Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013
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Giurisprudenza

Corte costituzionale - Sentenza 13 luglio 1988 n. 826

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Dott. Francesco SAJA,

Giudici

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo uni co delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), in relazione agli artt. 1, 2 e ss. e 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva) e 2 della legge 10 dicembre 1975, n. 693 (Ristrutturazione del Consiglio superiore tecnico delle poste, delle telecomunicazioni e dell'automazione) e degli artt. 2, 3 e 4 della legge 4 febbraio 1985, n. 10 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807, recante disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 4 maggio 1982 dal Pretore di Roma nei procedimenti civili riuniti vertenti tra la S.p.A. RAI e Canale 5 ed altri, iscritta al n. 771 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46 dell'anno 1983;

2) ordinanza emessa il 25 febbraio 1985 dal Pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Berlusconi Silvio ed altri, iscritta al n. 430 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 287 bis dell'anno 1985;

3) ordinanza emessa il 4 febbraio 1986 dal Tribunale di Genova nel procedimento penale a carico di Patti Giuseppe, iscritta al n. 414 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1986;

Visti gli atti di costituzione di Rusconi Editore, Quinta Rete, Antenna Nord, Antenna Nord Piemonte, della Federazione Italiana Emittenti Locali, di Telespazio Calabria, di Tele Libera Firenze e Tele Tirreno Uno, di Roma 2, Telemilano, Teletorino, Sardegna TV e Video Adige, della S.p.A. Delta, di Teletoscana, della RAI, di Marcucci Marialina ed altro, di Alby Renato, di Barberi Giuseppe e dell'Associazione Nazionale Teleradio Indipendenti nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 1988 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

uditi l'avv. Francesco Vassalli per Rusconi Editore, Quinta Rete, Antenna Nord e Antenna Nord Piemonte, l'avv. Elio Fazzalari per Telespazio Calabria, l'avv. Carlo Vichi per Tele Libera Firenze e Tele Tirreno Uno, gli avvocati Aldo Bonomo e Cesare Previti per Roma 2, Telemilano, Teletorino, Sardegna TV e Video Adige, gli avvocati Aldo Bonomo e Felice Vaccaro per Teletoscana, gli avvocati Paolo Barile, Alessandro Pace e Attilio Zoccali per la S.p.A. RAI, l'avv. Carlo Vichi per Marcucci Marialina ed altro, gli avvocati Aldo Bonomo e Vittorio Dotti per Alby Renato, l'avv. Mario Contaldi per Barberi Giuseppe, l'avv. Gino Tomei per l'Associazione Nazionale Teleradio Indipendenti e l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

8. - Con le ordinanze indicate in epigrafe, i Pretori di Roma (r.o. n. 771/82) e Torino (r.o. n. 430/85) ed il Tribunale di Genova (r.o. n. 414/86) impugnano un complesso di norme che disciplinano le trasmissioni radiotelevisive su scala nazionale. In particolare, il Pretore di Roma dubita - in riferimento agli artt. 21, primo comma, 41, primo comma, 9, 33 e 34 Cost. - della legittimità costituzionale della riserva allo Stato della radio-telediffusione estesa all'intero territorio nazionale, quale risulta dal combinato disposto degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (modificati dall'art. 45 l. n. 103/1975), nonchè dell'art. 2 della legge 10 dicembre 1975, n. 693 e degli artt. 1 e 2 della legge 14 aprile 1975, n. 103, mentre il Pretore di Torino e il Tribunale di Genova impugnano le disposizioni dettate negli artt. 2, 3 e 4, comma terzo bis della legge 4 febbraio 1985 n. 10, nella parte in cui consentono per il futuro e dichiarano non punibile per il passato l'attività privata di trasmissione in ambito nazionale, o comunque ultralocale, per violazione degli artt. 21, 3 e 41 Cost..

9. - Nella concreta disciplina della radiotelediffusione, com'é noto, ha inciso profondamente la giurisprudenza di questa Corte, mossa dalla costante e primaria preoccupazione di assicurare, in tale settore, l'effettiva garanzia del valore fondamentale del pluralismo.

A detto scopo, essa ha più volte e, da ultimo, con la sentenza n. 148 del 1981, ribadito la legittimità della riserva allo Stato dell'attività radiotelevisiva su scala nazionale, e ciò in vista del fine di utilità generale di evitare l'accentramento di questa attività in situazioni di monopolio od oligopolio privati. Ciò infatti consentirebbe al privato di esercitare, in una posizione di preminenza, una influenza sulla collettività incompatibile con le regole del sistema democratico, e di comprimere indebitamente la generale libertà di manifestazione del pensiero.

Le ragioni del divieto dei processi di concentrazione sono state individuate dalla Corte, con differente accentuazione e in tempi diversi, nella limitatezza delle frequenze disponibili, negli elevati costi degli impianti all'uopo necessari (sentt. nn. 59/1960 e 225/1974), e, comunque, in una serie di fattori di ordine economico che con la utilizzazione del progresso della tecnologia, fa permanere i rischi di concentrazione oligopolistica> (sent. n. 148/1981).

Così giustificata la riserva statale, la Corte si e altresì preoccupata di precisare i requisiti minimi indispensabili che consentano all'emittenza pubblica di esplicare il proprio compito, indicando una serie di criteri necessari ad improntarne la struttura organizzativa e lo svolgimento dell'attività ad un rigoroso pluralismo <interno>, onde consentire l'espressione delle varie ideologie presenti nella società (sent. n. 225/1974).

