispetto del principio del pluralismo
informativo.
La società conclude le
proprie argomentazioni difensive sottolineando la
necessità che
la Corte
estenda, in via consequenziale, la dichiarazione di
illegittimità costituzionale anche all’art. 3,
comma 11, quarto periodo, della legge n. 249 del 1997.
Tale disposizione attribuirebbe, infatti,
all’Autorità lo stesso potere discrezionale nella
determinazione del periodo di permanenza nell’etere
anche della seconda emittente criptata
(Tele+Nero).
10.— Si è costituita la società R.T.I.-Reti Televisive Italiane s.p.a.,
rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Bonomo,
Aldo Frignani, Luigi Medugno e Avilio
Presutti, eccependo, in
via preliminare, l’inammissibilità per irrilevanza
delle sollevate questioni per le stesse motivazioni
illustrate dalla difesa erariale. La deducente, sul punto, aggiunge
che, allo stato, nessuna delle reti in esercizio è
assegnataria di frequenze, che verranno
determinate nell’ulteriore fase di progettazione,
rinviata, secondo quanto previsto negli atti di
concessione, al termine di 24 mesi dal 31 luglio 1999,
con possibilità di proroga.
Il problema dell’uso e della giusta distribuzione
della provvista di
frequenze disponibili potrà, pertanto, divenire
attuale soltanto alla scadenza del predetto termine;
anche se — sempre secondo la difesa di R.T.I. — il sopravvenuto
accantonamento del piano analogico per effetto
dell’art. 2-bis della legge n. 66 del 2001
renderà vana qualunque attesa.
Nel merito, si sostiene la manifesta infondatezza
della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 6, della legge n. 249 del 1997,
che fissando il limite anticoncentrativo
del 20%, avrebbe recepito
puntualmente il dettato della sentenza n.
420 del 1994.
Ad avviso della società R.T.I., la prospettata questione di
incostituzionalità dell’art. 3, commi 6 e 7,
sarebbe anch’essa manifestamente infondata.
La disciplina transitoria, infatti, risulterebbe legittima per un
duplice ordine di motivi. Innanzitutto,
perché garantirebbe il principio del pluralismo
informativo, impedendo l’estinzione di una emittente
nazionale, cui non potrebbe seguire il subingresso di un nuovo
operatore privato. In secondo
luogo, perché alla stessa rete "eccedente"
il legislatore avrebbe attribuito un ruolo di traino
verso la maggiore diversificazione dei mezzi di
trasmissione, funzionale al più rapido sviluppo della
tecnologia digitale.
La normativa transitoria, conclude
l’esponente, non potrebbe essere considerata come
mera prosecuzione temporale del regime giuridico
esistente prima della sentenza n.
420 del 1994. L’emittente "fuori
limite" (identificata in Retequattro)
svolgerebbe, infatti, rispetto al passato, la sua
attività di trasmissione via etere sulla base di un titolo non
stabile, con consequenziali ripercussioni
sull’intera fisionomia dell’attività di impresa
dalla stessa svolta.
La società sottolinea,
infine, che la preoccupazione manifestata dal giudice
rimettente di una indefinita protrazione
dell’attuale sistema regolamentare per lo stato
dell’evoluzione tecnologica sarebbe sconfessata
dall’attività posta in essere dall’Autorità di
settore e dalle recenti novità normative.
Nella deliberazione n. 365 del 2000 (sopra citata)
l’Autorità ha, infatti, ritenuto pressoché
conclusa l’istruttoria sulla misura anticoncentrativa ad essa demandata dal legislatore ex
art. 3, commi 6 e 7.
Il decreto-legge n. 5 del
2001 ha
previsto il rilascio delle licenze e delle
autorizzazioni per le trasmissioni digitali — da
parte del Ministero per le comunicazioni — in base
ad un regolamento da adottarsi, dall'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni, entro il 30 giugno 2001.
11.— Si sono costituite le società TV
Internazionale s.p.a e
Beta Television s.r.l.,
rappresentate e difese dagli avvocati Alessandro Pace,
Piero D'Amelio e Ottavio Grandinetti,
chiedendo l’accoglimento delle sollevate questioni
di legittimità costituzionale.
Le disposizioni impugnate — evidenzia
la difesa delle predette società — realizzerebbero
una protrazione, con aggravio, del precedente assetto
normativo giudicato incostituzionale dalla sentenza n.
420 del 1994. L’attuale piano di assegnazione delle frequenze
consentirebbe, infatti, la concentrazione in capo ad
un unico operatore privato di tre reti sulle undici (e
non più dodici) complessivamente pianificate.
L’occupazione illegittima da parte delle tre reti
R.T.I. di un cospicuo
numero di radiofrequenze terrestri impedirebbe,
inoltre, di ridurre l’attuale disparità di
trattamento esistente tra queste ultime e le altre
reti nazionali nella copertura televisiva via
etere terrestre.
La difesa delle società afferma che la mancanza di
un parametro normativamente
stabilito, secondo i principi propri della riserva di
legge, nella definizione del potere attribuito
all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
confermerebbe la illegittimità
delle norme denunciate.
I deducenti sostengono,
infine, che dovrebbe essere dichiarata
l’incostituzionalità consequenziale dell’art. 3, comma 11, della
stessa legge n. 249 del 1997, il quale, pur
prescrivendo che "nessun soggetto può essere
destinatario di più di una concessione televisiva su
frequenze terrestri in ambito nazionale per la
trasmissione di programmi in forma codificata",
vanificherebbe tale divieto consentendo il permanente
utilizzo della seconda rete criptata,
sia pure in via provvisoria, "alle stesse
condizioni e termini previsti dai commi 6 e 7"
dello stesso articolo.
Nello svolgimento delle successive argomentazioni
difensive sul punto, le società assumono
l’incostituzionalità non soltanto della disciplina
"provvisoria" delle trasmissioni codificate,
ma anche di quella "a regime". La ragione
sarebbe insita nella stessa natura limitata delle
frequenze radioelettriche, che non potrebbero, in
quanto tali, essere assegnate ad emittenti criptate. Tale assegnazione
ridurrebbe, infatti, inevitabilmente il numero delle opzioni informative disponibili
per quei cittadini che non intendessero sottoscrivere
un abbonamento ad una pay-tv.
La scelta legislativa risulterebbe, pertanto, ad
avviso delle esponenti, irrazionale e lesiva del
pluralismo, nonché
"in contrasto con i limiti dell’utilità
sociale e dell’interesse generale, i quali, ai sensi
degli artt. 41 e 42, primo comma, seconda
parte, della Costituzione, devono caratterizzare la
disciplina dei beni (come l'etere) assoggettati al
governo dello Stato".
Ancora secondo la difesa della società
la gravità dell’espediente legislativo volto
a neutralizzare i divieti contenuti, rispettivamente,
nell’art. 2, comma 6, e nell’art. 3, comma 11, si
misurerebbe alla luce della previsione, contenuta
nell’art. 17, comma 2, del regolamento per il
rilascio delle concessioni, dell’eventuale
"subentro" di un terzo interessato nella
posizione "utile" occupata in graduatoria da
"Retequattro" e
da "Tele+ Nero",
qualora "entro il termine di cui ai commi
6 e 7 dell’art. 3 della legge risultino rimosse le
condizioni ostative all’esercizio, sulle frequenze
terrestri in tecnica analogica, delle reti
eccedenti". Il che
dovrebbe consentire la possibilità di un eventuale
subentro "in soprannumero" da parte di un
terzo acquirente, con la grave conseguenza di impedire
l’attuazione delle concessioni rilasciate nel luglio
del 1999. Non si potrebbe, infatti, così
trasferire alle altre emittenti le frequenze
"necessarie" per la copertura del
territorio.
12.— Si sono costituite le società Prima TV
s.p.a. ed Europa TV s.p.a., rappresentate e difese dagli
avvocati Roberto Afeltra e
Felice Vaccaro, le quali,
in via preliminare, chiedono che
la Corte
dichiari inammissibili le questioni per difetto di
rilevanza. La sopravvivenza transitoria delle due reti
eccedenti non avrebbe, infatti, causato una minore
disponibilità di frequenze assegnabili. Sul punto vengono sviluppate argomentazioni
difensive analoghe svolte dall’Avvocatura generale
dello Stato e dalla società R.T.I.
Nel merito, le predette società deducono
l'infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 6, della legge n.
249 del 1997, atteso che le Tele+
non avrebbero mai debordato
dal limite anticoncentrativo
del 20%.
Quanto alla violazione dell’art. 3, commi 6 e 7,
della stessa legge, le esponenti evidenziano, con
argomentazioni analoghe a quelle esposte dalla società
R.T.I.,
il pericolo di estinzione di una emittente nazionale
senza contestuale aumento del pluralismo informativo.
13. — Si è costituita la società Centro Europa 7 s.r.l., rappresentata e difesa
dagli avvocati Giuseppe Oneglia, Renzo Vistarini e Raffaele Izzo, ripercorrendo l’iter motivazionale
dell’ordinanza del Tar e
condividendo le censure di incostituzionalità
sollevate. La società aggiunge che l’attuale
normativa di settore le impedirebbe di utilizzare
concretamente le frequenze che le sono state assegnate
nella fase di pianificazione, e conclude
per l'accoglimento delle questioni sollevate.
14.— Nell'imminenza dell’udienza pubblica del 6
novembre 2001, sono state depositate ulteriori memorie difensive.
L’Avvocatura generale dello Stato ribadisce l’erronea valutazione
della rilevanza effettuata dal giudice rimettente,
aggiungendo che esula dall’oggetto della questione
sollevata dal Tar
qualunque valutazione attinente alla non equivalente
copertura del territorio nazionale da parte delle
reti, così come eventuali illegittimità dei
provvedimenti amministrativi adottati.
Si precisa, ad ogni modo, che l’eventuale caducazione delle norme
impugnate non determinerebbe un incremento della
disponibilità di frequenze per gli altri
concessionari, atteso che: a) le frequenze occupate
dalla rete "eccedente" non sarebbero
corrispondenti a quelle di una rete configurata nel
piano; b) non si potrebbe effettuare
una assegnazione provvisoria in mancanza di specifica
indicazione del piano stesso.
La difesa erariale evidenzia, inoltre, che una eventuale sentenza di
accoglimento inciderebbe negativamente sul c.d. piano
di "disarmo bilanciato" predisposto dal
legislatore del 1997, che vorrebbe una contestuale
attuazione delle norme di cui all'art. 3, commi 6, 7 e
9, della legge n. 249 del 1997 (quest’ultimo
comma è relativo al programma di ristrutturazione di
una delle reti della RAI in una emittente che non può
avvalersi di risorse pubblicitarie).
