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Controcorrente

Far morire gli e-book perché possano nascere 

Giancarlo Livraghi ritorna sui problemi dei libri elettronici con una serie di osservazioni che portano a una conclusione forse paradossale. Ma non peregrina, perché il caos del settore è totale. Un approfondimento nei prossimi giorni.

di Giancarlo Livraghi* - 04.04.11

Gli altri articoli:
"Il grafico impaginò la propria lapide e spirò"
- 14.03.11
Le malattie infantili degli “e-book” di Giancarlo Livraghi - 28.03.11
Non è tutto e-book quel che si legge (in digitale) - 19.04.11

Avevo pubblicato, nell’ottobre 2010, alcune osservazioni su Le malattie infantili degli “e-book”. Che cosa è cambiato in cinque mesi? Nulla. Né vedo alcun motivo per cambiare idea su ciò che avevo scritto. Ma ritorno sull’argomento perché, alla luce dei fatti, la situazione è ancora peggio di come la vedevo.

Le “malattie infantili” sono probabilmente inguaribili. Diventa sempre più evidente che la soluzione non sta nel difficile tentativo di districare i garbugli. È più facile – e più efficace – buttare via tutto e ricominciare da zero. Visto che non si tratta di bambini, ma di stupide macchine, non c’è alcuna crudeltà nel desiderare una strage di questi “non innocenti”.

Peccato per chi, nel frattempo, ha comprato costosi aggeggi. Diventeranno, comunque, inservibili quando ci saranno soluzioni diverse. È andata bene per chi è riuscito a vendere a caro prezzo arnesi di discutibile qualità – ma forse un giorno avrà qualche problema a ritrovare la fiducia di chi ci è cascato. Intanto sembrano spente le fanfare di chi proclamava immensi successi e (con statistiche false o male interpretate) ripeteva una vecchia – e finora smentita – orribile profezia: la morte della carta stampata.

Prima di proseguire, temo che sia necessaria una premessa, perché l’argomento è piuttosto confuso. Che cos’è, o che cosa “dovrebbe essere”, un e-book reader? Non uno strumento per leggere in “in elettronica”: quello esiste da più di trent’anni e si chiama personal computer. Si deve trattare, perciò, di un arnese diverso. Una macchina concepita per poter leggere un libro “quasi altrettanto bene” di come si fa con una copia stampata. L’idea è buona. Il modo in cui, finora, è realizzata non funziona.

Non credo che esista una persona ragionevole disposta a credere che qualsiasi aggeggio oggi immaginabile possa essere “meglio” di un libro stampato. Ma ci possono essere situazioni in cui è utile “qualcosa di abbastanza simile”. Un problema è che la carta è ingombrante e pesante. Chi viaggia spesso, e non vuole rinunciare alla lettura, rischia di avere “bagaglio” troppo grosso e di peso eccessivo. Ci sono anche altre possibilità interessanti. Per esempio, può essere un modo per fare arrivare un libro dove (o quando) non è facile consegnare una copia stampata. O per riproporre, senza il costo e l’impegno di una ristampa o di un’anastatica, edizioni esaurite e difficilmente reperibili. Eccetera.

Insomma è desiderabile che, tolti di mezzo gli attuali accrocchi, nasca davvero un ben fatto e-book. Arrivare a una buona soluzione non è difficile, ma richiede un radicale cambiamento di prospettiva. Tecnologie al servizio dei lettori, non viceversa. Metodi e macchine orientate alla qualità della lettura, non a tecnomanie o a confuse e contraddittorie prepotenze commerciali.

Mi è di aiuto un interessante articolo di Manlio Cammarata, pubblicato il 14 marzo 2011: “Il grafico impaginò la propria lapide e spirò”. Errori (imperdonabili) di “grafica” scadente, con effetti di scarsa leggibilità, si trovano purtroppo anche in riviste e giornali – talvolta perfino in libri stampati. Ma nel caso degli e-book la malattia è cronica.