10. - La riserva di cui all'art. 43 Cost. relativa alle trasmissioni radiotelevisive, tuttavia, proprio perché trova la sua unica ragion d'essere nella difesa del pluralismo contro i pericoli di monopolio od oligopolio privato, si tradurrebbe in una ingiustificata restrizione delle libertà garantite dagli artt. 21 e 41 Cost. in tutte quelle ipotesi nelle quali non sussistano pericoli di concentrazioni.

Per tale motivo, la Corte ha ritenuto che debbano essere sottratti alla riserva statale sia l'esercizio di ripetitori di programmi televisivi esteri (sent. n. 225/1974), sia l'esercizio di impianti televisivi via cavo e via etere con raggio limitato all'ambito locale (sentt. nn. 226/1974 e 202/1976), sia, infine, la facoltà di effettuare, anche in regime di autorizzazione, la trasmissione di programmi destinati alla diffusione circolare verso l'estero (sent. n. 153/1987).

Coerentemente a tale impostazione, la Corte, nella sentenza n. 148 del 1981, ha così ipotizzato anche la possibilità dell'abbandono della riserva statale delle trasmissioni su scala nazionale, a condizione che il legislatore predisponga un efficace sistema di garanzie idoneo ad attuare il fondamentale principio del pluralismo.

11. - Nell'accingersi ad esaminare le questioni attualmente portate alla sua attenzione, la Corte ritiene necessario ribadire il valore centrale del pluralismo in un ordinamento democratico.

Allo stesso fine reputa indispensabile, altresì, chiarire che il pluralismo dell'informazione radiotelevisiva significa, innanzitutto, possibilità di ingresso, nell'ambito dell'emittenza pubblica e di quella privata, di quante più voci consentano i mezzi tecnici, con la concreta possibilità nell'emittenza privata -perchè il pluralismo esterno sia effettivo e non meramente fittizio-che i soggetti portatori di opinioni diverse possano esprimersi senza il pericolo di essere emarginati a causa dei processi di concentrazione delle risorse tecniche ed economiche nelle mani di uno o di pochi e senza essere menomati nella loro autonomia.

Sotto altro profilo, il pluralismo si manifesta nella concreta possibilità di scelta, per tutti i cittadini, tra una molteplicità di fonti informative, scelta che non sarebbe effettiva se il pubblico al quale si rivolgono i mezzi di comunicazione audiovisiva non fosse in condizione di disporre, tanto nel quadro del settore pubblico che in quello privato, di programmi che garantiscono l'espressione di tendenze aventi caratteri eterogenei.

12. - I principi informatori dell'attività radiotelevisiva indicati dalla Corte si sono tradotti, per quanto concerne l'emittenza pubblica, nella legge n. 103 del 1975.

Sono rimaste invece a lungo prive di qualsiasi seguito legislativo le indicazioni sull'emittenza privata. Per quanto concerne, in particolare, le trasmissioni via etere in ambito locale, il legislatore non ha ancora dato risposta ai ripetuti richiami di questa Corte sulla necessità dell'adozione di una idonea disciplina che-definendo l'ambito locale e fissando i criteri per l'assegnazione delle frequenze e per il rilascio delle indispensabili autorizzazioni-armonizzi l'esercizio del l'iniziativa privata con le esigenze del servizio pubblico nazionale (sent. n. 202/1976 e, nello stesso senso, sentt. nn. 237/1984, 35/1986 e ord. n. 35/1987).

Il vuoto legislativo, protrattosi per un notevole periodo di tempo, ha oggettivamente favorito il proliferare incontrollato dell'emittenza privata che-senza richiedere la <previa> autorizzazione pur ritenuta necessaria da questa Corte, seguita in ciò dalla Cassazione e dal Consiglio di Stato-procedeva ad un'invasione dell'etere, sconfinando anche in bande assegnate ad altri utilizzatori.

13. - In questo quadro, si e affermata la pratica del collegamento tra più emittenti locali allo scopo di trasmettere programmi comuni sull'intero territorio nazionale, o, comunque, in ambito ultralocale. Il che e stato al centro di opposti orientamenti giurisprudenziali.

Da una parte, infatti, si sosteneva l'illiceità delle trasmissioni in interconnessione su scala nazionale per violazione della riserva statale; dall'altra, invece, si distingueva tra inter connessione strutturale o degli impianti e interconnessione funzionale o dei programmi, realizzata mediante la diffusione in contemporanea, o con un brevissimo sfasamento di tempi, dello stesso programma preregistrato: si concludeva, così, che solo la prima doveva ritenersi compresa nella riserva statale, mentre la seconda poteva essere lecitamente praticata dai privati, poichè le singole emittenti si limitavano a trasmettere ciascuna nel proprio limitato ambito (locale).

Sulla materia, la Corte, nella sentenza n. 148 del 1981, premesso che <una serie di fattori di ordine economico, con la utilizzazione del progresso della tecnologia, fa permanere i rischi di concentrazione oligopolistica attraverso lo strumento della interconnessione e degli altri ben noti mezzi di collegamento di vario tipo oggi esistenti per le trasmissioni televisive> ha affermato che la soluzione della questione di legittimità costituzionale concernente il <fenomeno delle interconnessioni fra stazioni locali emittenti, effettuate in modo tale da estendere la diffusione a tutto il territorio nazionale> <scaturisce da tutto quanto già detto a proposito della liceità della riserva allo Stato delle trasmissioni su scala nazionale>. <Il rilievo costituzionale della questione, invero - ha aggiunto la Corte-si esaurisce nell'aspetto ... limitato all'ipotesi in cui la interconnessione conduca ad una trasmissione che travalichi i limiti di liberalizzazione delineati da questa Corte con la sent. n. 202 del 1976. Ogni diverso aspetto del fenomeno, sia per quanto riguarda i mezzi usati, sia per quanto riguarda l'ambito e le modalità di esercizio delle trasmissioni sono materia devoluta alla regolamentazione legislativa sulla cui urgente attuazione e già stata richiamata l'attenzione degli organi competenti>.