Nel merito, l’Avvocatura si sofferma ampiamente
sulla nuova tecnica di trasmissione digitale per
evidenziare che l’aumento del numero dei programmi
irradiabili non può non avere una ricaduta sui
criteri di adeguamento ai
principi costituzionali in materia.
Il nuovo scenario digitale riceverà completa
definizione, continua la difesa erariale, entro
l’anno 2006, secondo quanto disposto dall’art. 2-bis,
comma 5, della legge n. 66 del 2001; medio tempore verrà
consentita la sperimentazione della diversa tecnica di
trasmissione con obbligo dei soggetti titolari di più
di una concessione di riservare almeno il 40% della
capacità di trasmissione di ciascun blocco di
programmi ad altri operatori. Riferisce sempre
l'Avvocatura che l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, con deliberazione del 7 agosto 2001, n.
346, sulla base della predetta normativa e all’esito
di approfondite analisi di
mercato, ha fissato il termine del 31 dicembre 2003
per il definitivo abbandono dell’etere terrestre da
parte delle reti eccedenti, con riserva di rivedere il
termine stesso entro il 31 gennaio 2003, prevedendo
che alla data per prima indicata, almeno il 50% della
popolazione sarà in grado di ricevere segnali
televisivi digitali e satellitari.
Per le esposte ragioni, l’Avvocatura conclude, anche alla luce delle
menzionate novità legislative e provvedimentali,
nel senso della inammissibilità o infondatezza della
questione sollevata.
15.— La difesa della RAI
s.p.a. si richiama anch’essa al contenuto della
legge n. 66 del 2001 e al provvedimento n. 346 del
2001 dell’Autorità per evidenziare come la soglia
del 50% — ritenuta dall’Agcom
stessa un giusto "bilanciamento tra la necessità
di procedere ad una rapida deconcentrazione e le
esigenze economiche delle imprese" — appaia
rispondente ai criteri di ragionevolezza e
proporzionalità.
Dopo aver sottolineato
la natura del tutto eterogenea della misura prevista
dall’art. 3, comma 9, rispetto alle misure anticoncentrative disposte dai
commi 6 e 7 dello stesso art. 3, la deducente insiste nella
dichiarazione di infondatezza della questione
sollevata dal Tar.
16.— La difesa di Rete A s.r.l. mette in evidenza, nella memoria
depositata, che il termine del 31 dicembre 2003
fissato dall’Agcom è:
a) eccessivamente lontano in relazione alla perdurante
situazione di accertata illegittimità; b) non
"credibile" alla luce della facoltà di
proroga prevista; c) "smentito" da altre
analisi di mercato, secondo le quali la diffusione
digitale interesserà il 60% delle famiglie italiane
soltanto nel 2017.
La deducente aggiunge,
inoltre, che il legislatore e l’Agcom
avrebbero disegnato un
circolo vizioso, attribuendo il compito di stimolare e
accelerare il passaggio alle nuove tecnologie ai
principali operatori privati, che hanno interesse a
ritardare l’attuazione di un sistema che porterà
alla perdita della rete "eccedente".
La parte insiste, pertanto, per l’accoglimento
della questione sollevata.
17.— La difesa di R.T.I.
s.p.a.,
rispetto alle argomentazioni difensive prospettate
nell’atto di costituzione, sottolinea la necessità
di una rinnovata valutazione del requisito della
rilevanza ad opera del giudice a quo, in
quanto: a) non sarebbe stata impugnata, da parte dei
ricorrenti, la deliberazione n. 346 del 2001 dell’Agcom; b) tale deliberazione ha
fissato il termine finale del regime transitorio, con
consequenziale venuta meno della natura indeterminata
delle disposizioni censurate. Da qui la prospettata
necessità di una restituzione degli atti al giudice a
quo, già altre volte, effettuata
dalla Corte in presenza di ius
superveniens contenuto
in atti non aventi forza di legge (vengono citate la
sentenza n.
177 del 1991 e l’ordinanza n. 173 del 1973).
Il suddetto provvedimento dell’Autorità viene richiamato anche al fine di
riaffermare l’infondatezza della questione di
legittimità costituzionale, atteso che non
sussisterebbe più né il rischio di una protrazione
indefinita del regime transitorio, né una
applicazione dello stesso per un periodo ancora
eccessivamente lungo.
In questo quadro si inserirebbe
la legge n. 66 del 2001, che avrebbe integrato il
regime transitorio previsto dalla legge n. 249 del
1997, rispettando le indicazioni date dalla sentenza n.
420 del 1994.
Dopo aver ricordato le disposizioni più rilevanti
del nuovo assetto televisivo "imposto" dal
legislatore, la difesa di R.T.I.
sostiene che le attuali reti "eccedentarie" dovranno —
alla luce, soprattutto, di quanto statuito dall’art.
2-bis della legge citata — svolgere un ruolo
trainante del sistema verso la conversione delle
tecniche di trasmissione e
conseguentemente verso la migliore attuazione del
principio del pluralismo informativo.
La società deduce, inoltre, che una ipotetica dichiarazione di
illegittimità costituzionale determinerebbe il crollo
dell’intero sistema televisivo, in quanto: a)
verrebbe a cadere l’insieme degli atti impugnati; b)
le imprese sarebbero private dei titoli abilitativi,
tornando ad operare in una situazione di precarietà
ed incertezza; c) non sarebbe possibile assegnare
frequenze "ad altri aspiranti", atteso che,
venute meno le concessioni, tutti i soggetti
diventerebbero soltanto "aspiranti"; d) non
si potrebbe procedere all’assegnazione di frequenze
in presenza di un piano "annullato".
A questo, la difesa della parte aggiunge che
l’impossibilità di assegnazione
delle frequenze deriverebbe anche dal fatto che le
stesse sarebbero localizzate in determinati punti di
irradiazione, suscettibili, in quanto tali, di
utilizzazione soltanto mediante gli impianti
disattivati. Tutto questo evidenzierebbe l’errore in
cui sarebbe incorso il
giudice rimettente; da ciò la rafforzata necessità
di un riesame della rilevanza della questione da parte
di quest’ultimo.
18.— La difesa di TV Internazionale s.p.a. e di
Beta Television s.r.l.,
in ordine alle diverse eccezioni sollevate dalle parti
costituite sulla rilevanza della questione, replica
che, affinché la questione di legittimità
costituzionale possa dirsi rilevante, è sufficiente
"una non implausibile
motivazione sulla applicabilità nel giudizio a quo
delle disposizioni" censurate; osserva che,
in ogni caso, nell’ipotesi concreta la rilevanza
deriva dal fatto che il trasferimento sul satellite
delle reti eccedenti consentirebbe di
"recuperare" un numero elevato di
radiofrequenze suscettibili di nuova assegnazione.
Nel merito, le società ribadiscono
la "consecuzione" temporale e concettuale
esistente tra la disciplina oggetto della sentenza n.
420 del 1994 e la legge n. 249 del 1997, attestata
dal fatto che la rete eccedente di R.T.I. continuerebbe ad operare
grazie al rilascio della concessione avvenuta nel 1992
sulla base dell’art. 15, comma 4, della legge n. 223
del 1990, dichiarato incostituzionale con sentenza n.
420 del 1994.
Le deducenti affermano,
inoltre, in risposta alla
sostenuta assenza di effetti favorevoli al pluralismo
in caso di cessazione dell’attività delle reti
eccedenti, che una sentenza di accoglimento
consentirebbe all’emittente Centro Europa 7 di
iniziare ad operare nel mercato e, più in generale,
agli altri soggetti concessionari di ottenere le
frequenze in concreto assegnate.
Quanto alla dedotta influenza dell’innovazione
tecnologica digitale sulla garanzia del pluralismo
osserva che tale influenza non sarebbe attuale, tenuto
conto che la tecnologia digitale sostituirà quella analogica soltanto
"entro l’anno 2006", quando già saranno
scadute le concessioni sessennali rilasciate nel
luglio del 1999.
La situazione, ad avviso delle deducenti,
non è mutata né con la fissazione del termine ad opera della deliberazione
dell’Agcom n. 346 del
2001 (termine ritenuto inattendibile e suscettibile di
successive proroghe), né con l’emanazione della
legge n. 66 del 2001. Gli artt.
1 e 2-bis di detta legge sarebbero, anzi,
anch’essi incostituzionali perché: a) l’art. 1
impedirebbe alle amministrazioni competenti — in
contrasto con gli artt. 3, 21, 41 e 97 della Costituzione — di
esercitare le funzioni di governo dell’etere, là
dove consente alle reti (anche prive di concessioni)
di proseguire nell’esercizio delle loro trasmissioni
sino all’attuazione del nuovo piano digitale; b) gli
artt. 1 e 2-bis perpetuerebbero
sino al 2007 — in contrasto con gli artt. 3, 21,
41, 97 e 136 della Costituzione — uno stato di fatto
già dichiarato incostituzionale, consentendo, al
contempo, che l’etere terrestre continui — in
contrasto con gli artt.
3, 21, 41, 42 e 97 — ad essere
utilizzato dalle emittenti criptate
di un solo gruppo imprenditoriale.
La difesa delle società insiste, pertanto, nelle
conclusioni già rassegnate nell’atto di
costituzione e nella richiesta di dichiarazione di incostituzionalità
consequenziale delle norme da ultimo richiamate.
19.— La difesa di Prima TV s.p.a. ed Europa TV
s.p.a. prospetta, innanzitutto, la violazione del
principio di pari trattamento, per l’ingiustificato
regime giuridico che caratterizza le trasmissioni criptate rispetto a quelle in
chiaro.
Le deducenti, dopo aver
sottolineato il rapporto di
stretta dipendenza esistente tra impianti e frequenze
secondo quanto già riferito dalla difesa di R.T.I, chiedono che
la Corte
disponga la restituzione degli atti al giudice a
quo a seguito della emanazione della più volte
citata deliberazione della Agcom
n. 346 del 2001.