«Non è facile – osserva Manlio Cammarata – riportare su una pagina grigiastra di 9x12 centimetri la struttura di un libro ..... perché ogni dispositivo di lettura interpreta il contenuto a modo suo». E spiega che «l’impaginazione la decide il software, nonostante i ripetuti, frustranti tentativi di dare un aspetto decente a titoli, sottotitoli, citazioni, note e collegamenti ipertestuali». Il motivo è che «i software attualmente disponibili per la conversione dei formati sono ancora poco evoluti, per non dire rudimentali. Aggirare gli automatismi con interventi “manuali” richiede più tempo che scrivere il libro. Insomma, l’impaginazione al tempo dell’e-book non è più quella di una volta. L’arte di impaginare non abita più qui».

Cioè tutto ciò che abbiamo imparato in più di cinquecento anni, dalla prima evoluzione dei libri stampati (e anche, nei millenni, dalle origini della scrittura) è sconosciuto a chi ha realizzato le grottesche tecniche oggi disponibili per gli e-book. E, quel che è peggio, sono concepite così male da impedire una buona impaginazione. Tutto ciò che serve a rendere gradevole e funzionale la lettura «scompare nel libro elettronico. Il contenuto in partenza è “liquido” e assume automaticamente la forma del contenitore, secondo criteri che appaiono casuali, perché dettati da ingegneri» che a tutto badano fuorché alla qualità delle edizioni.

«Ogni e-book reader presenta lo stesso contenuto in forma diversa. Le relazioni tra le dimensioni dei titoli e del corpo del testo non comunicano immediatamente l’ordine gerarchico e la sequenza degli argomenti. L’impaginatore che volesse adattare l’aspetto del libro a ognuno dei dispositivi dei più diffusi dovrebbe realizzarne molte versioni. Con l’aggravante che i software oggi disponibili spesso danno risultati imprevisti e impongono ripetuti aggiustamenti».

In altre parole, con le tecniche finora disponibili è estremamente faticoso, se non del tutto impossibile, mettere nei dispositivi di lettura elettronica un libro organizzato e impaginato in modo decente. Mi domando come possa un autore permettere un tale maltrattamento della sua opera – o un editore degno del suo ruolo acconsentire a un tale scempio dei libri che pubblica.

Alla base di tutti questi problemi c’è il difetto fondamentale dei sistemi oggi in uso: la proliferazione di tecnologie “proprietarie” incompatibili fra loro. Come già osservato nel precedente articolo, questa scelta insensata giova al rapace profitto (nel breve periodo) di pochi contro l’interesse di tutti, rende impossibile uno sviluppo ragionevole ed efficace dell’editoria elettronica ed è la principale causa delle balordaggini tecniche (e culturali) di cui è infestata.

«Alla fine della storia – conclude Cammarata – detto tutto il bene possibile dei libri digitali, ritorno con gioia ai miei vecchi tomi di carta. Tanti, mai troppi. Ingombranti fino a diventare invadenti. Ma pieni di una ricchezza comunicativa che il nuovo non ha e che rischia di perdersi».

Egoisticamente, vista la mia inguaribile e ostinata bibliofilia, potrei anche essere contento di questo disastro. Ma non sono così miope. Amare i libri vuol dire amarli tutti. Di carta o di coccio, di panno o di seta, di papiro o di pergamena. Compresi quelli fatti di bit e di byte, conservati in memorie elettroniche, che non meritano di essere più brutti, più scemi e più sgradevoli dei loro fratelli maggiori.

A perseguitare l’infelice infanzia degli e-book ci sono anche altri problemi. Come le confuse guerre sui prezzi, sui modi per farseli pagare, sui diritti d’autore e di edizione, in cui giocano gli interessi di tutti fuorché di quelli che davvero contano: i lettori.