14. - Il nutrito contenzioso giudiziario che ha continuato ad investire le trasmissioni private in interconnessione-fino a concludersi, in taluni casi, con l'oscuramento> delle emittenti collegate-ha infine indotto il legislatore ad intervenire.

Dopo un primo decreto-legge (20 ottobre 1984, n. 694), la cui conversione, alla Camera dei Deputati, e stata impedita dall'accoglimento di pregiudiziali di incostituzionalità, il Governo ha adottato il D.L. 6 dicembre 1984, n. 807, successivamente convertito, con modificazioni, nella legge 4 febbraio 1985 n. 10.

Questo testo contiene, nell'art. 1, alcune disposizioni generali, tra le quali: il primo comma, che ribadisce il carattere di preminente interesse generale della diffusione sonora e televisiva e la sua riserva allo Stato; il secondo comma, che enuncia i principi di pluralismo e libertà di manifestazione del pensiero che debbono ispirare un sistema misto di emittenza pubblica e privata; infine, il quinto comma, che rinvia alla futura legge generale sul sistema radiotelevisivo per la compiuta disciplina dell'emittenza privata, comprese le norme dirette ad evitare situazioni di oligopolio, ad assicurare la trasparenza degli assetti proprietari e a regolare la pubblicità nazionale e quella locale.

L'art. 2 detta poi indicazioni per la redazione del piano di assegnazione delle frequenze. Un gruppo di articoli contiene norme organizzative della società concessionaria del servizio pubblico (artt. 5-9), mentre altre disposizioni concernono i limiti di affollamento delle trasmissioni pubblicitarie (art. 3-bis) la percentuale minima di tempi di trasmissione da riservare alla diffusione di films di produzione nazionale o comunitaria (art. 3, quarto comma) nonchè prescrizioni concernenti la propaganda elettorale (art. 9-bis).

Il fulcro del provvedimento risiede negli artt. 3 e 4, li dove dettano una disciplina dell'emittenza privata.

L'art. 3, che reca la rubrica <norme transitorie>, dispone al primo comma che <sino all'approvazione della legge generale sul sistema radiotelevisivo e comunque non oltre sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e consentita la prosecuzione dell'attività delle singole emittenti radiotelevisive private con gli impianti di radiodiffusione già in funzione alla data del 1o ottobre 1984, fermo restando il divieto di determinare situazioni di incompatibilità con i pubblici servizi>.

Il secondo comma poi stabilisce che, ai fini di quanto previsto dal precedente comma, <sono provvisoriamente consentiti, per ogni singola emittente, ponti radio tra i propri studi di emissione, i rispettivi trasmettitori e tra gli stessi ed i ripetitori con le caratteristiche tecniche in atto>.

Il terzo comma infine stabilisce che <E’ consentita la trasmissione ad opera di più emittenti dello stesso programma pre-registrato, indipendentemente dagli orari prescelti>.

L'art. 4, impone agli esercenti di impianti di radiodiffusione l'obbligo di comunicarne al Ministero le caratteristiche tecniche, chiarendo che tale comunicazione integra la denuncia di detenzione già imposta dall'art. 403 cod. post., e dispone infine, nel comma terzo bis, aggiunto in sede di conversione, che la sua presentazione nei termini <rende non punibili le violazioni amministrative e penali, di cui all'art. 195 del codice postale...commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto>.

Pressochè contemporaneamente alla approvazione della legge in questione, il Governo presentava un disegno di legge (n. 2508) di riforma del sistema radiotelevisivo, il cui iter si arrestava dopo una fase iniziale di discussione nelle competenti Commissioni della Camera dei Deputati.

La nuova normativa rappresentata dalla legge n. 10 del 1985 provocava a sua volta numerosi problemi interpretativi ed applicativi, nonchè i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dai giudici di Genova e di Torino.

Alla scadenza del termine semestrale previsto dal primo comma dell'art. 3, veniva presentato dal Governo un decreto-legge (1o giugno 1985, n. 223, convertito nella l. 2 agosto 1985, n. 397) con il quale si prorogava il termine al 31 dicembre 1985.

Dopodichè nessuna proroga veniva più proposta.

15. - In questo complesso quadro normativo e giurisprudenziale si collocano le ordinanze di rimessione.

Per quanto concerne la questione proposta dal Pretore di Roma, e necessario innanzitutto vagliare l'eccezione di irrilevanza prospettata dalla difesa di alcune emittenti private (par. 5.l.), sia in riferimento alla precedente disciplina legislativa impugnata dal giudice a quo, sia con riguardo al sopravvenuto art. 3, terzo comma introdotto dal D.L. n. 807 del 1984 convertito nella l. n. 10 del 1985.