20.— La società Centro
Europa 7 s.r.l. — dopo aver sostenuto
l’irrilevanza ai fini della decisione della
sopravvenuta fissazione del termine da parte dell’Agcom secondo le linee difensive
già tracciate dalla società Rete A — sottolinea
che tuttavia l’emittente da essa gestita è
l’unica ad avere ottenuto regolare concessione ma
che non può operare per la mancata assegnazione delle
frequenze da utilizzare; evidenzia la gravità
dell’attuale assetto televisivo caratterizzato dalla
presenza di tre reti nazionali di R.T.I.
su un totale di sei effettivamente operanti, delle
quali due "Tele+Bianco
e Telemarket (Elefante)
non farebbero informazione, la prima in quanto pay tv e la
seconda perché emittente di sole televendite";
insiste, pertanto, per l’accoglimento della
questione.
21.— A seguito dell’udienza pubblica del 6
novembre 2001
la Corte
, con ordinanza istruttoria 3 dicembre
2001, ha
disposto, "ai fini di una più completa
valutazione di tutti gli aspetti della controversia e
delle tesi contrapposte illustrate dalle parti",
l'acquisizione di una serie di elementi
di conoscenza circa l’assetto radiotelevisivo
italiano, con particolare riguardo a quello in ambito
nazionale, la sua evoluzione nel tempo, specie nel
periodo transitorio, e i fattori che hanno concorso a
determinarlo, compresi, tra gli altri, gli
aspetti tecnici (tecnologie di trasmissione, impianti,
frequenze, copertura del territorio, ecc.), economici
(assetti proprietari, accordi tra emittenti, ecc.) e
finanziari (entrate e costi, entità e distribuzione
della raccolta pubblicitaria, ecc.).
La Corte
, con la predetta ordinanza, ha previsto i termini e
le modalità dell’esecuzione dell’istruttoria,
affidando al Giudice relatore, quale giudice per l’istruzione,
l’acquisizione degli elementi sopra indicati e la
determinazione dei termini per i singoli adempimenti.
22.— Il Giudice per l’istruzione ha disposto
l’acquisizione degli elementi di conoscenza
indicati, inoltrando formale richiesta al Ministero
delle comunicazioni e all’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni (in data 4 febbraio 2002), nonché all’Autorità della
concorrenza e del mercato (in data 14 febbraio 2002).
In relazione alle
rispettive competenze tecniche è stato chiesto di
indicare, con riferimento:
A. alle emittenti televisive private nazionali e
alla concessionaria del servizio pubblico:
- gli impianti di radiodiffusione televisiva
nazionale esercenti nei seguenti periodi: a) 1 ottobre
1984-agosto 1990 (in
riferimento al decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807 -
legge 6 agosto 1990, n. 223); b) agosto 1990-agosto
1993 (in riferimento al decreto-legge 27 agosto 1993,
n. 323); c) agosto 1993-agosto 1996 (in riferimento al
decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545); d) agosto
1996-luglio 1997 (in riferimento alla legge 31 luglio
1997, n. 249); e) luglio 1997- luglio 1999 (in
riferimento alla data di rilascio delle concessioni e
delle autorizzazioni per le emittenti private); f)
luglio 1999 fino alla data di comunicazione della
richiesta inoltrata (con aggiornamento alla data
dell’adempimento istruttorio), con indicazione delle
aree coperte e della localizzazione dei siti di
emissione dei segnali televisivi;
B. all’evoluzione del sistema televisivo dal 1994
ad oggi:
- numero delle reti,
livello di copertura del territorio e localizzazione
degli impianti esercenti nel dicembre del 1994, con
elencazione delle variazioni intervenute fino
alla comunicazione della richiesta inoltrata (con
aggiornamento alla data dell’adempimento
istruttorio) e delle misure concretamente adottate
"al fine di consentire e gradualmente
ridimensionare le concentrazioni esistenti";
C. ai sistemi, alle tecniche e alle modalità di
trasmissione:
a) la quantità percentuale di servizi di
televisione attualmente offerta
con qualsiasi sistema (ad esempio: via etere
terrestre; via cavo; via satellite), tecnica (ad
esempio: analogica; digitale) o modalità (es. in
chiaro; ad accesso condizionato) di trasmissione, con
specificazione delle rispettive aree coperte e della
possibile integrazione dei sistemi e delle modalità
di trasmissione sotto il profilo degli impianti
riceventi; b) l’andamento del "mercato degli
utenti e degli operatori" dal 1997 ad oggi, con
previsione sino al 2006 per ciascuno dei predetti
sistemi, tecniche e modalità di trasmissione;
C.1 alla televisione
digitale terrestre:
a) i dati sulla fase di sperimentazione prevista
dall’art. 2-bis del decreto-legge n. 5 del
2001, con (eventuale) indicazione degli operatori
privati che hanno intrapreso la suddetta
sperimentazione; b) i costi degli apparecchi riceventi
e/o degli adattatori necessari per la ricezione del
segnale televisivo digitale trasmesso in chiaro o in
forma codificata (ad esempio: set top box; decoder;
sistemi di antenna individuali/centralizzati),
con specificazione delle possibilità di
utilizzazione/adattamento di quelli esistenti ai fini
della ricezione del segnale digitale; c) i costi di
installazione e di utilizzazione degli impianti di
trasmissione in tecnica digitale; d) l’andamento del
mercato dei predetti costi dal 1997 ad oggi, con
previsione sino al 2006; e) il numero dei canali e
delle reti "disponibili" con un sistema di
trasmissione digitale a regime, specificando i limiti anticoncentrativi in grado di
assicurare le regole concorrenziali;
D. all’attuazione del
piano di assegnazione delle frequenze:
a) gli interventi tecnici e le iniziative comunque intraprese per
l’attuazione del piano nazionale di assegnazione
delle frequenze al fine di consentire, in particolare,
l’effettivo impiego delle frequenze concretamente
assegnate ai singoli concessionari; b) la prevedibile
durata del processo di compatibilizzazione
della situazione esistente a quella prefigurata nel
piano;
E. alla copertura del territorio nazionale delle
emittenti televisive private in chiaro e criptate:
- l’attuale livello di illuminazione
delle aree di servizio consentito alle stazioni
televisive appartenenti alle emittenti private
nazionali cui è stata rilasciata l’autorizzazione o
la concessione nel luglio del 1999; sul punto si è
chiesto di specificare, altresì: a) lo scarto
esistente tra tale livello e quello raggiungibile
mediante la concreta utilizzazione delle frequenze
oggetto dei titoli abilitativi; b) le modalità
tecniche di ridistribuzione
delle frequenze necessarie per la configurazione dei
siti comuni previsti nel piano;
E.1. alla
copertura del territorio nazionale della
concessionaria del servizio
pubblico:
- l'attuale livello di illuminazione
raggiunto;
F. alla convergenza
multimediale:
- lo stadio di sviluppo del
processo di convergenza multimediale tra il settore
radiotelevisivo e delle telecomunicazioni.
Con riferimento agli aspetti economici, si è
richiesto di indicare, in
relazione alle rispettive competenze:
a) la situazione degli assetti proprietari di tutte
le reti televisive private nazionali, nonché le situazioni di
controllo e di collegamento comunque esistenti tra le
emittenti e tra queste e i soggetti proprietari in
ciascuno dei periodi indicati sub A);
b) gli accordi intercorsi tra le emittenti,
compresi quelli di interconnessione
o di trasmissione di programmi in contemporanea
eccedenti l’ambito locale.
Infine, per gli aspetti finanziari, è stato
richiesto, sempre avuto riguardo agli ambiti di
competenza, di specificare:
a) le entrate e i costi di ciascuna rete privata e
pubblica, con allegazione degli estratti di bilancio;
b) le quote di audience
e della raccolta pubblicitaria di tutte le emittenti
private e pubbliche operanti a livello nazionale dal
1994 fino alla data dell'inoltro della richiesta (con
aggiornamento alla data dell'adempimento istruttorio).
Con riferimento a tutti gli aspetti sopra
riportati, è stato chiesto, inoltre, di fornire
elementi in ordine al
livello di concorrenza effettivo e consentito, con
previsione fino al 2006, tenendo conto, tra l'altro,
del numero delle imprese televisive nazionali
pubbliche e private operanti, delle risorse tecniche
disponibili, delle barriere all'ingresso esistenti.
In data 23 maggio 2002, il giudice per
l’istruzione, a seguito dell’avvenuto deposito
delle relazioni illustrative e della relativa
documentazione da parte dei soggetti sopra indicati,
ha chiesto al Ministero delle comunicazioni di fornire
i seguenti chiarimenti:
a) in ordine alla
copertura del territorio nazionale, sulla base di
quali elementi si fosse accertato il superamento della
soglia del 75% del territorio da parte di Canale 5 e
Italia 1 e il mantenimento al di sotto di detta soglia
per le altre emittenti nazionali; b) in ordine al
numero dei canali e delle reti disponibili in tecnica
digitale, sulla base di quali criteri fosse stato
possibile ipotizzare — avendo la disponibilità di
55 canali — un numero di programmi pari a 220; c)
sulle attuali e prevedibili possibilità di
utilizzazione dei quattro canali previsti dal piano
(analogico) nazionale di assegnazione delle frequenze
(66, 67 e 68 della banda V della gamma UHF ed il
canale 9 della banda III della gamma VHF) per la
diffusione digitale terrestre; d) in ordine agli
accordi tra emittenti, l’assetto proprietario dei
seguenti soggetti: Consorzio Italia 9 Network;
Circuito Odeon Tv; Consorzio Italia 3, dal momento
della loro costituzione ad oggi; e) l’attuale stato
dei giudizi promossi da Rete Mia, Rete A, Rete Capri,
7 Plus.
In pari data, il giudice per l'istruzione ha
chiesto, altresì, all’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni chiarimenti sul punto c) sopra
indicato, nonché di
specificare in dettaglio, in ordine al numero dei
canali e delle reti disponibili in tecnica digitale, i
criteri che consentirebbero — avendo la disponibilità
di 55 canali — un numero di programmi complessivo
pari a 144.
Infine, le due Autorità e il Ministero sono stati
invitati a trasmettere (entro il 2 settembre 2002)
ulteriori ed eventuali elementi di
aggiornamento relativi allo stato della
sperimentazione del digitale terrestre.