Nel marasma si possono nascondere varie distorsioni. Per esempio si può supporre che nelle, comunque pessime, tecnologie degli e-book ci siano trappole nascoste, “spie” che controllano i contenuti e li trasmettono al fornitore del dispositivo ogni volta che è collegato alla rete. Che ci siano, è un fatto. Che cosa siano, non è sempre chiaro. È probabile che si tratti soprattutto di problemi “commerciali”. Quando un libro è liberamente e gratuitamente disponibile “non ci dovrebbero essere” intenzionali invadenze – che si scatenano quando è a pagamento. Questo è un altro difetto delle tecnologie oggi diffuse: non solo funzionano male, ma sono anche assoggettate a interferenze arbitrarie e abusive.

Ci vorrebbe un nuovo Aldo Manuzio, capace di pilotare l’editoria anche nell’uso di nuove risorse tecniche. Ma occorre togliere il timone dalle mani di chi ha tutt’altre intenzioni (e nessuna competenza nell’arte di “fare libri”).

Mi sembra evidente che, come dicevo all’inizio, la soluzione migliore (forse l’unica possibile) sia buttare via le cianfrusaglie e ricominciare daccapo. Dando priorità assoluta alla qualità dei testi e delle edizioni, soprattutto al servizio dei lettori, della cultura, dell’umanità. Ogni altro modo di pensare e di procedere non è solo distorto, inefficiente e inefficace. È anche irrimediabilmente stupido.

Post scriptum

Credo che possa essere utile, per inquadrare il problema, una breve sintesi delle risorse disponibili e di come si sono evolute. Mi scuso con gli specialisti per la, forse eccessiva, semplificazione – ma qui si tratta solo di riassumere alcuni fatti essenziali che possono interessare a chi non ha il desiderio di approfondire nozioni tecnologiche.

Lo sviluppo di “codici” per la riproduzione e trasmissione di testi risale al diciannovesimo secolo, in particolare dopo l’invenzione del telegrafo nel 1844. Oltre all’alfabeto Morse, furono sviluppate tecnologie alfabetiche con dispositivi meccanici o “schede perforate” – risorse che oggi possono sembrare “primitive”, ma avevano una notevole funzionalità. Nel 1927, con la diffusione della radio, nacque l’alfabeto verbale internazionale (alfa – bravo – charlie eccetera) tuttora in uso nella nautica, nell’aeronautica e anche in altri sistemi di comunicazione, per esempio (ma non solo) in ambito militare.

Con lo sviluppo dell’elettronica divenne evidente la necessità di un “codice” che permettesse la produzione e trasmissione di testi, usando tutto l’alfabeto e i “segni di interpunzione”. Dopo vari esperimenti fu definito cinquant’anni fa lo standard tuttora in uso, che si chiama ASCII (American Standard Code for Information Interchange). Originalmente pensato per la lingua inglese, fu poi evoluto in modo da poter usare anche “lettere accentate” e altre specificità di diverse lingue. (Ovviamente ci furono poi altri sviluppi fondamentali, come, trent’anni fa, il “linguaggio” html HyperText Markup Language su cui si basa il sistema web).

Nonostante i limiti di una tecnologia che produce solo “puro testo”, si svilupparono divertenti modi per usarla anche come “elemento decorativo”, compresa quella ascii art che oggi è in disuso, e purtroppo dimenticata, ma merita di essere ricordata come esempio di brillante e ingegnoso artigianato. Ce ne sono alcuni esempi nel capitolo 50 di L’umanità dell’internet e molte collezioni che non è difficile trovare online (come, per esempio, questa).

Quarant’anni fa con il “Progetto Gutenberg” nacquero, in ASCII, i primi “libri elettronici” (nel 1994 in Italia l’analogo “Progetto Manuzio”). Un gran numero di libri è e rimane liberamente disponibile in quel modo, con un solo limite: si tratta di “puro testo”, senza impaginazione.