L'eccezione muove dal presupposto della liceità originaria delle trasmissioni private nazionali effettuate in interconnessione funzionale, e dunque dall'affermazione secondo la quale l'art. 3, terzo comma citato non sarebbe altro che una norma di interpretazione autentica, che si limiterebbe, come tale, ad esplicitare un precetto già contenuto negli artt. 195 cod. post., 1 e 2 della legge n. 103 del 1975, sicchè la pronuncia di questa Corte non potrebbe esplicare alcuna influenza nel giudizio a quo.

L'eccezione non può essere accolta. L'asserzione della liceità ab origine dell'interconnessione suddetta non e affatto suffragata, come si pretende, dalla sentenza n. 148 del 1981, e rende quindi inconsistente la tesi della natura meramente interpretativa dell'art. 3 terzo comma, tesi che, del resto, dopo un inizio incerto, non é stata seguita dalla successiva giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Le stesse parti private, in via subordinata, e l'Avvocatura dello Stato nella sua ultima memoria, hanno chiesto la restituzione degli atti al giudice a quo, perchè verifichi se, in virtù della sopravvenuta legge n. 10 del 1985, la medesima questione sia ancora rilevante.

La richiesta non può essere accolta, poichè le uniche norme che effettivamente innovano alla disciplina impugnata- gli artt. 3, primo, secondo e terzo comma e 4, comma terzo bis della nuova legge-non hanno fatto venir meno, come chiaramente e inequivocabilmente si evince dal loro contenuto, il principio della riserva allo Stato della diffusione sonora e televisiva sull'intero territorio nazionale, ribadito dall'art. 1, primo comma, mentre il secondo comma del medesimo articolo richiama i principi ispiratori del sistema misto.

16. - Nel merito, il Pretore di Roma sostiene innanzitutto che la concreta evoluzione successiva alla sentenza di questa Corte n. 148 del 1981 smentirebbe la prognosi in questa formulata circa i rischi di un monopolio privato dell'informazione, di situazioni di oligopolio, o, comunque, di concentrazioni oligopolistiche.

Secondo il giudice a quo la realtà effettuale sarebbe invero quella di un sistema misto assai articolato e composito, caratterizzato dalla presenza, accanto al servizio pubblico, di tre gruppi privati operanti su scala nazionale, i quali sarebbero del tutto autonomi ed in vivace concorrenza tra loro (oltre che con il servizio pubblico) ed assicurerebbero percio-con la contrapposizione di tre voci discordi sufficienti a controbilanciarsi reciprocamente-un adeguato pluralismo.

Di qui, a suo avviso, il contrasto della riserva statale con l'art. 21 Cost.

A tale censura il giudice a quo ne aggiunge un'altra, con cui, assumendo come parametri costituzionali di riferimento gli artt. 9, 33 e 34 Cost. osserva che se il costituente ha esplicitamente negato il monopolio dello Stato nel settore dell'istruzione (art. 33, terzo comma), nonostante che questa rappresenti un suo fine istituzionale e che siano ivi maggiori -quanto ad incidenza sulla formazione socio-culturale dei discenti-i rischi insiti in situazioni di oligopolio dell'istruzione privata; a maggior ragione il monopolio dovrebbe essere negato nel settore dell'informazione televisiva, non rientrando la gestione di tale mezzo di diffusione tra i compiti istituzionali dello Stato.

E’ indubitabile però che le disposizioni citate (artt. 9, 33 e 34) non contengono evidentemente la disciplina costituzionale dell'attività radiotelevisiva, come questa Corte ha già chiarito nella sentenza n. 59 del 1960: e perciò quella ora riferita non e una censura ancorata a precisi parametri costituzionali, bensì una semplice argomentazione. Ma anche valutata in quanto tale, essa è inidonea a sorreggere la tesi del giudice a quo, perchè omette di considerare sia le specifiche ragioni della previsione costituzionale di libertà dell'istituzione di scuole private, sia che l'informazione radiotelevisiva ha caratteri di capillarità, suggestività ed estrema capacita di incidenza sulla formazione dell'opinione pubblica (sent. n. 148 del 1981) talmente peculiari da rendere improponibile il paragone proposto.

17. - Le censure del Pretore di Roma si rivelano infondate anche rispetto al primo dei profili dianzi prospettati, quello cioé attinente alla asserita erroneità della previsione formulata da questa Corte nel 198l. Invero, l'evoluzione della situazione di fatto ha dimostrato ampiamente che il rischio della formazione di un oligopolio paventato dalla Corte si e trasformato in realtà.

Strettamente connesso é l'elemento della incidenza della pubblicità, <indispensabile per la sopravvivenza dei mezzi di comunicazione di massa, si tratti di organi di stampa ovvero delle emittenti radiotelevisive, pubbliche e private>, secondo quanto sottolineato dalla Corte proprio a proposito di queste ultime, nella sentenza n. 231 del 1985.

Nella medesima sentenza la Corte ha richiamato in proposito anche la raccomandazione del Consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa n. R(84)3 del 23 febbraio 1984, nella quale era sollecitata, tra l'altro, la limitazione dei tempi dedicati alla pubblicità televisiva. Tale indirizzo, rapidamente affermatosi in ambito europeo, e stato poi ulteriormente ribadito e specificato: in un recente documento della CEE (Com (86)146 def.) per il <coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri, concernenti l'esercizio delle attività radiotelevisive> - sul quale il Parlamento Europeo (doc. A 2 - 246/87) ha già espresso il proprio positivo parere - e chiaramente enunciata infatti l'esigenza di limitazione del volume della pubblicità.