23.— Con memoria depositata all’esito
dell’istruttoria, Centro Europa
7 s.r.l. ha sottolineato, quanto al contenuto della
relazione redatta dall’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni, come detta Autorità abbia
confermato "con termini chiari ed inequivoci" che il quadro
normativo delineato dalla legge n. 249 del
1997 ha
"lasciato pressoché immutato il precedente
assetto", attraverso l’ulteriore proroga del
periodo transitorio e il rilascio di titoli
abilitativi alle reti eccedenti, con conseguente
impossibilità per la esponente di utilizzare le
frequenze oggetto della concessione rilasciata nel
luglio del 1999; per quanto riguarda il contenuto
della relazione depositata dal Ministero delle
comunicazioni, ha osservato come lo stesso "non
abbia potuto fare a meno di confermare" che
"la proroga dell’esercizio delle emittenti
televisive nazionali veniva disposta fino al 31 luglio
1999".
La difesa della società, inoltre, contesta
l’affermazione ministeriale secondo cui non vi
sarebbe "legame tra le concessioni rilasciate e
la disponibilità delle frequenze transitoriamente in
esercizio", mediante il richiamo all’art. 5, comma 2, del
decreto ministeriale 8 marzo 1999 (Disciplinare per il
rilascio delle concessioni nazionali). L'esponente conclude, sul punto, affermando
che l'attuale situazione prorogherebbe con aggravio la
precedente, operando allo stato, sul mercato, sei reti
nazionali, di cui due (Tele+
Bianco e Telemarket)
"non farebbero informazione".
Nella memoria, infine, la parte analizza la
questione di legittimità costituzionale alla luce del
previsto sistema televisivo digitale, sottolineando come tutte le parti
in causa, nonché le due Autorità e il Ministero,
direttamente o indirettamente, abbiano ritenuto non
realizzabile il passaggio alla nuova tecnica di
trasmissione entro la data prefissata della fine
dell'anno 2006. Vengono
riportati, a tal proposito, alcuni passi della
relazione dell’Autorità garante della concorrenza e
del mercato, in cui si manifesta la conseguente
preoccupazione di una protrazione dell’attuale
situazione di sostanziale duopolio con "rilevanti
barriere all’ingresso" e "fenomeni
collusivi a carattere escludente nei confronti di
altri operatori in violazione delle regole di
concorrenza".
La difesa di Centro Europa
7 s.r.l. indica quale data realistica del passaggio al
digitale l'anno 2017, precisando, però, come
l’attuale questione di legittimità costituzionale
abbia ad oggetto il sistema di trasmissioni televisive
in tecnica analogica e non digitale, considerato anche
che le concessioni rilasciate nel luglio del 1999
scadranno nel luglio del 2005 e quindi prima della
programmata data di cessazione della tecnica analogica
del 2006.
La società deducente
afferma di condividere quanto sostenuto dalla difesa
delle società TV Internazionale s.p.a. e Beta Television s.r.l., secondo cui alcune norme della
legge n. 66 del 2001 "concorrono anch’esse a
perpetuare la situazione di incostituzionalità
denunciata dal Tar Lazio,
con richiesta di dichiarazione di illegittimità
costituzionale in via consequenziale degli artt. 1 e 2-bis
del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5, per
contrasto con gli artt.
3, 21, 41, 42, 97 e 136 della Costituzione".
Infine, la difesa della parte deduce che
l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
nella propria relazione "si dimentica", nel
descrivere il panorama dell’emittenza
nazionale, che il piano nazionale di
assegnazione delle frequenze del 1998 è stato
accantonato, con la conseguente oggettiva impossibilità
per la stessa Centro Europa 7 s.r.l. di utilizzare
concretamente le frequenze oggetto di concessione. La
parte richiama, inoltre, l’affermazione contenuta
nella "relazione aggiuntiva" predisposta
dall’Autorità citata, secondo cui "la nuova
assegnazione delle frequenze ha consentito una
copertura di oltre l’80%
del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di
provincia. La popolazione servita è pari ad oltre il
92 % (...)"; tale
asserzione viene contestata in quanto la stessa
rischierebbe di creare "pericolosi
equivoci", atteso che nessuna "nuova
frequenza" è stata assegnata, come, del resto,
ammette lo stesso Ministero, laddove nella relazione
fa riferimento all'accantonamento del piano.
L'esponente, pertanto, chiede che vengano dichiarate
incostituzionali le norme censurate, compreso l’art.
3, commi 6 e 7 — qualora non si ritenga che detto
articolo sia stato implicitamente abrogato dalla
successiva legge 29 marzo 1999, n. 78 (Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 gennaio
1999, n. 15, recante "Disposizioni urgenti per lo
sviluppo equilibrato dell'emittenza
televisiva e per evitare la costituzione o il
mantenimento di posizioni dominanti nel settore
radiotelevisivo") — , e le altre norme sopra
indicate.
24.— Con memoria anch’essa depositata
all’esito dell’istruttoria, l’Adusbef contesta, innanzitutto, la ricostruzione
dell’assetto televisivo pubblico e privato svolta
dal Ministero nella relazione depositata agli atti, in
quanto la stessa farebbe pensare "che lo sviluppo
dell’etere sia stato sotto il controllo dello
Stato". La difesa della parte ripercorre
l’evoluzione legislativa che ha caratterizzato il
settore al fine di dimostrare, di converso, la carenza di una normativa
organica, rispettosa dei principi costituzionali,
sottolineando la nascita di fatto dell’attuale
situazione del mercato televisivo e illustrando il
contenuto delle sentenze ritenute più significative
emanate dalla Corte costituzionale fino alla sentenza n.
420 del 1994, cui non sarebbe stata data
"esecuzione". Viene,
inoltre, riportato un passo della relazione
dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato in cui verrebbe fotografata, secondo l'Adusbef, l’attuale situazione
in contrasto con il principio della concorrenza e del
pluralismo. Allo stesso modo, l'esponente richiama
parte del contenuto delle relazioni annuali al
Parlamento dell’Agcom del 2000 e
2001, in
cui si sarebbe rilevata la presenza di un sostanziale
duopolio (Rai e Mediaset).
La difesa della parte si sofferma, poi, sulla
televisione digitale terrestre, ribadendo
l’impossibilità dell’avvio di detto sistema entro
la data programmata del 2006 e dando atto che lo
stesso si trova in uno stadio di sperimentazione che,
tra l’altro,
la RAI
starebbe effettuando esclusivamente sul piano tecnico,
senza diffusione al pubblico, in tre località.
Nell’ultima parte della memoria, l’Adusbef illustra "il
concetto di pluralismo" in tutte le sue
manifestazioni, anche alla luce delle esperienze degli
altri Paesi, sottolineando
lo stato di inattuazione
di detto principio nel nostro Paese. La parte dà
atto, inoltre, che "l’Autorità Antitrust
Europea ha aperto una procedura nei confronti del
Governo italiano per la questione ben nota di Centro Europa 7 s.r.l., che ha ottenuto da tre
anni la concessione, ma non ha le frequenze in quanto
occupate da Rete Quattro".
25.— Con memoria depositata all'esito
dell'istruttoria, l'Avvocatura generale dello Stato ha
ripreso, ampliandole, le argomentazioni già contenute
nel precedente atto di intervento
ed ha sottolineato, inoltre, quanto segue.
Descrivendo il contesto
televisivo digitale alla luce di quanto previsto dal
decreto-legge n. 5 del 2001, la difesa erariale
ritiene che i tempi non brevi di attuazione del piano
analogico di assegnazione delle frequenze finirebbero
con il sovrapporsi a "quelli
dell’imprescindibile introduzione del digitale"
(ritardandone il passaggio), con pesanti ricadute in
termini economici per gli operatori, a causa della
necessaria duplicazione degli investimenti, e per la
stessa utenza, costretta a "risintonizzare
gli apparecchi riceventi ed a riorientare
le antenne e, successivamente, nuovamente costretta a risintonizzare gli apparecchi e
ad acquisire set top box o nuovi televisori
digitali". L'Avvocatura aggiunge, inoltre, che la
caducazione delle norme
censurate non potrebbe condurre all’attuazione del
piano analogico di assegnazione,
stante "il congelamento della situazione di
detenzione attuale" sino all’attuazione del
piano digitale di assegnazione delle frequenze di cui
al citato decreto-legge n. 5 del 2001.
La difesa erariale ribadisce,
inoltre, che la questione sarebbe inammissibile in
quanto inciderebbe sulla definizione delle modalità
di attuazione e di messa a regime del sistema misto
previste dal legislatore, nell’esercizio non
arbitrario della propria discrezionalità, mediante la
correlazione tra la fissazione di limiti di cumulo
delle concessioni (art. 2, comma 6, della legge n. 249
del 1997) e la ristrutturazione della concessionaria
pubblica, in modo che la stessa non possa avvalersi di
più di due reti per la trasmissione di pubblicità
(art. 3, comma 9, della legge citata). L'Avvocatura
dello Stato afferma testualmente: "nel concreto, le parallele misure
rispettivamente previste per il settore privato e per
la concessionaria del servizio pubblico rientrano in
un disegno unitario ed inscindibile del legislatore,
che intende intervenire sulla struttura del mercato
pubblicitario incidendo contemporaneamente su entrambi
i maggiori soggetti, pubblico e privato, ad evitare
alterazione e squilibri ulteriori. Le censurate
disposizioni dell’art. 3, commi 6 e 7, risultano per tale verso
intimamente collegate a quelle del comma 9 dello
stesso articolo (nonché a quelle del comma 11
concernenti le emittenti che trasmettono in forma
codificata via etere terrestre)".
In ordine agli evocati
parametri costituzionali, l’Avvocatura sottolinea
l’infondatezza della censura riferita all’art. 136
della Costituzione, per essere diverso il regime
transitorio in atto rispetto a quello giudicato con
sentenza n.
420 del 1994.
Per quanto attiene all’art. 21 della
Costituzione, la difesa erariale ritiene
l’inammissibilità della questione, in quanto la
stessa non si fonda "su di una valutazione
diretta del rapporto tra i principi dell’art. 21
(quali enucleati dalla giurisprudenza) e la normativa
censurata, ma si risolve essenzialmente in una
denuncia di violazione dell’art. 136 della Costituzione". In ogni
caso — aggiunge l'Avvocatura — anche con riguardo
al parametro dell’art. 21 della Costituzione
direttamente investito, la inammissibilità
della censura permarrebbe, in quanto "il
rimettente avrebbe dovuto necessariamente darsi carico
di ricostruire sia il concreto contesto fattuale e normativo
caratterizzante la situazione attuale sia la platea
complessiva degli operatori comunque legittimati
all’esercizio".
Nel presente giudizio, precisa la difesa erariale,
il rispetto del principio del pluralismo dovrebbe
essere valutato esclusivamente con riferimento
all’art. 21 e non anche all’art. 41 della
Costituzione, con consequenziale ininfluenza delle
considerazioni espresse sul versante della concorrenza
da parte dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato.