Non mancano le risorse per risolvere questo problema. Sono state sviluppate varie tecnologie che permettono di impaginare efficacemente un testo, anche un intero libro. La, meritatamente, più diffusa si chiama PDF (Portable Document Format). Esiste da vent’anni. Era ed è “proprietà” di Adobe, ma si è evoluta fono a diventare, di fatto, aperta e liberamente usabile da tutti. Funziona bene e produce buoni risultati. Si dice che i testi pubblicamente disponibili in pdf siano più di un miliardo. E non è il caso di dimenticare che è quella la tecnologia in uso per la produzione dei molti libri stampati che si consegnano alle tipografie “in elettronica”.

Uno dei miei libri (Il potere della stupidità in italiano e in inglese) è online in quel formato (altri, almeno per ora, solo in html – per il banale motivo che non ho avuto il tempo di ristrutturarli in pdf).

Esistono, ovviamente, altre tecnologie, più o meno valide. Ma poiché pdf è “lo standard di fatto”, in attesa che si sviluppino e si diffondano eventuali altre risorse altrettanto “aperte” e facilmente gestibili, una soluzione di palese buonsenso sarebbe usare quella che c’è anche nell’ambito dei sistemi che offrono una lettura “simile a quella di un libro stampato”.

Invece no. Orientarsi nella giungla degli aggeggi diversi e disparati non è facile, ma se ho capito bene ce n’è uno solo che permette di leggere in quel modo un pdf. Vuol dire che conviene comprare quello? Credo di no. Per chi non ha motivi di “urgenza” conviene aspettare che il quadro diventi meno confuso.

Un problema è anche la dimensione. Non tutti i dispositivi esistenti obbligano a una misura di 9x12 centimetri, più piccola di un libro “tascabile”. (Per non parlare della lettura nel minuscolo schermo di un telefono cellulare). Non so se ce ne sia solo uno di dimensioni più ragionevoli, oppure pochi, ma è chiaro che la gamma disponibile offre scarse alternative di accettabile qualità. E comunque rimane un problema la proliferazione di tecnologie diverse e la mostruosa difficoltà, se non impossibilità, di impaginare “come si deve” un libro in ciascuna di quelle varianti.

Un altro elemento di confusione è la proliferazione di proposte online che chiamano e-book cose diverse. “Nella migliore delle ipotesi” sono libri in pdf (in questo caso la definizione e-book non è concettualmente impropria) ma troppo spesso sono tutt’altro: frammenti o raccolte di testi trovati in rete o in altro modo copiati (non sempre indicando correttamente la fonte) che possono essere letture più o meno interessanti, ma non sono libri.

Ad abundantiam ci sono anche tecnologie che permettono di “fotocopiare” un libro, con risultati di buona qualità, conservando l’impaginazione e tutte le caratteristiche dell’edizione stampata (cioè producendo quella che nell’editoria tradizionale si chiama una “anastatica”). Una risorsa interessante per il recupero di edizioni antiche, rare o comunque difficilmente reperibili. Insidiosa per chi si sente minacciato dalla riproduzione “non autorizzata” di libri ancora in commercio.

Insomma il marasma è crescente. Ovviamente ognuno è libero di inventare tecnologie come vuole, ma il sistema può solo peggiorare, con tendenza a suicidarsi, se si continuano a moltiplicare arnesi e software inadeguati e incompatibili.

La soluzione più ragionevole, all’attuale stato dell’arte, è basarsi sulla risorsa meglio maturata e più diffusa: pdf. Se poi ci potranno essere ulteriori miglioramenti, tanto meglio – a condizione che siano tutti compatibili e liberamente utilizzabili, senza i vincoli e le distorsioni che stanno soffocando i neonati “nuovi e-book” prima che un’autentica editoria elettronica abbia la possibilità di respirare.

Post scriptum 2 (05.04.11)

Un'altra prospettiva

Un’osservazione molto semplice, ma rilevante, è che un testo “in elettronica” offre un vantaggio di consultazione. Perciò chi ha l’edizione stampata di un libro può desiderare di averne anche una copia “elettronica” (o di poterla leggere online) per trovare più facilmente la pagina e il paragrafo in cui si tratta di un particolare argomento. Pochi libri hanno un buon indice analitico. In un ebook la funzione “cerca” lo può sostituire. Ma, in questo caso, non ha alcuna importanza il “formato”. Può bastare anche un semplice testo “ascii” e va bene anche qualsiasi altra tecnologia.