La necessità di porre limiti in questa materia si manifesta certamente anche in Italia, ove il volume della pubblicità televisiva ha raggiunto livelli particolarmente elevati. Tale necessità si ricollega pure al fine <che attraverso una adeguata limitazione della pubblicità, si eviti il pericolo che la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela> (sentt. nn. 225 del 1974 e 231 del 1985): di conseguenza e necessario realizzare, in attuazione del disegno costituzionale, un equilibrio delle risorse dei diversi settori dell'informazione e garantire effettivamente, anche in tal modo, <il massimo di pluralismo> informativo (sentenza n. 231 del 1985). Questa esigenza vale a maggior ragione oggi, perchè le risorse finanziarie che, attraverso la pubblicità, affluiscono al settore della stampa sono inferiori a quelle che sostengono il settore televisivo nel suo complesso.

La necessità di regolamentare la pubblicità televisiva é peraltro sottolineata, nella sentenza n. 231 del 1985, anche per <la tutela dell'utente-consumatore> che richiede <una disciplina non solo dei tempi, ma anche delle modalità di presentazione dei messaggi pubblicitari>. Inoltre, naturalmente, non debbono essere vulnerati beni e valori costituzionalmente protetti, quali la salute, la tutela dei minori, la dignità della persona, ecc..

18. - Come si é detto, nella sentenza del 1981 la Corte sottolineo l'esigenza di disciplinare non solo i collegamenti tra emittenti, e tra queste e le altre imprese operanti nel settore (cioé le imprese di servizi, pubblicitarie, produttrici e/o fornitrici di programmi) ma anche quelli tra le imprese <operanti nei vari settori dell'informazione>.

Di tale esigenza si mostrano consapevoli sia il giudice a quo laddove-riecheggiando la sentenza di questa Corte n. 225 del 1974-sollecita la valutazione del riparto delle risorse pubblicitarie tra stampa e televisione, sia soprattutto la difesa della RAI (par. 5.3.), che reputa necessaria, a salvaguardia del pluralismo, una disciplina non solo dei collegamenti suindicati, ma anche dei rapporti tra le imprese televisive e quelle di stampa.

La Corte, al riguardo, non può che limitarsi a ricordare che la regolamentazione dei rapporti tra imprese d'informazione, come, del resto, e più in generale, quella di tutti gli altri collegamenti contemplati dalla sent. n. 148 del 1981, data l'incidenza di più valori costituzionali, deve essere ispirata al criterio dell'armonica composizione e del reciproco coordinamento tra tali valori, sì che l'eventuale compressione dell'uno deve corrispondere a ragioni effettive e deve essere assistita dal necessario rapporto di congruità e proporzionalità - che spetta a questa Corte verificare - tra i mezzi ed il fine della salvaguardia del pluralismo (cfr. sentt. nn. 78 del 1970, 231 del 1985, 14 e 108 del 1987).

19. - Il Pretore di Roma allega ancora la considerazione che il pluralismo sarebbe realizzato dalla competizione concorrenziale non solo fra le reti private, ma anche fra queste e le reti del servizio pubblico, esprimenti differenti istanze socio-politiche.

Questa tesi, pur nell'ambito di un sistema misto, può ingenerare una confusione dei rispettivi ruoli dell'emittenza radiotelevisiva pubblica e di quella privata, che questa Corte ha già chiaramente precisato e le cui differenze vanno qui sottolineate.

Compito specifico del servizio pubblico radiotelevisivo é di dar voce-attraverso un'informazione completa, obiettiva, imparziale ed equilibrata nelle sue diverse forme di espressione - a tutte, o al maggior numero possibile di opinioni, tendenze, correnti di pensiero politiche, sociali e culturali presenti nella società, onde agevolare la partecipazione dei cittadini allo sviluppo sociale e culturale del Paese, secondo i canoni di pluralismo interno. Ed ovviamente spetta al legislatore di provvedere a che il servizio pubblico disponga delle frequenze e delle fonti di finanziamento atte a consentirgli di assolvere i propri compiti.

Per quanto riguarda l'emittenza radiotelevisiva privata si tratta di comporre il diritto all'informazione dei cittadini e le altre esigenze di rilievo costituzionale in materia con le libertà assicurate alle imprese principalmente dall'art. 21, oltre che dall'art. 41 Cost., in ragione delle quali il pluralismo interno e l'apertura alle varie voci presenti nella società incontra sicuramente dei limiti. Di qui la necessità di garantire, per l'emittenza privata, il massimo di pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all'informazione.

Ma a parte la diversità dei ruoli del servizio pubblico radiotelevisivo e dell'emittenza privata, il pluralismo in sede nazionale non potrebbe in ogni caso considerarsi realizzato dal concorso tra un polo pubblico e un polo privato che sia rappresentato da un soggetto unico o che comunque detenga una posizione dominante nel settore privato.

20. - Con riferimento ai diversi ambiti dell'emittenza privata, talune parti evidenziano, da un lato la netta distinzione tra vere e proprie reti nazionali e circuiti minori (parr. 4.5.5. e 6.1.); dall'altro sottolineano e lamentano il ruolo marginale ormai riservato all'emittenza locale, che si troverebbe in situazione di difficoltà, con rischi di estinzione o di assorbimento nei maggiori circuiti (parr. 6.1. e 7.3.). Per contro, lo sviluppo di un sistema informativo in grado di dar viva voce alle specifiche realtà locali rientra nell'imprescindibile compito di dare espressione a quelle istituzioni che rappresentano il tessuto connettivo del Paese: il che richiede, come ineluttabile conseguenza, che sia assicurata l'effettiva autonomia di tali emittenti, anche attraverso un'adeguata disponibilità di frequenze e di risorse pubblicitarie.