L'Avvocatura ritiene, inoltre, che, rispetto alla
situazione considerata nella citata sentenza n.
420 del 1994, il pluralismo delle voci sarebbe
aumentato per il seguente ordine di motivi: a)
possibilità attribuita alle emittenti nazionali con
copertura inferiore al 75% del territorio di acquisire
dalle emittenti locali
impianti e rami di azienda (art. 1, comma 13, del
decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545; art. 1,
comma 1, del decreto-legge n. 5 del 2001); b)
assegnazione provvisoria di frequenze di cui
all’art. 3, commi 8 e 11, della legge n. 249 del
1997; c) diminuzione degli impianti delle reti R.T.I. (-39 Canale 5; -94 Italia
1; -76 Rete A) e aumento degli impianti di TMC (+83),
di TMC2 (+101), di Rete A (+46), di Elefante Telemarket (+67), di Rete Capri
(+22); d) presenza sul mercato delle c.d. syndications o network
nazionali, "costituiti da un insieme di emittenti
in possesso di concessione per la radiodiffusione
televisiva in ambito locale che si accordano per
irradiare lo stesso programma sul territorio
complessivamente servito, così realizzando, nella
sostanza, nel trasmettere con tale modalità, una rete
nazionale"; detti circuiti, tenendo conto
esclusivamente di quelli che servono singolarmente più
di dieci regioni, sarebbero, secondo l’Avvocatura,
quattro: Fox Kids, Italia 9, Odeon tv, Super six; e) la ricca offerta di
canali televisivi da parte delle emittenti locali.
La difesa erariale si sofferma, infine, sul
principio del pluralismo così come inteso nella
sentenza n.
155 del 2002 di questa Corte e nelle direttive
2002/19/CE e 2002/21/CE del 7 marzo 2002.
In ordine all’asserita
violazione dell’art. 3 della Costituzione,
l'Avvocatura afferma che il parametro è evocato in
modo generico dal rimettente "senza
specificazione dei canoni riconducibili a tale norma
ritenuti violati e senza alcun supporto
motivazionale"; in ogni caso, rileva come non
contrasterebbe con il principio di ragionevolezza
l’adozione di un criterio di gradualità nel
passaggio al nuovo sistema.
26.— La società Rete A s.r.l. evidenzia, nella
memoria depositata, la incompletezza
delle risposte rese all’esito dell’istruttoria. In
particolare, ritiene che l’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni abbia fornito, relativamente
agli assetti proprietari di TV Internazionale e
di Tele+, dati parziali e
non aggiornati (risalenti rispettivamente al 9 agosto
1995 e al 28 aprile 1995). La difesa della società
osserva, inoltre, che mancherebbero del tutto i dati relativi a Tele+3 Omega TV (la
sesta televisione nazionale controllata, si ritiene,
dalla Fininvest fino al
1994). La parte contesta, infine, l’omesso
riferimento al provvedimento adottato nell’ottobre
del 1996 dal Garante dell’editoria, con cui era
stata accertata la mancanza di controllo di Tele+ da parte della Fininvest, ancorché una
situazione di controllo venisse
riconosciuta esistente per il periodo antecedente; la deducente sostiene che, a tutt’oggi, persisterebbe detto
controllo societario tramite il possesso e la gestione
delle postazioni di trasmissione di Tele+ da parte di Elettronica
Industriale, società di R.T.I.
In relazione alla
raccolta delle risorse pubblicitarie, la società Rete
A pone in evidenza l'illegittimità dell’attività
realizzata dalla società Publitalia,
la quale, essendo concessionaria esclusiva della
raccolta pubblicitaria per le tre reti R.T.I., supererebbe il limite anticoncentrativo del 20%, non
applicandosi ad essa, sempre secondo l’esponente, la
disciplina transitoria prevista per le reti eccedenti.
Sui tempi del passaggio alla televisione in tecnica
digitale, nonché sul
merito della questione sollevata, la difesa della
società ribadisce quanto sostenuto nei precedenti
scritti difensivi, che avrebbe trovato conferma negli
esiti dell’istruttoria svolta da questa Corte.
La predetta società, pertanto, conclude
per l’accoglimento della prospettata questione,
chiedendo, altresì, la declaratoria in via
consequenziale della illegittimità costituzionale
dell’art. 1 della legge n. 66 del 2001, per aver
sancito il definitivo accantonamento del piano
analogico.
27.— La società R.T.I.
s.p.a.,
con memoria depositata all’esito dell’istruttoria,
sostiene che il giudice rimettente avrebbe dovuto,
seguendo criteri di consequenzialità logico-giuridica
nella risoluzione della controversia sottoposta al suo
esame, alla luce dei motivi del ricorso, accertare in
via principale la legittimità delle procedure
di rilascio dei titoli concessori e (a monte) degli
atti di contenuto normativo. La conseguenza sarebbe
stata — una volta caducate
giudizialmente le
concessioni assentite — l’automatico venir meno
della base di calcolo dalla quale dipenderebbe la collocazione in posizione eccedentaria delle emittenti che
superano i limiti anticoncentrativi
fissati dalla legge. Con l’ulteriore
conseguenza della perdita di qualsiasi rilevanza della
questione sollevata, così da imporre alla Corte la
restituzione degli atti al giudice a quo.
Nella memoria vengono
ribaditi gli errori nei quali sarebbe incorso il
giudice rimettente. Al riguardo, la difesa della
società riporta gli esiti di uno studio tecnico,
depositato agli atti, che avrebbe
accertato che gli impianti censiti non
coinciderebbero con quelli pianificati. Ciò
dimostrerebbe che la temporanea sopravvivenza delle
reti eccedenti non avrebbe
intaccato la provvista di frequenze
pianificate. Una eventuale
dichiarazione di illegittimità costituzionale
provocherebbe, pertanto, la mera disattivazione delle
reti eccedenti, "non assegnabili ad altri
aspiranti e non utilizzabili ai fini (peraltro ormai
accantonati) dell’adeguamento delle reti al
piano".
Viene ribadita, infine,
la necessità di una restituzione degli atti al
giudice a quo, a seguito della sopravvenuta
fissazione del dies
ad quem del regime
transitorio da parte dell’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni, nonché della legge n. 66 del
2001. Quest’ultima, sottolinea la difesa delle società,
avrebbe consentito che la sperimentazione avvenga
direttamente sugli impianti analogici censiti, senza
previo adattamento degli impianti stessi al piano
analogico, per evitare investimenti vanificati dalla
sopravvenienza del piano digitale.
Nel merito, la società deducente
insiste nella dichiarazione di infondatezza
della questione sollevata, ritenendo che l’attuale
grado di pluralismo del sistema televisivo italiano
sia rispettoso dei principi costituzionali.
L’istruttoria avrebbe, infatti, dimostrato, secondo
l’esponente, che in ciascun capoluogo di provincia
ogni utente dispone di
almeno quindici programmazioni nazionali e 10 locali.
L’importanza del "pluralismo locale"
sarebbe stata ribadita
dallo stesso processo in atto di
"trasformazione" di una rete RAI in una rete
a prevalente vocazione regionalistica.
In relazione alla
posizione di Centro Europa 7, la società R.T.I. sottolinea come la
posizione di detta concessionaria sia uguale a quella
delle altre, in quanto nessuna di esse ha ottenuto le
frequenze "promesse nelle concessioni
(pianificate)"; l’attuale situazione di Centro
Europa 7 dipenderebbe esclusivamente dalla mancanza di
impianti in esercizio censiti "sufficienti al
momento del rilascio della concessione". La parte
evidenzia, inoltre, la "inspiegabile"
mancanza di domanda di assegnazione
provvisoria di frequenze (ex art. 3, commi 8 e
11, della legge n. 249 del 1997) da parte della
predetta concessionaria. Ai fini della
sperimentazione, quest’ultima
potrebbe comunque
avvalersi, ad avviso della società esponente, della
possibilità di accedere con i propri programmi alle
reti dei soggetti titolari di più di una concessione
su scala nazionale.
Nell’ultima parte della memoria, la difesa della
società R.T.I., oltre a ribadire la
"discontinuità" tra la situazione attuale e
quella esistente all’epoca della sentenza n.
420 del 1994, si sofferma sulla "svolta
digitale", evidenziando la irreversibilità della
scelta "a pena di pericolo di grave ritardo
tecnologico del Paese".
28.— La società TV Internazionale s.p.a. e Beta Television s.r.l., nella memoria depositata —
in relazione a parte del contenuto delle relazioni
predisposte all’esito dell’istruttoria —
sostengono quanto segue:
a) l’Autorità Garante della concorrenza e del
mercato e lo stesso Ministero delle comunicazioni —
affermando rispettivamente che "la struttura del
mercato … continua … come al tempo della sentenza
della Corte costituzionale n.
420 del 1994", e che le frequenze allo stato
utilizzate sono "quelle censite ai sensi
dell’articolo 32 della legge n. 223 del 1990"
— avrebbero confermato la continuità della
disciplina contenuta nella legge n. 249 del 1997
rispetto alla quella
dichiarata incostituzionale con la citata sentenza n.
420 del 1994;
b) l’Autorità Garante della concorrenza e del
mercato avrebbe, altresì, attestato che la
liberazione di frequenze terrestri potrebbe comportare
la loro ricollocazione a
vantaggio di operatori
televisivi destinatari di concessione. Sul punto, vengono ritenute non
condivisibili le affermazioni contenute nella
relazione "istruttoria" del Ministero delle
comunicazioni, in cui si ritiene che le principali
ragioni della non attuazione del piano nazionale delle
frequenze risiederebbero: 1) nel fatto che "i
soggetti che hanno ricevuto [nel 1999] il decreto di
diniego della concessione continuano a trasmettere
sulla base di pronunce giurisdizionali"; le
esponenti replicano che dette pronunce altro non
sarebbero che ordinanze cautelari in relazione alle
quali non sarebbe ancora conclusa la fase di merito e,
in ogni caso, la copertura del territorio delle tre
emittenti nazionali che ancora
"sopravvivono" (Rete Capri, Rete Mia e Rete
A) sarebbe assolutamente "risibile e
disomogenea" ; 2) nella disciplina introdotta con
la legge n. 66 del 2001, che avrebbe autorizzato la
prosecuzione dell’esercizio della radiodiffusione
anche da parte delle emittenti locali prive delle
nuove concessioni (rilasciate nel 2001), purché in
possesso di alcuni requisiti per l’ottenimento della
concessione; la società replica sul punto che dette
emittenti sarebbero soltanto 151 su un totale di 2019
reti locali e che, comunque, è stata chiesta la
dichiarazione di incostituzionalità in via
consequenziale delle disposizioni normative citate.
