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Professione giornalista

"Linee guida" per la riforma ed equo compenso per qualcuno

I (giornalisti) precari presi in giro due volte

L'Ordine propone l'esame anche per i pubblicisti e la Commissione cultura della Camera vuole legiferare per introdurre l'equo compenso solo per gli iscritti all'Ordine. Questa è la "liberalizzazione" della professione di giornalista?

30.01.12

Premessa. I (giornalisti) del titolo sono tra parentesi perché così la corporazione di origine fascista indica quelli che svolgono la professione senza essere iscritti all'albo. Per approfondire: (Giornalista): una professione tra parentesi e Da Mussolini alla democrazia è cambiato qualcosa?.

Per questi schiavi dell'informazione si prospettano altre angherie. Sono previste da due atti formali. Il primo dovrebbe iscriversi nella difficile operazione di liberalizzazione delle professioni messa in campo dal governo Monti. E' intitolato "Linee guida di riforma dell'ordinamento giornalistico" ed è stato approvato dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti il 19 gennaio scorso. Non se ne parla molto. E' anche difficile trovarlo sul sito dell'OdG.

La strenua resistenza delle varie categorie alle liberalizzazioni è ovvia quanto ottusa. L'informazione dà ampio conto delle proteste di tassisti, farmacisti e altri professionisti. Nessun accenno, invece, alla più assurda delle professioni regolamentate, quella di giornalista: anomalia italiana, come ho scritto tante volte, che non ha eguali nei Paesi democratici.
Il silenzio della stampa non è una dimenticanza né un forma di pudore. I giornalisti, intesi come categoria professionale protetta, hanno la coscienza sporca. Quindi tacciono.

La dimostrazione è proprio nelle Linee guida di riforma dell'ordinamento giornalistico, che dovrebbero costituire la proposta della categoria al Ministro della giustizia. Il Ministro deve provvedere alle diverse riforme entro il 13 agosto di quest'anno. Se non deciderà, le norme "illiberali" saranno automaticamente abrogate (DL 138/11, art. 3, c. 3). Ma servirà comunque un provvedimento specifico per individuare le norme abolite, il che potrebbe rendere in buona parte inefficace l'abrogazione automatica.
La prima affermazione che si legge nel documento dell'Ordine può essere considerata rivoluzionaria: "L'accesso alla professione giornalistica è libero". 

La solenne dichiarazione dell'esordio è immediatamente contraddetta dalle righe che seguono: "L'accesso alla professione di giornalista dovrà avvenire attraverso l'esame di Stato". E poi: "A far data dell'entrata in vigore della riforma, chi avrà superato l'esame di Stato sceglierà se iscriversi nell'Elenco Professionisti o in quello Pubblicisti [qui ci vorrebbe una virgola] non possedendo il requisito dell'esclusività professionale".
Dunque quella che oggi è la prova di idoneità professionale diventa esame di stato; chi oggi può accedere all'elenco dei pubblicisti solo sulla base dell'attività giornalistica svolta in due anni, domani dovrà superarlo.

In poche parole, l'accesso che si dovrebbe liberalizzare diventa ancora più esclusivo. Riservato ai pochi che potranno permettersi una laurea e un tirocinio di 18 mesi. Per come è formulata la proposta, sarà difficile anche il "tirocinio dei pubblicisti".

Passiamo al secondo documento. Si tratta della Proposta di legge C3555 - Norme per promuovere l’equità retributiva nel lavoro giornalistico. L'Ordine esulta perché la Commissione cultura della Camera ha stabilito di approvarla in sede legislativa, cioè senza il passaggio dell'Aula. Sembra una cosa buona, anche perché la relazione illustra perfettamente la situazione. Vi si legge, fra l'altro: "Significativa è la situazione di un'azienda editoriale destinataria nel 2008 di contributi di oltre 2,5 milioni di euro e che eroga compensi per collaborazioni giornalistiche pari a 2,5 euro a pezzo".

Come si risolve il problema? Il buonsenso suggerirebbe una norma chiara, che dicesse semplicemente: "il giornalista libero professionista ha diritto a un compenso lordo (cioè comprensivo di contributi e indennità) non inferiore a quello di un giornalista dipendente".

Invece la soluzione contenuta nella proposta di legge consiste (che novità!) nella nomina di una commissione. Composta da tre membri, uno dei quali in rappresentanza del Consiglio nazionale dell'Ordine. La commissione, "valutate le politiche retributive" dei diversi settori, "redige un elenco dei datori di lavoro giornalistico che garantiscono il rispetto dei requisiti minimi stabiliti dal comma 2". Cioè da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. La presenza in questo elenco sarà la condizione per accedere ai contributi per l'editoria.

Meccanismo farraginoso, che non offre certezze, e che potrebbe essere vanificato se passasse la più volte ventilata proposta di esclusione dai contributi per le testate più solide. I contributi all'editoria sono fra le possibili misure di contenimento dei costi pubblici che incontreranno più ostacoli, anche perché si tratta in buona parte di una forma di finanziamento surrettizio dei partiti.

Ma in fondo si tratta di dettagli. Il punto-chiave è nel comma 1, dove si parla di "equità contributiva dei giornalisti iscritti all'albo". Ai veri precari,  ai (giornalisti) tra parentesi, l'equità contributiva sarà preclusa per legge.
Alla fine dei conti, se non passerai l'esame, cioè se non sarai un figlio di papà che può permettersi almeno un costoso diploma di laurea, non potrai neanche affrontare l'esame. E se non passerai l'esame, non avrai neanche diritto ai "minimi di equità retributiva".

Insomma, una doppia presa in giro. Mentre nella proposta di "autoriforma" dell'Ordine c'è un passaggio che attesta l'inutilità dell'Ordine stesso: "L'assicurazione obbligatoria, [qui la virgola è di troppo] per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale non è conforme alla specificità della professione giornalistica".

Infatti la specificità della professione giornalistica è - fra l'altro - nel fatto che il giornalista non ha come "cliente" un privato cittadino, ma un editore, un'azienda. Quanto basta per rendere inutile il regime di "professione regolamentata" che si applica a medici, avvocati, commercialisti e via elencando.

L'unica riforma possibile è l'abolizione dell'Ordine e l'instaurazione del libero accesso alla professione, secondo uno dei tanti schemi che funzionano negli altri Stati democratici. Ma forse è un miraggio.

Per saperne di più vedi il dossier Le pagine sull'Ordine dei giornalisti.

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