21. - L'ultima censura sollevata, in via subordinata, dal Pretore di Roma nei confronti della riserva allo Stato delle trasmissioni in ambito nazionale, muove dalla considerazione che le emittenti operanti in tale ambito diffondono prevalentemente, e talora esclusivamente, programmi di puro spettacolo, solo eventualmente culturale, ovvero di intrattenimento e di svago. In riferimento a tali programmi, in quanto distinti dall'informazione in senso tecnico, e ad avviso del Pretore incongruo il richiamo all'art. 21 Cost.

La Corte ha negato rilievo a siffatta distinzione ed ha sempre inteso l'informazione in senso lato ed onnicomprensivo, così da includervi qualsiasi messaggio televisivo, vuoi informativo, vuoi culturale, vuoi comunque suscettibile di incidere sulla pubblica opinione.

22. - Le questioni sollevate dal Pretore di Roma sono dunque infondate sotto ogni profilo.

Quel che in linea generale deve dirsi é che, ai fini di un'adeguata regolamentazione la quale superi le carenze normative, ha un ruolo rilevante l'esigenza di realizzare un razionale ed ordinato governo dell'etere, ponendo fine all'attuale <situazione indubbiamente anomala e squilibrata>, provvedendo <all'assegnazione delle frequenze ed all'effettuazione dei relativi controlli>, assicurando <il rispetto degli obblighi internazionali>, <il coordinamento> e la <compatibilità reciproca> tra l'emittenza privata <e tutti gli altri servizi e le altre attività di radio telediffusione>: compatibilità che deve ritenersi comunque un limite pienamente apponibile tanto al l'esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, quanto (e ancora di più) all'esercizio della libertà di iniziativa economica, che nella materia delle attività di radio telediffusione e strettamente collegato e subordinato al primo (sentt. nn. 202/1976, 206 e 207/1985, 35/1986).

A ribadire ancora una volta tali esigenze induce anche il rispetto degli obblighi internazionali, quali quelli derivanti allo Stato dalla Convenzione adottata a Nairobi il 6 novembre 1982-ratificata e resa esecutiva con legge 9 maggio 1986, n. 149-, dal Regolamento Internazionale delle Radiocomunicazioni (R.I.R.)-adottato nella Conferenza Amministrativa mondiale di Ginevra del 6 dicembre 1979 e reso esecutivo con d.P.R. 27 luglio 1981, n. 740 - nonchè dagli accordi internazionali basati sulla Convenzione di Stoccolma del 196l. La prima di tali convenzioni specifica che le frequenze <sont des ressources naturelles limitees qui doivent etre utilisees de maniere efficace et economique, conformement aux dispositions du Reglement des radiocommunications>: e perciò obbliga ad assegnare le frequenze e ad installare le stazioni emittenti in modo da evitare disturbi nocivi ai servizi degli altri Stati (artt. 4, 33 e 35). Il secondo, allo stesso fine, detta le prescrizioni specifiche cui si devono uniformare i piani nazionali di ripartizione delle frequenze e stabilisce tra l'altro che l'installazione e l'esercizio delle stazioni emittenti va subordinata ad apposita <licenza>, conforme alle prescrizioni dello stesso R.I.R. (cfr. artt. da 5 e 7, da 18 a 22, 24). Infine, l'accordo internazionale seguito alla citata Convenzione di Stoccolma contiene la pianificazione delle frequenze che nell'ambito dei singoli Stati possono essere assegnate agli impianti televisivi di grande dimensione, cioé di potenza tale da poter creare interferenze reciproche, fissa la procedura da seguire per la revisione del piano.

Sul piano interno, va posto rimedio ad una situazione che - come emerge dalla relazione ministeriale (parr. 4.1. e 4.2.)-é caratterizzata da un elevatissimo livello di occupazione abusiva da parte delle emittenti private di frequenze riservate ad altri utilizzatori o servizi, spesso di rilevante interesse pubblico (par. 4): sicchè é auspicabile che si provveda ad una completa ristrutturazione del sistema delle frequenze con riferimento alle singole emittenti.

Per tutte queste ragioni, occorre procedere ad una verifica delle frequenze effettivamente destinabili alle trasmissioni radiotelevisive, anche in rapporto agli ambiti in cui esse concretamente si svolgono, onde preventivare la quantità di concessioni e frequenze assegnabili a ciascun soggetto e determinare al riguardo, in sede legislativa, idonei criteri obiettivi: tutto ciò nella salvaguardia del principio del pluralismo, che comporta il divieto di acquisizione di posizioni dominanti.

E’ ben presente alla Corte la prospettiva che lo sviluppo della tecnologia possa consentire in tempi ravvicinati-superando le attuali difficoltà-di disporre di strumenti idonei ad accrescere le vie attraverso le quali far pervenire informazioni e messaggi televisivi, anche a livello transnazionale. Questa prospettiva, se non può risolvere i problemi attuali del pluralismo, dovrebbe peraltro indurre il legislatore a considerarne adeguatamente gli eventuali sviluppi.

23. - Sulle questioni di costituzionalità che investono le norme del D.L. n. 807 del 1984, convertito nella legge n. 10 del 1985, sono state proposte diverse eccezioni di inammissibilità.