La difesa delle società ribadisce
1'ininfluenza dell’innovazione tecnologica digitale
sulla attuale esigenza di garanzia del pluralismo nel
settore radiotelevisivo, attesi i tempi lunghi per la
diffusione delle nuove tecnologie, gli elevati costi
di investimento, la mancanza di interesse delle
imprese dominanti. Il quadro di riferimento non
sarebbe neanche influenzato dalla convergenza
multimediale, trattandosi, secondo quanto riferito
dall’Agcom nella
relazione istruttoria, di "un fenomeno ancora
complessivamente marginale ".
Nell’ultima parte della memoria si richiamano, ai
fini ricostruttivi della attuale concezione e
necessità di tutela del pluralismo informativo,
quanto contenuto: nella sentenza n.
155 del 2002 di questa Corte; nel messaggio del
Presidente della Repubblica indirizzato alle Camere il
23 luglio 2002; nelle direttive 2002/19/CE;
2002/20/CE; 2002/21/CE; 2002/22/CE del 7 marzo 2002.
29.— Le società Prima TV s.p.a. e Europa TV s.p.a.,
rappresentate e difese dagli avvocati Felice Vaccaro, Giuseppe Morbidelli e Roberto Afeltra, hanno depositato due
memorie.
Nella prima memoria le esponenti, dopo avere
illustrato "la vicenda Tele+
nel sistema normativo", sottolineano
"l’equivalenza delle trasmissioni in chiaro e
in codice" (confermata dall'art. 27 del d.P.R. 27 marzo 1992, n. 255,
recante: "Regolamento di attuazione della legge 6
agosto 1990, n. 223, sulla disciplina del sistema
radiotelevisivo pubblico e privato" e dall'art. 2
della legge 5 ottobre 1991, n. 327, recante:
"Ratifica ed esecuzione della convenzione europea
sulla televisione transfrontaliera, con annesso, fatta
a Strasburgo il 5 maggio 1989", nonché
dalle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio
del 7 marzo 2002), con l’unico elemento di
differenziazione rappresentato dal rapporto
contrattuale intercorrente, nel primo caso, tra
emittente e sponsor, nel secondo tra emittente
e abbonato. Da qui, l’assunta
illegittimità del diverso regime antitrust previsto
dalla legge n. 249 del 1997.
La difesa delle società sostiene che le misure
adottate dal legislatore del 1997, nel regime
transitorio, abbiano dato "tutela complessiva al
sistema" mediante: la previsione del piano di
ristrutturazione di RAI tre, ex art. 3, comma
9, della legge n. 249 del 1997; il meccanismo
dell’assegnazione provvisoria delle frequenze, in
base all’art. 3, commi 8 e 11, che dovrebbe tendere
a garantire la pari illuminazione dell’area di
servizio e di bacino, ma che di
fatto sarebbe stato utilizzato illegittimamente
attraverso l’assegnazione delle frequenze non
indispensabili e di quelle provenienti dalla terza
rete terrestre Tele+3 esclusivamente in favore di Beta
Television, Rete A e TV
Internazionale.
La parte aggiunge, inoltre, che l’art. 2, comma
4, della legge 14 gennaio 2000, n. 5, di conversione
del decreto-legge 18 novembre 1999, n. 433 (Disposizioni
urgenti in materia di esercizio
dell’attività radiotelevisiva locale e di termini
relativi al rilascio delle concessioni per la
radiodiffusione televisiva privata su frequenze
terrestri in ambito locale), avrebbe consentito la
prosecuzione delle trasmissioni delle reti eccedenti
anche in ambito locale.
La difesa delle predette società chiede, inoltre,
un supplemento istruttorio per accertare il numero
degli impianti non indispensabili, ex
art. 3, comma 8, citato, e di quelli dismessi, ex art. 32
della legge n. 223 del 1990.
La difesa delle medesime società, poi, ribadisce quanto già sostenuto
nei precedenti scritti difensivi, riprendendo
l’ordine delle considerazioni svolte anche dalla
società R.T.I.
relativamente alla sopravvenuta irrilevanza della
questione per l’avvenuto accantonamento del piano di
assegnazione analogico a seguito dell’emanazione
della legge n. 66 del 2001, nonché alla non
fungibilità degli impianti "censiti" con
quelli analogicamente "pianificati".
A tal proposito, la stessa difesa ritiene che il
numero complessivo degli impianti esercenti sul piano
nazionale sarebbe sufficiente ad escludere che la
concentrazione di tre reti in un unico soggetto superi
il limite del 20%. Dall’entrata in vigore della
legge n. 249 del 1997 ad oggi, detti impianti
sarebbero i seguenti: Canale 5, Italia 1, Europa TV, Tele+Bianco, TV Internazionale (TMC),
Beta Television (TMC2), Centro Europa 7, Elefante Telemarket; le due reti
eccedenti: Rete 4, Prima TV-Tele+Nero; le quattro
emittenti autorizzate dal giudice amministrativo: Rete
Capri, Rete Mia, Rete A, 7 Plus; i ripetitori di
programmi esteri (individuati dal Ministero nel solo Telecentro Toscana); i consorzi ex
art. 21 della legge n. 223 del 1990 individuati
dal Ministero nel numero di tre; le tre reti RAI.
La mancata attuazione del piano di
assegnazione, continua la difesa delle due
società, non sarebbe dipesa dalla permanenza
nell’etere delle reti eccedenti ma dalla presenza di
oltre seicento emittenti locali; dalla mancata
emanazione da parte dei Comuni del "regolamento
sull’installazione degli apparati di ricezione delle
trasmissioni radiotelevisive satellitari nei centri
storici"; dai numerosi provvedimenti che, in
tempi recenti, regioni, province e comuni hanno
emanato in materia di tutela della salute e
dell’ambiente dal c.d. inquinamento radioelettrico.
In relazione alla
posizione della società Centro Europa 7, le predette
società sottolineano, così come rilevato dalla
società R.T.I., la
"inspiegabile" mancanza di domanda di
assegnazione provvisoria (ex art. 3, commi 8 e
11) di frequenze da parte di Centro Europa 7, così
come la mancata impugnazione della "previsione
contenuta all’art. 1 p. 3 del titolo concessorio rilasciatogli, di
assentimento della rete pianifica dopo due anni".
La difesa delle società aggiunge che detta emittente,
contrariamente a quanto dalla
stessa assunto, trasmetterebbe dal 19 febbraio
1996 in
consorzio, operante in almeno otto regioni per il
periodo giugno-dicembre 2002.
In relazione alla
posizione di TV Internazionale s.p.a.,
le predette società ritengono che la stessa non
avrebbe mai avuto il legittimo esercizio di impianti
richiesti dalla normativa di settore e, in
particolare, dalla legge n. 249 del 1997 e dalla legge
n. 78 del 1999. Sarebbe stato, infatti, accertato che tale emittente non avrebbe mai
operato come impresa di ripetizione di programma
estero, unica attività radiotelevisiva alla stessa
consentita, avendo diffuso programmi in lingua
italiana privi dei connotati richiesti per la
"reale esterità"
del programma, dal punto di vista nazionale interno, e
della "normalità" del programma dal punto
di vista del Paese di provenienza. Da
qui l’assunto secondo cui, dalla prosecuzione del
regime transitorio, essa nessun danno può aver subito.
Le società Prima TV s.p.a. e
Europa TV s.p.a. concludono chiedendo nell’ordine:
che la questione di legittimità costituzionale venga
respinta; che venga espletato, se ritenuto opportuno,
il supplemento istruttorio richiesto; che vengano
restituiti gli atti al giudice rimettente per un
riesame della rilevanza delle questioni sollevate.
30.— Nella seconda memoria le società Prima TV
s.p.a. e Europa TV s.p.a.
contestano la possibilità di una eventuale estensione
in via consequenziale del presente giudizio di
costituzionalità all’art. 3, comma 11, attesa la
"diversità" del regime transitorio —
derivante dal differente limite antitrust —
previsto per le emittenti in chiaro e criptate.
31.—
La Società Centro
Europa 7 s.r.l. ha depositato una ulteriore memoria
con la quale, oltre a ribadire le argomentazioni
svolte nei precedenti scritti difensivi, si sofferma
sul disegno di legge presentato dal Ministro delle
comunicazioni al fine di criticarne, in particolare:
l’art. 22 con cui si obbliga
la RAI
(e non Mediaset) a
realizzare due reti digitali terrestri "con un
costo pesantissimo (a carico dello Stato e quindi dei
contribuenti)"; l’art. 21, "in virtù del
quale "anche" Retequattro
potrà continuare a trasmettere sostanzialmente sine die in totale dispregio dei
principi sanciti dalla sentenza della Corte
costituzionale n.
420 del 1994".
Considerato
in diritto
1.— Le questioni sottoposte all'esame
della Corte riguardano l’art. 2,
comma 6, e l’art. 3, commi 6 e 7, della legge
31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell'Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi
delle telecomunicazioni e radiotelevisivo).
Secondo l’ordinanza del Tar
del Lazio le predette norme:
a) nel demandare all'Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni di stabilire un periodo
transitorio nel quale non venga
applicato il limite imposto ad uno stesso soggetto di
irradiare più del 20% dei programmi televisivi su
frequenze terrestri in ambito nazionale;
b) nel consentire l'esercizio delle reti eccedenti
i predetti limiti successivamente
alla data del 30 aprile
1998, a
condizione che "le trasmissioni siano effettuate
contemporaneamente su frequenze terrestri e via
satellite o via cavo", nonché
"esclusivamente via cavo o via satellite"
alla scadenza del termine indicato dall'Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni, "in relazione
all'effettivo e congruo sviluppo dell'utenza dei
programmi radiotelevisivi via satellite e via
cavo";
conferirebbero alla
detta Autorità una facoltà non delimitata nel tempo
e consentirebbero che la regolamentazione del settore,
colpito dalla pronuncia di illegittimità
costituzionale di questa Corte (sentenza n.