È molto più complesso il problema degli e-book concepiti per essere letti. I nuovi reader sono impostati in modo da dare al lettore la possibilità di impaginare come vuole. Ridurre o ingrandire il carattere, modificare spazi e dimensioni. Vuol dire, in pratica, distruggere l’impaginazione ed eliminare tutte le impostazioni volute dall’autore, editore o redattore per equilibrare evidenze e significati.

Questo problema è sempre esistito anche per i libri stampati. Quando si cambia il “formato” di un’edizione, ci sono due possibilità. Impaginare bene il libro nelle sue nuove dimensioni e caratteristiche – o meccanicamente ridurlo “come capita”. La seconda soluzione risparmia una risorsa impegnativa e costosa, il lavoro umano. Perciò, un po’ troppo spesso, si ricorre ad automatismi approssimativi o a persone di scarsa competenza. Il risultato è una proliferazione di edizioni scadenti.

Può essere esagerato pensare che ogni autore debba riscrivere ogni libro per poterlo pubblicare con qualcuno degli attuali e-book reader, ma comunque si rende necessaria una revisione piuttosto impegnativa.

Come potrebbe, tutto il sistema, uscire da un’infelice infanzia ed avere un’evoluzione meno confusa? È difficile immaginarlo. Idealmente, bisognerebbe riuscire a distinguere fra due opposte esigenze dei lettori. Quelli che preferiscono leggere un libro “così come lo ha concepito l’autore” e quelli che considerano prioritario ri-impaginarli come vogliono. E perciò (l’ipotesi, almeno per ora, è astratta) rendere disponibili due specie diverse di e-book (e relativi reader). Arrivare a una maturazione culturale di quel genere non è semplice – e comunque richiederebbe parecchi anni.

(Per la prima soluzione ci si può basare, almeno per ora, su buone risorse disponibili e ben evolute, come pdf. Per la seconda, occorrerà uscire dal puerile conflitto di troppe tecnologie immature, pasticciate e pasticcione).

Già oggi, è ora di superare la “moda”. Adattare le tecniche alle esigenze umane e culturali. E comunque uscire dalle prigioni delle incompatibilità per avere sistemi gestibili erga omnes.

Chi sarà meglio capace di offrirci soluzioni che si avvicinano a quell’obiettivo? È impossibile prevederlo. Non resta che osservare gli sviluppi senza divagazioni trionfalistiche, verificarli con serietà, concretezza e una buona dose di “sana diffidenza”. E intanto continuare a considerare il libro stampato come la soluzione migliore, se non l’unica di vera qualità – e l’e-book come un accessorio per quelle circostanze (come viaggi, vacanze eccetera) in cui è più comodo. O come un modo meno costoso (e senza ingombro negli scaffali) per dare un’occhiata a un libro prima di decidere se vale la pena di comprarlo.

Ci possono essere anche situazioni in cui un lettore preferisce avere un libro solo in forma “elettronica”. Perché non ha alcuna intenzone o desiderio di leggerlo, gli serve solo per occasionale consultazione. O per altri motivi secondo le esigenze di ciascuno. Non ci devono essere limiti alla varietà delle preferenze personali, ma risorse adatte alla libera scelta di tutti. Un’impostazione fondamentale per ogni genere di tecnologie, poco e male rispettata da molti dei sistemi più diffusi.

Ma anche per usi “ragionevolmente limitati” come questi occorre una seria qualità degli strumenti. Gli e-book reader finora esistenti, è necessario ripeterlo, sono rozzi, inadeguati e funzionano male. Con idee chiare, buon senso e serio impegno, soluzioni migliori si potrebbero realizzare in pochi mesi. Con l’andazzo attuale è probabile, purtroppo, che i tempi siano più lunghi.

* gian @ gandalf.it - L'articolo originale è qui.

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