Alcune di queste, come quella che si fonda sull'asserita natura di interpretazione autentica dell'art. 3, terzo comma sono state già esaminate, e qui non resta che ribadire le considerazioni già svolte.

In relazione alle censure prospettate dal Pretore di Torino, l'Avvocatura dello Stato rileva che l'art. 3, primo comma, non sarebbe applicabile nel giudizio relativo perchè, trattandosi di norma penale più favorevole, ma temporanea, non potrebbe essere invocata per disciplinare situazioni precedenti alla sua entrata in vigore. Ora, anche a prescindere dalla natura della norma in questione, é da osservare che essa deve comunque trovare applicazione nel giudizio a quo, poichè esso ha ad oggetto un reato permanente la cui condotta, iniziata in epoca anteriore, si e poi protratta oltre la data dell'entrata in vigore del citato D.L. n. 807 del 1984 (6 dicembre).

Anche talune parti private (parr. 7.l. e 7.2.) propendono per l'irrilevanza della questione sull'assunto, pero, della inapplicabilità dell'art. 3, primo comma, al giudizio a quo perchè i fatti oggetto di quest'ultimo costituirebbero esclusivamente un'ipotesi di interconnessione funzionale, e non di interconnessione strutturale o tecnica, quale, appunto, sarebbe quella contemplata dalla disposizione in oggetto. Nemmeno tale assunto può essere accolto in quanto dall'ordinanza non risultano gli elementi di fatto su cui le predette parti pretenderebbero di fondare la loro eccezione.

Infondata é infine anche l'eccezione di irrilevanza prospettata dalla difesa di talune emittenti (par. 7.l.) a proposito della quaestio relativa all'art. 4, comma terzo bis: questa Corte, infatti, fin dalla sentenza n. 148 del 1983 ha respinto la tesi, sulla quale fa leva tale eccezione, della irrilevanza delle censure concernenti norme penali di favore.

Devono invece ritenersi inammissibili le questioni riguardanti le censure relative agli altri commi dell'art. 4 ed all'art. 2, in quanto l'ordinanza di rimessione non reca al riguardo la benchè minima motivazione, ne in punto di rilevanza ne in punto di non manifesta infondatezza. Infine, non può negarsi - come vorrebbe l'Avvocatura - l'ammissibilità dell'impugnativa riferita all'art. 41 Cost. come diretta ad ottenere una pronunzia che si risolverebbe nella privazione, per i soggetti coinvolti nel giudizio a quo, di una situazione di vantaggio. La Corte ha infatti numerose volte ritenuto ammissibili impugnative del genere (sentt. nn. 43/1987, 226/1983, 164/1982, 17/1974, 127/1968) e non ravvisa alcuna ragione particolare per discostarsi da tale giurisprudenza.

L'Avvocatura dello Stato eccepisce poi l'inammissibilità di tutte le censure sollevate dal Tribunale di Genova: la questione concernente i primi tre commi dell'art. 3 della l. n. 10 del 1985 sarebbe infatti irrilevante, poichè tali disposizioni non dovrebbero riguardare fatti che, essendo antecedenti all'entrata in vigore del D.L. n. 807 del 1984, ricadrebbero interamente nella previsione dell'art. 4, comma terzo bis; la questione su quest'ultimo articolo, poi, sarebbe inammissibile poichè la disposizione non sarebbe oggetto di autonoma censura.

L'eccezione non può essere accolta. Infatti le norme impugnate sono legate da un nesso logico-temporale inscindibile, si che il sindacato di questa Corte non può esercitarsi se non sulla complessiva disciplina che ne deriva.

24. - Nel merito la Corte ritiene di esaminare prioritariamente per evidenti ragioni logiche le questioni sollevate dal Tribunale di Genova, secondo il quale la disciplina impugnata sarebbe in contrasto sostanziale con l'art. 21 Cost. perchè consente ai privati di effettuare trasmissioni televisive su scala nazionale in assenza del complesso di garanzie atte ad impedire il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche private, ritenute dalla sentenza n. 148 del 1981 di questa Corte, condizione essenziale per l'abbandono della riserva pubblica e per l'introduzione di un sistema misto di emittenza pubblica e privata in sede nazionale.

In proposito, si deve invero osservare che la legge impugnata é intervenuta in una situazione in cui erano già in atto processi di concentrazione nel settore privato.

In tale situazione, il legislatore, dettando gli artt. 3 e 4 impugnati, ha consentito la prosecuzione dell'attività privata di trasmissione in ambito nazionale, senza in effetti dettare alcuna misura antitrust.

Non possono infatti considerarsi tali ne la norma dell'art. 1, secondo comma, che si risolve in una mera enunciazione di principi, ne, tanto meno, quella dell'art. 1, quinto comma, che, come si ricordava all'inizio, si limita a rinviare alla futura legge generale sul sistema radiotelevisivo per l'adozione delle <norme dirette ad evitare situazioni di oligopolio e ad assicurare la trasparenza degli assetti proprietari delle emittenti radiotelevisive private>, nonchè delle <norme volte a regolare la pubblicità nazionale e quella locale>, con ciò stesso confermando che tali norme non esistono nella legge impugnata.