420 del 1994), sia ancora in atto, e si perpetui indefinitivamente, rinviando la
nuova disciplina ad una data imprecisata, con
violazione del principio di ragionevolezza (art. 3
della Costituzione), dei principi del pluralismo nella
manifestazione del pensiero (art. 21 della
Costituzione) e della libertà di iniziativa economica
(art. 41 della Costituzione), nonché del giudicato
costituzionale (art. 136 della Costituzione).
2.— Preliminarmente devono essere esaminate le
eccezioni di inammissibilità
variamente prospettate dalla difesa del Presidente del
Consiglio dei ministri e di alcune parti costituite.
Le eccezioni sono infondate.
Va premesso che, ai fini della rilevanza delle
questioni sollevate, la motivazione del rimettente
appare complessivamente plausibile.
Il punto essenziale delle ragioni giustificative
della proposizione delle questioni di legittimità
costituzionale e della loro rilevanza nel giudizio
sulla domanda di annullamento
dei provvedimenti, emessi in data 28 luglio 1999, di
attribuzione delle concessioni ed autorizzazioni per
la radiodiffusione televisiva privata su frequenze
terrestri in ambito nazionale, è stato evidenziato
nell’ordinanza di rimessione.
In quest'ultima, infatti,
si sottolinea che la caducazione del regime
transitorio comporterebbe che sia "incrementata
la disponibilità delle frequenze da assegnare ad
altri aspiranti, con evidente beneficio del pluralismo
nella manifestazione del pensiero e
nell’informazione".
Nel contempo, il
collegio rimettente precisa che l’obiettivo della
sottoposizione delle questioni all'esame della Corte
è quello di impedire la continuazione in modo
indefinito — attraverso "una facoltà non
delimitata nel tempo" — dell’assetto
giudicato incostituzionale dalla sentenza n.
420 del 1994, con conseguenze sulla disponibilità
delle frequenze, sul pluralismo informativo e, quindi,
sulla legittimità delle impugnate concessioni ed
autorizzazioni, nonché delle relative clausole.
3.— E' ininfluente la circostanza che la rete
analogica terrestre eccedente (in ambito nazionale)
occupi frequenze terrestri non rispondenti (in tutto o
in parte) ad una rete configurabile nel piano delle
frequenze.
Infatti, vi sarebbero sempre frequenze che verrebbero liberate con la
cessazione del periodo transitorio e l’avvio, per le
reti eccedenti, del trasferimento delle trasmissioni
esclusivamente sul cavo o sul satellite (combinato
disposto dell'art. 3, commi 6 e 7, della legge n. 249
del 1997).
Allo stesso modo, una caducazione
totale o parziale del denunciato
art. 3, comma 7, della citata legge sarebbe in
grado di produrre effetti indiretti sulle
disposizioni, di cui ai commi 9 (terza rete Rai senza
pubblicità) e 11 (rete eccedente di televisione a
pagamento) che richiamano lo stesso comma 7 per
fissare il termine di connessi ed interdipendenti
periodi transitori (coincidenti anche nella data
fissata dalla deliberazione Agcom
7 agosto 2001, n. 346). La conseguenza sarebbe sempre
quella di consentire una diversa distribuzione delle
risorse economiche derivanti dalla pubblicità, nonché, relativamente alla rete criptata eccedente, la
liberazione di frequenze.
4.— Ai fini della rilevanza della questione di
legittimità costituzionale della norma che
attribuisce all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il potere di
stabilire il termine per la fine del regime
transitorio, è ugualmente ininfluente la circostanza
che, con deliberazione n. 346 del 2001 della stessa
Autorità, sia sopravvenuta una prima (e non
definitiva) fissazione in via amministrativa di detto
termine. Né può, tantomeno,
profilarsi l'ipotesi di una restituzione degli atti al
giudice a quo, in quanto trattasi di atto amministrativo, che non
può incidere sulla presente questione di legittimità
costituzionale della norma che lo prevede, se non per
confermare — attraverso l’attuazione concreta
della stessa norma denunciata — il contenuto e i
relativi dubbi sollevati sul comma 7 dell’art. 3
della legge n. 249 del 1997.
Infatti, il termine del 31 dicembre 2003, fissato
in via amministrativa, è accompagnato — proprio in
adempimento della previsione normativa relativa al
raggiungimento di un "effettivo e congruo
sviluppo dell’utenza dei programmi radiotelevisivi
via satellite e via cavo" — da una espressa e motivata riserva
di rivedere il termine stesso entro il 31 gennaio
2003. Nella motivazione è chiarita la ragione di tale
riserva, ritenendosi opportuno "effettuare in data antecedente
una verifica circa lo sviluppo dei sistemi alternativi
di diffusione in modo da controllare se,
all’avvicinarsi della data indicata, le previsioni
assunte si rivelino corrette".
In altre parole, è prevista una nuova valutazione
— in un momento in cui è possibile disporre di un quadro di
riferimento più certo — con il fine di variare il
termine, posticipandolo o anticipandolo, all'esito
della verifica del raggiungimento, rispettivamente, di
un limite di quota inferiore al 35%, o superiore al
45%, delle "famiglie digitali" raggiunto al
31 dicembre 2002.
Giova subito sottolineare
che — sulla base delle esaustive risultanze
istruttorie e delle relative proiezioni, secondo i
dati e le valutazioni di stima offerti dagli stessi
organi preposti al settore delle comunicazioni, anche
alla luce delle emerse difficoltà economiche e di
sviluppo (sopravvenute ed imprevedibili alla data del
7 agosto 2001) — deve escludersi la realizzabilità
in Italia in tempi congrui della soglia minima
prevista di diffusione dei sistemi di trasmissione
televisiva alternativi alla via terrestre analogica
(cavo, satellite, digitale terrestre).
Segnatamente, infatti, il sistema di trasmissione
via cavo si trova "a
uno stato poco più che embrionale".
Il sistema di trasmissione via satellite, come risulta dagli atti acquisiti,
raggiunge un modesto numero di utenti.
Infine, la televisione digitale terrestre si trova
ancora in una fase di mera sperimentazione.
Pertanto, il regime transitorio, agganciato al
criterio dello sviluppo effettivo e congruo
dell’utenza dei programmi radiotelevisivi via
satellite e via cavo (art. 3, comma 7, della legge n.
249 del 1997), non è destinato a concludersi
in tempi ragionevolmente brevi. Tutti gli elementi
raccolti dall’istruttoria conducono, anzi, a
ritenere irrealizzabile, in periodi prossimi o almeno
ragionevolmente susseguenti in maniera certa e
definitiva, il rispetto del termine previsto in via
amministrativa sulla base dei criteri fissati dal
citato comma 7 dell’art. 3.
5.— Del tutto ininfluente, ai fini delle
questioni sollevate, deve ritenersi anche l’invocato
decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5 (Disposizioni
urgenti per il differimento di termini in materia di
trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di
impianti radiotelevisivi), convertito, con
modificazioni, nella legge 20 marzo 2001, n. 66.
Il predetto decreto contiene disposizioni
riguardanti la televisione privata in ambito locale
(art. 1, comma 1); la radiodiffusione sonora in
tecnica digitale e anche analogica (art. 1, commi 2,
2-bis, 2-ter e 2-quater); la
riduzione di inquinamenti
da emissioni di radiodiffusione sonora e televisiva
(art. 2, comma 1); le antenne per la telefonia mobile
(art. 2, comma 1-bis); la sperimentazione e le
agevolazioni per l’avvio dei mercati di programmi
televisivi digitali su frequenze terrestri (art. 2-bis,
commi 1 e 2); l'indicazione dell'anno 2006 entro il
quale "le trasmissioni televisive di programmi e
dei servizi multimediali su frequenze terrestri devono
essere irradiati esclusivamente in tecnica
digitale" (art. 2-bis, comma 5); e altri
punti, infine, di interesse scientifico e di
propulsione di nuove tecnologie.
Si tratta di aspetti
estranei al presente giudizio e privi di riflesso
sulle sollevate questioni di legittimità
costituzionale, che investono l’attuazione del
sistema delle misure anticoncentrative
e il termine del relativo regime transitorio,
incentrato sulle trasmissioni in ambito nazionale su
frequenze terrestri con tecnica analogica.
6.— Nessuno ostacolo
ad un esame del merito delle questioni sollevate può,
inoltre, derivare dalla mancanza di assegnazione delle
frequenze; dal preteso accantonamento del piano
analogico; dalla attuale parziale localizzazione delle
emittenti in siti non pianificati; dalle difficoltà
pratiche di futura assegnazione provvisoria di
frequenze; dalle esigenze di un ulteriore intervento
legislativo per le modalità di messa a regime del
sistema in seguito ad un eventuale superamento della
fase transitoria.
Gli anzidetti profili attengono, invero, alle
modalità di successiva attuazione di una eventuale pronuncia di
illegittimità costituzionale delle norme denunciate,
nonché, in alcuni casi, alle esigenze di un ulteriore
intervento legislativo. Come tali, detti aspetti
possono incidere non sulla ammissibilità
delle questioni sollevate, ma, semmai, sulla tipologia
di decisione della Corte.
7.— Sul merito delle questioni di legittimità
costituzionale proposte, occorre anzitutto sottolineare i seguenti punti.
A) Le questioni sollevate riguardano solo la
radiodiffusione televisiva privata nazionale in chiaro
su frequenze terrestri con tecnica analogica.
Tuttavia la sorte del censurato comma 7 dell'art. 3
della legge n. 249 del 1997 si riflette evidentemente
sulle collegate previsioni di termine contenute nel
comma 9 dello stesso articolo (relativo alla
realizzazione da parte della RAI
della terza rete senza pubblicità), e nel comma 11
(relativo alla rete eccedente che trasmette in forma
codificata, c.d. televisione a pagamento).
B) La formazione dell’esistente sistema
televisivo italiano privato in ambito nazionale ed in
tecnica analogica trae origine da situazioni di mera
occupazione di fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza rilascio di
concessioni e autorizzazioni), al di fuori di ogni
logica di incremento del pluralismo nella
distribuzione delle frequenze e di pianificazione
effettiva dell'etere.
Detta occupazione di fatto è
stata, peraltro, in varie occasioni per lunghi periodi
temporali, legittimata ex post e sanata con il
consentire "la prosecuzione delle attività delle
singole emittenti radiotelevisive private con gli
impianti in funzione al 1° ottobre 1984"
(decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807, recante:
"Disposizioni urgenti in materia di trasmissioni
radiotelevisive", convertito, con modificazioni,
nella legge 4 febbraio 1985, n.10,
prorogato con decreto-legge 1° giugno 1985, n. 223,
recante: "Proroga di termini in materia di
trasmissioni radiotelevisive", convertito nella
legge 2 agosto 1985, n. 397).