In tal modo la disciplina in questione non ha seguito le indicazioni contenute nella sentenza n. 148 del 198l. Tuttavia è decisivo, allo stato, considerare che il recente intervento legislativo ha natura chiaramente provvisoria, perchè nella sua complessiva impostazione appare proiettato verso la futura riforma del sistema radiotelevisivo, alla quale più volte fa, a vari fini, riferimento. La legge pertanto e intesa a dettare una disciplina solo parziale e limitata nel tempo, destinata in tempi brevi-come dimostra la stessa prefissione nell'art. 3, primo comma, di un termine ravvicinato, peraltro di recente ritenuto in dottrina e giurisprudenza meramente <sollecitatorio>-ad essere sostituita dalla legge di riassetto dell'intero settore. E ciò é confermato anche dal fatto che nello stesso torno di tempo, come si e ricordato, veniva presentato alle Camere un apposito disegno di legge governativo, poi decaduto, mentre un nuovo progetto, recentemente approvato dal Consiglio dei ministri, e attualmente all'esame del Parlamento.

Si può allora ammettere che una legge siffatta possa nella sua provvisorietà trovare una base giustificativa. Naturalmente, se l'approvazione della nuova legge dovesse tardare oltre ogni ragionevole limite temporale, la disciplina impugnata- tenuto conto che e in vigore già da oltre tre anni - non potrebbe più considerarsi provvisoria e assumerebbe di fatto carattere definitivo: sicchè questa Corte, nuovamente investita della medesima questione, non potrebbe non effettuare una diversa valutazione con le relative conseguenze.

25. - Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in ordine alle censure prospettate dal Pretore di Torino, che evidenzia come dalle norme di cui agli agli artt. 3, primo, secondo e terzo comma e 4, comma terzo bis conseguano rilevanti disparità di trattamento. Secondo l'ordinanza, con esse é stata resa non punibile per il passato e lecita per il futuro l'attività di teletrasmissione svolta dalle emittenti operanti con gli impianti già in funzione alla data del 1o ottobre 1984: con ciò discriminando e comprimendo la libertà di iniziativa economica di chi volesse successivamente intraprendere la medesima attività, che resterebbe invece sottoposto alle previste abilitazioni e sanzioni.

Senonchè, a parte ogni altro rilievo, e anche qui decisiva, allo stato, la già rilevata natura provvisoria della legge impugnata: in ordine alla quale e il caso di ribadire che, ove tale fondamento giustificativo mutasse e la normativa assumesse carattere definitivo, essa non potrebbe sottrarsi ad una diversa considerazione.

26. - Tutte le argomentazioni sopra svolte rendono evidente la necessità di una disciplina definitiva della materia, che si sottragga a tali censure e appresti quel <sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche non solo nell'ambito delle connessioni fra le varie emittenti, ma anche in quello dei collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori dell'informazione, incluse quelle pubblicitarie> (sent. n. 148 del 1981).

Come si é già più volte sottolineato, la necessità dell'introduzione, nella disciplina dell'emittenza privata su scala nazionale, di un simile sistema di garanzie deriva dall'imprescindibile esigenza, sottesa alla menzionata sentenza, di una effettiva tutela del pluralismo dell'informazione, che va difeso contro l'insorgere di posizioni dominanti o comunque preminenti, tali da comprimere sensibilmente questo fondamentale valore.

Simili posizioni possono verificarsi sia in ciascuno dei singoli settori del sistema radiotelevisivo, sia attraverso le sopracitate connessioni e collegamenti, anche indiretti o di mero fatto; inoltre é possibile che siano attuate con varie forme di collegamento tra le predette imprese e quelle che abbiano una presenza rilevante in settori diversi da quello dell'informazione.

Di conseguenza, la futura legge non potrà non contenere limiti e cautele finalizzati ad impedire la formazione di posizioni dominanti lesive del predetto valore costituzionale (art. 21 Cost.).

Naturalmente l'efficacia di una simile disciplina ai fini indicati presuppone l'introduzione di un alto grado di trasparenza degli assetti proprietari e dei bilanci dell'impresa di informazione e di quelle collegate, trasparenza che incide pur sempre sul valore del pluralismo ed ha quindi rilievo costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a. - dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni) in relazione a quanto prescritto dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva), nonchè dagli artt. 1 e 2 di questa medesima legge e dall'art. 2 della legge 10 dicembre 1975, n. 693 (Ristrutturazione del Consiglio superiore tecnico delle poste, delle telecomunicazioni e dell'automazione) sollevata, in riferimento agli artt. 21, primo comma, 41, primo comma, 9, 33 e 34 della Costituzione, dal Pretore di Roma con ordinanza del 4 maggio 1982 (r.o. n. 771/82);

b. - dichiara inammissibili, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4, commi primo, secondo e terzo del decreto legge 6 dicembre 1984, n. 807 (Disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive), come convertito, con modificazioni, nella legge 4 febbraio 1985, n. 10, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. dal Pretore di Torino con ordinanza del 25 febbraio 1985 (r.o. n. 430/85);

c. - dichiara non fondate per le ragioni di cui in motivazione le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, primo, secondo e terzo comma e 4, comma terzo bis, del medesimo decreto legge 6 dicembre 1984, n. 807, come convertito, con modificazioni, nella legge 4 febbraio 1985, n. 10, sollevate in riferimento ai citati parametri costituzionali dal Pretore di Torino con la predetta ordinanza ed in riferimento agli artt. 3 e 21 Cost. dal Tribunale di Genova con ordinanza del 4 febbraio 1986 (r.o. n. 414/86).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/07/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ugo SPAGNOLI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 14/07/88.

 10.08.08

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