Anche per gli impianti in esercizio all'entrata in
vigore della legge 6 agosto 1990, n. 223, recante:
"Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico
e privato", è stata data l’autorizzazione a
"proseguire nell’esercizio… a condizione di
avere inoltrato domanda per il rilascio della
concessione" e fino ad un termine di 730 giorni
(art. 32, comma 1; v. sentenza n.
408 del 1996), prorogato dal decreto-legge 19
ottobre 1992, n.407
(Proroga dei termini in materia di
impianti di radiodiffusione), convertito, con
modificazioni, nella legge 17 dicembre 1992, n. 482.
I termini di prosecuzione sono stati, ulteriormente
prorogati dai seguenti atti normativi: decreto-legge
27 agosto 1993 n. 323 (Provvedimenti urgenti in
materia radiotelevisiva), convertito, con
modificazioni, nella legge 27 ottobre 1993, n. 422;
decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545 (Disposizioni
urgenti per l'esercizio dell'attività radiotelevisiva
e delle telecomunicazioni), convertito, con
modificazioni, nella legge 23 dicembre 1996, n. 650;
legge 31 luglio 1997, n. 249; legge 30 aprile 1998, n.
122 (Differimento di termini previsti dalla legge 31
luglio 1997, n. 249 relativi all'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni, nonché
norme in materia di programmazione e di interruzioni
pubblicitarie televisive); decreto-legge 30 gennaio
1999, n.15 (Disposizioni
urgenti per lo sviluppo equilibrato dell'emittenza televisiva e per
evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni
dominanti nel settore radiotelevisivo), convertito,
con modificazioni, nella legge 29 marzo 1999, n.78; decreto del ministro delle
comunicazioni 28 luglio 1999.
La protrazione del termine è stata motivata: fino
al luglio 1997, dall’attesa della riforma
complessiva del sistema radiotelevisivo e della
predisposizione del nuovo piano di
assegnazione delle frequenze; fino al luglio
1999, dall’attesa del rilascio delle concessioni; in
epoca successiva, dall'esigenza di attendere i tempi
di attuazione del piano di assegnazione delle
frequenze (approvato con deliberazione 30 ottobre 1998
dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni).
C) L'attuale sistema di radiodiffusione televisiva
su frequenze terrestri con tecnica analogica mantiene
immutata la caratteristica di ristrettezza delle
frequenze e quindi di assai limitato numero delle reti
realizzabili a copertura nazionale.
Il piano nazionale di assegnazione
delle frequenze — sulla base di 51 canali
pianificati (3 per ciascuna rete) — ha previsto 17
reti, di cui 11 assegnate alla radiodiffusione
televisiva in ambito nazionale (3 utilizzate dalla
televisione pubblica-RAI e
8 destinate a quella privata, sempre in ambito
nazionale) e le rimanenti 6 reti, pari al 35,3%,
riservate alle esigenze della radiodiffusione
televisiva in ambito locale.
Rispetto a quella esaminata
dalla sentenza n.
420 del 1994, la situazione di ristrettezza delle
frequenze disponibili per la televisione in ambito
nazionale con tecnica analogica si è, pertanto,
accentuata, con effetti ulteriormente negativi sul
rispetto dei principi del pluralismo e della
concorrenza e con aggravamento delle concentrazioni.
Si è passati, infatti, da una previsione di 12 reti
nazionali (9 private, 3 pubbliche), ad 11 reti (8
private, 3 pubbliche), oltre alle televisioni criptate a pagamento. Alle
televisioni private sono state rilasciate, in data 28
luglio 1999, soltanto sette concessioni, peraltro
senza attribuzione di frequenze, mentre nella fase
transitoria sono state mantenute in esercizio con le
frequenze già utilizzate anche le tre reti private
nazionali riconducibili ad unico soggetto.
8.— La descritta situazione di fatto non
garantisce, pertanto, l'attuazione del principio del
pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno
degli "imperativi" ineludibili
emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in
materia. Questa Corte ha, infatti, costantemente
affermato la necessità di assicurare l'accesso al
sistema radiotelevisivo del "massimo numero
possibile di voci diverse" (sentenza n.
112 del 1993), ed ha sottolineato
l'insufficienza del mero concorso fra un polo pubblico
e un polo privato ai fini del rispetto delle
evidenziate esigenze costituzionali connesse
all'informazione (sentenze n.
826 del 1988 e n.
155 del 2002).
L'obiettivo di garantire, tra l'altro, il
pluralismo dei mezzi di informazione
è stato sottolineato, in una prospettiva più ampia,
anche a livello comunitario in recenti direttive:
direttiva 2002/19/CE, relativa all'accesso alle reti
di comunicazione elettronica, alle risorse correlate e
all'interconnessione delle medesime (direttiva di
accesso); direttiva 2002/20/CE, relativa alle
autorizzazioni per le reti e i servizi di
comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni);
direttiva 2002/21/CE, che istituisce un quadro
normativo comune per le reti ed i servizi di
comunicazione elettronica (direttiva quadro);
direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale
e ai diritti degli utenti in materia di reti e di
servizi di comunicazione elettronica (direttiva
servizio universale).
In questo quadro la protrazione della situazione
(peraltro aggravata) già ritenuta illegittima dalla
sentenza n.
420 del 1994 ed il mantenimento delle reti
considerate ancora "eccedenti" dal
legislatore del 1997 esigono, ai fini della
compatibilità con i principi costituzionali, che sia previsto un termine finale
assolutamente certo, definitivo e dunque non
eludibile.
9.— Tanto ritenuto è, tuttavia, da precisare che
la esigenza di un
equilibrato passaggio di riconversione del sistema di
trasmissione delle reti eccedenti i limiti anticoncentrativi non esclude la
legittimità sul piano costituzionale di un regime
transitorio in cui si dilazioni temporaneamente
l’applicazione, rispetto a situazioni preesistenti,
dei limiti anzidetti.
Del resto, l'esistenza di un regime
transitorio è stata già ritenuta legittima da questa
Corte (sentenza n.
420 del 1994), la quale
già in precedenza aveva precisato che la fase
transitoria non poteva assumere "di fatto
carattere definitivo", senza che
la Corte
stessa effettuasse "una diversa valutazione con
le relative conseguenze" (sentenza n.
826 del 1988).
La illegittimità
costituzionale non investe il regime transitorio in
deroga e nemmeno l'attuale prosecuzione, purché
temporaneamente limitata, dell’esercizio delle
emittenti in eccedenza rispetto ai limiti anzidetti
(combinato disposto dell’art. 2, comma 6, e
dell’art. 3, commi 6, 9 e 11).
10.— Non sussiste, inoltre, il vizio
denunciato derivante dal coinvolgimento, in funzione
garantistica, dell’Autorità per le garanzie delle
comunicazioni. Non è, infatti, l’affidamento della
concreta determinazione del termine ad una Autorità amministrativa
indipendente a comportare vizi di legittimità
costituzionale del termine stesso, bensì il suo
aggancio a criteri e modalità fissati dal
legislatore, non idonei ad assicurare — legati come
sono ai tempi di realizzazione dei sistemi alternativi
di trasmissione — alcuna certezza di cessazione
della fase transitoria entro un termine congruo e
definitivo.
11.— L'individuazione di un termine finale, entro
il quale possa avvenire la
cessazione definitiva del regime transitorio
dell’art. 3, comma 7, e delle collegate previsioni
dei commi 9 e 11 della legge n. 249 del 1997, può
essere ricavata dalla valutazione di congruità
tecnica dei tempi di passaggio al regime definitivo
effettuata dalla Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni con la delibera n. 346 del
2001. L
'Autorità ha indicato la data del 31 dicembre 2003
quale termine ritenuto sufficiente per le semplici
operazioni di trasferimento delle reti analogiche
eccedenti, tanto in chiaro che in forma codificata.
In altre parole, una volta esclusa la tollerabilità
di una protrazione dell’anzidetto regime transitorio
fino alla realizzazione di un congruo sviluppo della utenza satellitare e via
cavo e di altri sistemi alternativi alla diffusione
terrestre in tecnica analogica, può essere assunto
quale termine di chiusura quello già ritenuto
tecnicamente utilizzabile dall’Autorità. Ciò a
prescindere dal raggiungimento della prevista quota di
"famiglie digitali", che rimane indipendente
dalle operazioni tecniche di trasferimento verso
sistemi alternativi a quello analogico su frequenze
terrestri.
D’altro canto, la data del 31 dicembre 2003 offre
margini temporali all'intervento del legislatore per
determinare le modalità della definitiva cessazione
del regime transitorio di cui al
comma 7 dell’art. 3 della legge n. 249 del
1997.
E' appena il caso di precisare che la presente
decisione, concernente le trasmissioni radiotelevisive
in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche,
non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe
derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione
digitale terrestre, con conseguente aumento delle
risorse tecniche disponibili.
12.— Sulla base delle esposte considerazioni,
deve dichiararsi l'illegittimità costituzionale
dell’art. 3, comma 7, della legge 31 luglio 1997, n.
249, nella parte in cui non prevede la fissazione di
un termine finale certo, e non prorogabile, che
comunque non oltrepassi il
31 dicembre 2003, entro il quale i programmi,
irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al
comma 6 dello stesso art. 3, devono essere trasmessi
esclusivamente via satellite o via cavo. Ovviamente ciò
è destinato a riflettersi sulla portata dei commi 9 e
11 dell'art. 3 della legge n. 249 del
1997 in
forza dell'evidenziato collegamento con il comma 7
dello stesso art. 3, quale risultante dalla presente
decisione .
Vanno, invece, dichiarate non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art.
2, comma 6, e dell’art. 3, comma 6, della citata
legge n. 249 del 1997, sollevate in
riferimento agli artt. 3,
21, 41 e 136 della Costituzione.
Per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la
illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7,
della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione
dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e
norme sui sistemi delle telecomunicazioni e
radiotelevisivo), nella parte in cui non prevede la
fissazione di un termine finale certo, e non
prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31
dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati
dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6
dello stesso art. 3, devono essere trasmessi
esclusivamente via satellite o via cavo;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell'art. 2, comma 6, e dell'art. 3, comma 6, della
legge 31 luglio 1997, n. 249, sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 21, 41 e 136 della Costituzione, con
l'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del
Lazio indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta,
il 20 novembre 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2002.
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